Yuval Elbashan (Traduzione Sharon Nizza)
I nemici che abbiamo di fronte si sbagliano alla grande. Forse perché credono che, se solo riuscissero a recidere crudelmente i nostri fiori più belli, appassiremo come centaurée nel deserto. Ma si sono dimenticati che abbiamo radici in questa dura terra da tremiladuecentonovantacinque anni. Nemmeno un milione di zappe grondanti sangue di innocenti, come quelle raccapriccianti che con orgoglio pubblicano sul web, riuscirà a estirpare queste radici.
I nemici che abbiamo di fronte si sbagliano alla grande. Forse perché pensano che, poiché non esiste nazione che santifichi la vita più di noi, ci estinguiamo al momento della morte. È vero, ma a differenza di loro, noi insistiamo nel versare ogni possibile goccia di vita normale per i nostri figli, e è proprio per questo che la morte non può avere la meglio su di noi. Già più numerosi, forti e malvagi di loro ci hanno provato e hanno fallito. Di volta in volta, anche proprio in questa regione al confine con la Striscia di Gaza. Ma noi siamo ancora qui: piantamo alberi, litighiamo per strada e mettiamo i pannolini ai nostri bambini. Alla faccia loro.
Questi nemici si sbagliano alla grande. Forse perché credono che, se ci infliggeranno abbastanza dolore, ritorneremo nei nostri “paesi d’origine”, come gli inglesi, i francesi e altri stranieri che sono stati qui per alcuni decenni. Ignoranti. Non sanno che, quando la mia famiglia è arrivata in questa terra nel 1890, si è sentita come se fosse nata qui, mentre io e la mie generazioni, che vi siamo nati, sentiamo da tutta la vita di aver scelto di vivere qui. Sì, perché siamo tutti israeliani sia per nascita sia per scelta. Se avessero studiato la storia del movimento sionista, avrebbero scoperto che è così in tutte le famiglie. Ovunque sia stato versato sangue in passato, sono già nati nipoti e pronipoti. Da Yad Mordechai a Kfar Szold. dal Negev a Gush Etzion. Ora lo impareranno duramente, come i loro predecessori.
I nemici che abbiamo di fronte si sbagliano alla grande. Forse perché si sono affidati alle informazioni raccolte sui social, prendendo per vere le presunte minacce di abbandono di Israele da parte di israeliani. Ma i social non dicono la verità, come spesso capita. Quanti minacciavano di lasciare il Paese per la riforma giudiziaria, in realtà non avevano realmente intenzione di farlo, mentre la maggioranza degli israeliani non se lo sogna nemmeno. Persone come il colonnello Roy Levy, possa la sua memoria essere di benedizione, che, nonostante fosse stato ferito gravemente due volte in due operazioni militari passate, sabato ha scelto di guidare i suoi soldati contro le belve umane che avevano attaccato i villaggi, ed è caduto dopo averne uccisi diverse. Se solo avessero conosciuto Roy, come io ho avuto l’onore, avrebbero realizzato che i loro sforzi per cacciarlo da qui erano vani.
I nemici che abbiamo di fronte si sbagliano alla grande. Hanno dimenticato quello che il poeta Yehuda Amichai disse già molto tempo fa: “Gli ebrei non sono un popolo storico, né un popolo archeologico. Gli ebrei sono un popolo geologico con fratture, crolli e strati e un lava incandescente. La loro storia dovrebbe essere misurata con un metro diverso”. Una scala di misura che non capiranno mai.
I nostri nemici si sbagliano alla grande. mentre esultano ora al suono delle pale che hanno iniziato a scavare le tombe dei nostri eroi. Non capiscono che, non appena avremo finito di seppellire i nostri morti, con le stesse pale scaveremo le buche in cui pianteremo gli alberelli in loro memoria, nei luoghi che abbiamo difeso strenuamente.
Effettivamente sì, i nemici che abbiamo di fronte si sbagliano alla grande. Ma noi invece, noi non dobbiamo commettere errori. Con tutta la rabbia ribollente, il dolore paralizzante e lo shock spaventoso, per quello che è successo e per come è successo, non dobbiamo dimenticare che la terra macchiata di sangue di Be’erì, Nahal Oz, Kfar Azza, Holit, Sufa sarà nuovamente ricoperta da campi di fiori colorati. E sul prato accanto alla sala da pranzo del Kibbutz Be’eri, proprio quello che adesso è un ammasso di macerie fumanti, i bambini giocheranno ancora animatamente, e i vecchi si lamenteranno del rumore che fanno.
E nella stessa sala da pranzo, che sarà stata rinnovata più volte nel frattempo, un vecchio scontroso, durante l’assemblea di commemorazione dei membri del Kibbutz, si alzerà per lamentarsi che “non sono venuti abbastanza compagni alle preghiere di Simchat Torah”, cosa che secondo lui è vergognosa, “perché un popolo che non conosce il proprio passato non ha futuro”. E la maggior parte di quelli che parteciperanno a quella commemorazione non ricorderanno con precisione cosa è successo in quella disgraziata festività e liquideranno le sue parole, alzando gli occhi al cielo, come a voler far intendere che sono stanchi di queste cerimonie che lo stesso vecchio costringe loro a fare ogni anno.
il vecchio, che se ne tornerà a casa infuriato per l’indifferenza di questa nuova generazione, non saprà che proprio in quei momenti, in una delle stanze dei ragazzi, che distano solo un centinaio di metri dalla sala da pranzo ristrutturata, proprio quella dove una volta, molto tempo prima, era avvenuto un massacro da parte di questi figli del demonio, il suo nipote più giovane sta baciando per la prima volta una ragazza e, per l’emozione, non riesce a capire che sapore abbia questo bacio e perché gli piaccia così tanto.
Yediot Ahronot, pubblicato su La Repubblica, 16.10.23