Negli ultimi tre anni quasi 800 attacchi contro arabi e cristiani
Maurizio Molinari
Precetti per uccidere i non-ebrei, esaltazione della strage di Hebron del 1995, tattiche paramilitari contro i soldati e il progetto di un’enclave «estranea a Israele»: è la miscela di insegnamenti e violenza che il rabbino Yizhak Ginzberg dissemina dall’accademia di «Od Joseph Hai» nell’insediamento di Yizhar, roccaforte dell’ala violenta di «Price Tag», il gruppo autore della maggioranza degli attacchi contro gli arabi in Cisgiordania.
La ribellione
Nel libro «Baruch Hagever» Ginzburg elogia la strage compiuta da Baruch Goldestein nel 1995 nella Grotta dei Patriarchi, (29 palestinesi morti 125 feriti), e il suo braccio destro Yizhak Shapira nel libro «I re della Torah» si spinge a legittimare l’uccisione dei bambini non-ebrei perché «se cresceranno diventeranno Diavoli come i genitori»: sono i semi di un odio che ha trasformato l’accademia del piccolo insediamento di Yizhar nel baluardo di «Price Tag», il movimento di protesta nato contro il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza nel 2005 per evitare qualsiasi nuovo smantellamento di insediamenti ebraici. L’unità dello Shin Beth – il controspionaggio israeliano – impegnata a combattere i gruppi estremisti ebraici nel 2013 ha redatto un rapporto – trapelato sui media – secondo cui «sono circa 100» gli attivisti di questa «ala violenta» che formalmente sono di Yizhar ma in realtà vivono sulle «cime delle colline» nell’area fra Yizhar, Elon Moreh e Har Beracha, nei pressi di Nablus, in caravan e case mobili difese da guardie armate.
Gli attacchi
Non a caso la maggioranza degli attacchi, con armi e bombe incendiarie, messi a segno negli ultimi 36 mesi è avvenuto in 14 piccoli villaggi palestinesi dell’area di Nablus – il più colpito è Burin – dove si trova anche Douma, teatro dell’attacco di ieri. Attorno a questo «nucleo duro» ci sono, secondo lo Shin Beth, circa tremila «sostenitori o fiancheggiatori» presenti in altri «insediamenti illegali» in specifiche aree della Cisgiordania: a Nord di Ramallah e Sud di Hebron. Si tratta di estremisti che pianificano attacchi in due direzioni: colpire gli arabi per «restituire la violenza subita» e ostacolare i militari israeliani per impedire lo smantellamento di «avamposti illegali».
Il manuale
Nel manuale «Outpost Defense Program» – redatto in ebraico ed inglese – si spiega come «cinque gruppi separati di militanti devono condurre altrettante azioni isolate» per poter «distogliere i soldati dall’intento di demolire» struttura illegali. Vi sono poi gli attacchi condotti dentro i confini di Israele pre-1967, circa il 20% del totale, e sono contro i cristiani – come la chiesa della Moltiplicazione a Tiberiade, data alle fiamme in giugno – oppure contro esponenti di spicco della sinistra anti-insediamenti: dal politologo Zeev Sternell a Hagit Ofran di «Pace Adesso». Chi viene arrestato gode dell’assistenza di «Honenu», un gruppo legale di Kiryat Arba che nel 2005 raccolse fondi per Yigal Amir, l’assassino del premier Yizhak Rabin.
Ma il problema di fondo, secondo uno studio del gruppo «Yesh Din», è che «il 91% degli arrestati di «Price Tag» non viene incriminato» nonostante la decisione del governo Netanyahu, presa nel 2013, di dichiarare il gruppo «illegale». «Per avere maggiori strumenti legali bisogna classificarli come terroristi» afferma Menachem Landau, ex capo dell’unità dello Shin Beth anti-Price Tag. D’altra parte uno dei suoi rabbini ultrà, Shalom Don Wolpo, è favorevole a portare la violenza alle estreme conseguenze: «Dobbiamo creare in Giudea e Samaria un’entità separata da Israele» perché «il tradimento di Gaza 2005» dimostra che «i leader degli insediamenti sono complici del governo nell’abbandonare la terra nelle mani degli arabi».
La Stampa 1.8.2015