L’episodio del 23 giugno 1945 per salutare la Brigata Ebraica è uno dei capitoli poco conosciuti della Liberazione
Valerio Marchi
“Sabato 23 giugno 1945 alle ore 9 in via dell’Ospedale n. 2, avrà luogo una riunione per porgere in forma solenne alle Autorità Alleate, Ecclesiastiche e Italiane un ringraziamento per l’assistenza prodigata ai correligionari internati, fuggiaschi e rimpatriati”: era questo il testo di un biglietto d’invito – una cui copia è conservata dalla famiglia Gentilli – diffuso all’epoca, a Udine, dalla Comunità Israelita di Trieste, sezione di Udine (gli ebrei udinesi, pur presenti e attivi da lungo tempo, non diedero vita a una comunità giuridicamente stabilita).
Ora quel lontano 23 giugno, che ci riporta all’immediato dopoguerra, merita di essere ricordato.Prendiamo quale esempio dei correligionari fuggiaschi e rimpatriati l’ingegnere ebreo udinese Roberto Gentilli (1923-2015), che ricordiamo ancora con affetto e stima. Al pari degli altri studenti ebrei, con le leggi razziali del 1938 egli fu espulso dalla scuola (nel suo caso il Regio liceo Stellini); poi, fra il 1943 e il 1945 la “caccia all’ebreo” lo costrinse a continue fughe e ricerche di rifugi in Toscana e in Veneto assieme ai suoi famigliari, salvatisi grazie a circostanze provvidenziali: sempre per portare un esempio, Roberto fu ospitato sotto falsa identità dai frati Stimmatini di Verona che, per proteggerlo, gli fecero anche indossare un abito talare.
Infine, dopo tante peripezie e con la Liberazione, una jeep della Brigata Ebraica riportò lui e altri suoi cari a Udine, dove la casa di famiglia era stata seriamente danneggiata dai bombardamenti.
Durante l’occupazione nazista l’abitazione, in via San Martino, era divenuta sede di un comando delle Waffen SS; ma un altro documento rinvenuto di recente – il diario del cannoniere della Brigata ebraica Pinchas Zalzmann – testimonia che dopo la Liberazione essa fu comunque frequentata da soldati della Brigata Ebraica, i quali, fra cerimonie religiose, lezioni di ebraico e momenti di svago cercavano, per la verità senza successo, di fondare un circolo sionista in città.
Di quel contesto riferì anche il rabbino capo della Brigata Ya’akov Gil nel 1946, ricordando sia gli aiuti offerti agli ebrei da tanti friulani sia le celebrazioni udinesi del 23 giugno 1945. Altri documenti importanti, riscoperti da poco, sono un articolo pubblicato il 26 giugno di quello stesso anno dall’organo del Cln provinciale Libertà e un altro, del 5 luglio seguente, apparso sul foglio ebraico Lachayal (“Al Soldato”).
Inoltre, a Udine vive ancora Umbertina Gentilli, cugina di Roberto, che ha ancora con sé il testo della preghiera letta assieme alla correligionaria Shara Sinigaglia mentre si celebrava, proprio il 23 giugno del ’45, il loro Bat-Mitzvah (la “maggiorità religiosa”). Ora, con queste fonti, possiamo apprezzare la portata storica di quella giornata.
Destò impressione, anzitutto, la marcia in città di soldati e ufficiali con la Magen David (la stella a sei punte) sull’uniforme. Sappiamo poi che nella palestra dell’Ospedale Vecchio, addobbata con fiori e bandiere (della Brigata Ebraica – futura bandiera dello Stato d’Israele – e di Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Udine), erano presenti una quindicina di famiglie ebraiche locali, profughi ebrei, numerosi cittadini non ebrei, centinaia di soldati e ufficiali della Brigata (comandata da Ernest Frank Benjamin), autorità civili, il governatore militare provinciale, esponenti dell’Amministrazione militare alleata ed ecclesiastici.
Il rabbino militare Moses Bernard Casper pregò e ripercorse il dramma delle persecuzioni antiebraiche occorse fin dai tempi antichi. Dopo di lui parlarono Benjamin e, per gli ebrei udinesi, Giustino Sinigaglia, il quale, reso onore a tutte le vittime, ringraziò gli Alleati, i soldati della Brigata, il clero, i patrioti ed i concittadini che si erano «prodigati per salvare gli ebrei dalle mani assassine», auspicando «un’avvenire di pace, armonia e fratellanza senza distinzione di nazionalità, di religione, di fede». Si cantarono alcuni salmi e, al termine, l’Hatikva (“La Speranza”, divenuto nel 1948 inno dello Stato d’Israele). La speranza, oggi, è che l’augurio espresso dal Sinigaglia in quel giorno ricco di aspettative possa avverarsi ovunque. Anche in Terrasanta.