Jonathan Pacifici – www.torah.it
“Guardate ora, che Io, Io sono Lui e non c’è altra divinità assieme a Me. Io farò morire e farò rivivere, ho ferito ed Io guarirò, e non c’è chi possa salvare dalla Mia mano.” (Deuteronomio XXXII, 39).
Quando, come quest’anno, Rosh HaShanà cade di giovedì, ci troviamo dinanzi ad un calendario non semplice. I due giorni di Rosh HaShanà si fondono con lo Shabbat in una tripletta sacra che può metterci a dura prova. Non è semplice lo Shabbat settimanale figuriamoci tre giorni di fila di astensione da ogni lavoro.
Tale sensazione è forse ancora più forte per coloro che vivono in Eretz Israel, per i quali questo è un caso unico che si presenta solo ogni qualche anno. Non parlo certo solo della preparazioni dei pasti, della logistica, che pure hanno una parte rilevante in queste giornate. Anche dal punto di vista spirituale si tratta di una maratona alla quale non è detto che siamo preparati. Nulla è però un caso nella nostra tradizione ed il calendario non accetta situazioni impossibili. Kippur ad esempio non può capitare di venerdì o di domenica per evitare di entrare od uscire dal digiuno con lo Shabbat. Se la Torà prevede una situazione del genere significa non solo che non è impossibile, ma soprattutto che dobbiamo imparare qualcosa da ciò.
Quando esisteva il Santuario il tamid, l’offerta pubblica giornaliera, veniva accompagnata dal canto dei leviti che intonavano un Salmo, il Salmo del Giorno, che noi recitiamo al termine delle preghiere.
La lista dei Salmi del giorno, che coincide con quelli che recitiamo oggi, si trova nel Talmud (TB Rosh Hashanà 31a). Nello stesso passo troviamo indicazioni circa il brano che veniva letto durante l’offerta del Musaf di Shabbat, l’offerta aggiuntiva dello Shabbat. Si tratta della Cantica di Haazinu, ossia le prime sei chiamate della nostra Parashà (tutta la parte in versi poetici). Il Talmud la chiama “HaZYV LaCH”, Lo splendore è Tuo, facendo un acrostico delle prime lettere dei sei brani in cui viene divisa la Cantica. Ogni Shabbat si leggeva uno di questi sei brani, completando tutta la Cantica in un ciclo di sei Shabbatot, come è scritto:
“Con l’offerta di Musaf di Shabbat, [i Leviti] che [inno] dicevano? Disse Rav Anan bar Ravà a nome di Rav: ‘[I sei brani della Tora’ riassunti nell’acrostico] HaZYV LaCH’ (la cantica di Haazinu)” (TB Rosh Hashanà 31a).
Qual’è il nesso tra Haazinu e lo Shabbat? Lo Sfat Emet spiega:
‘La cantica di Haazinu comprende tutte le generazioni dalla creazione del mondo, e l’uscita dall’Egitto e la ricezione della Torà, ed il Santuario e l’esilio e la redenzione finale. E in maniera simile si rinnova ogni anno tutto l’ordine, poiché così sono le misure del Santo Benedetto Egli Sia la cui opera è perfetta. E persino ogni giorno contiene un condensato di tutta la creazione. E così le feste, la festa delle azzime per l’uscita dall’Egitto e poi la ricezione della Torà. E la fine della Parashà, ‘guardate ora’ etc. ‘io uccido e resuscito’ è nella dimensione di Rosh Hashanà e Kippur nei quali i libri dei vivi e dei morti sono aperti. E poi ‘celebrate nazioni il Suo popolo’ è nella festa di Succot che allude alla redenzione finale….’
I vari brani corrispondono alle feste. La cantica di Haazinu è un excursus della storia d’Israele ma anche del calendario ebraico che è tutto racchiuso nello Shabbat. Shabbat abbraccia tutto, accoglie il tutto e in esso tutto si fonda nel segreto dell’uno dello Shabbat come lo chiama lo Zohar.
Siamo sinceri. È Rosh Hashanà ad avere la nostra piena attenzione in questo momento. Lo Shofar, le melodie, i sapori e quell’aria di festa e di serietà del momento. Lo Shabbat dopo due giorni di festa… chi ci pensa? Eppure dovremmo capire che il vero percorso è quello di giungere allo Shabbat, Shabbat Teshuvà, con un vero crescendo. Shabbat è sopra, molto sopra, Rosh Hashnanà, anche se le Sinagoghe saranno piene giovedì e forse meno frequentate Sabato.
Non si parla qui solo di teoria.
È il perdono che cerchiamo in questi giorni, non è così? Ebbene:
“Ha detto Rabbì Chyà bar Abbà a nome di Rabbi Jochannan: ‘Chiunque osserva lo Shabbat secondo la Halachà, persino se è idolatra come nella generazione di Enosh, gli viene perdonato; come è detto “Felice l’uomo (Enosh) che fa questo [ed il figlio dell’uomo che persevera in questo: chi osserva loShabbat] sì da non profanarlo…” (Isaia LVI, 2). Non leggere ‘sì da non profanarlo’ (mechallelo) ma [leggi] ‘gli viene perdonato’ (mechol-lo).’” (TB Shabbat 118b).
Lo Shabbat ha una tale forza da spazzare via ogni peccato, ogni mancanza.
Shabbat è la radice stessa della parola teshuvà, ritorno. Veshavtà, e tornerai, si scrive come veshabbat, e cesserai.
Lo Shofar è forte. È dirompente, scuote l’anima e tocca le corde più intime dell’uomo, come è detto in TB Rosh Hashanà 26a, lo Shofar è una questione interna. Rav Israel Salanter (Or Israel 7) evince da questo passo Talmudico due principi fondamentali:
1. Lo Shofar è una questione interna. È una questione interna in quanto deve suscitare il ricordo, il quale ricordo è un operazione interna che ognuno di noi compie nel proprio interno.
2. In questo senso colui che ascolta nel giorno di Roash Hashanà il suono dello Shofar è paragonato al Sommo Sacerdote che entra nel Santo dei Santi nel giorno di Kippur.
Eppure quando Rosh HaShanà capita di Shabbat, lo Shofar non si suona. Le stesse operazioni di Shabbat trovano la loro realizzazione nella astensione. Nel pensiero sacro.
Nello Shabbat noi possiamo accedere a quel Santissimo senza nessuno strumento.
È allora straordinario che proprio nello Shabbat dedicato alla teshuvà noi leggiamo la parashà di Haazinu che è l’esaltazione del concetto stesso dello Shabbat. Shabbat Teshuvà non è solo il nome dello Shabbat. Non è lo Shabbat che capita così per caso nei dieci giorni di teshuvà.
Shabbat è la teshuvà. Stai cercando la teshuvà? Shabbat Teshuvà! È lo Shabbat la risposta ad ogni domanda, ad ogni ricerca del proprio io. Quando ti spogli di questo mondo e lo rivesti con nuovo spirito nello Shabbat, innalzi il mondo ed innalzi te stesso. Ritrovi te stesso e ritrovi il Signore.
Shabbat è la strada della Teshuvà. Shabbat è la storia del popolo ebraico, e quando i Maestri hanno provato a definirlo non hanno trovato altre parole che la Cantica conclusiva di Moshè che raccoglie tutta la storia ed abbraccia tutta l’esperienza ebraica.
Ed allora forse capiamo perché i Saggi abbiano stabilito che in questo caso la prima operazione con la quale accogliamo l’anno nuovo è l’eruv tavshilin che ci permette di preparare il cibo dello Shabbat. Perché non c’è Rosh HaShanà che possa prescindere dallo Shabbat. Perché mentre ci prepariamo al suono dello Shofar dobbiamo ricordare che quel livello, ed anche molto di più, è alla nostra portata nell’astensione da ogni melachà, nel Santo giorno dello Shabbat. Non una volta l’anno, ma tutte le settimane.
È il più grande dono della Creazione che celebriamo in queste sante giornate. Shabbat Shalom e Shanà Tovà,
Jonathan Pacifici