1943: Storie di soldati ebrei e di rabbini in Sicilia.
Nicolò Bucaria
L’8 giugno 1943, alle prime luci dell’alba, un’avaria al motore costrinse un ricognitore della Royal Air Force partito da Malta a chiedere un atterraggio di emergenza alla guarnigione italiana di Lampedusa. Cominciava così, con un mese di anticipo rispetto ai minuziosi piani elaborati dagli stati maggiori alleati, lo sbarco in Sicilia e la liberazione del continente europeo dalla barbarie nazi-fascista. Sceso dal velivolo agitando un fazzoletto bianco in segno di resa, il pilota rimase sbigottito quando capí finalmente che non era lui ad arrendersi bensí il comandante e gli ufficiali italiani che gli si erano fatti incontro per firmare la capitolazione dell’isola.
Tutto ciò sarebbe rimasto solo uno dei tanti episodi paradossali del conflitto più sanguinoso della storia moderna, probabilmente destinato all’oblio, se il pilota non si fosse chiamato Sydney Cohen e se prima di arruolarsi nella RAF non avesse fatto il sarto nell’affollato quartiere ebraico londinese della West End.
Il giorno successivo, quando il 2° rgt delle Coldstream Guards sbarcò nell’isola per prenderne possesso, i commilitoni acclamarono il sergente Cohen “re di Lampedusa”. Der kenig fun Lampeduse, come si diceva nella colorita parlata Yiddish della West End, divenne sotto la brillante penna di Shmuel J. Harendorf una commedia musicale di grande successo, onorata di oltre duecento rappresentazioni al Grand Palais, il popolare teatro ebraico di Londra. Dopo quasi cinque secoli dalla cacciata degli ebrei dalla Sicilia, il sergente Cohen si era ritrovato suo malgrado ad essere il primo ebreo a toccare il suolo siciliano da conquistatore. Il primo, ma non l’ultimo. Non pochi furono infatti gli ebrei tra i 478.000 uomini che l’operazione Husky, come venne chiamata in codice l’invasione alleata, scagliò il 9 luglio 1943 sulle spiagge della Sicilia.
Alcuni di loro riposano oggi sotto bianche stelle di Davide nei prati sempreverdi dei cimiteri militari alleati di Agira, Catania e Siracusa, mentre i particolari meno conosciuti delle loro vicende ci sono ora svelati dalla recente pubblicazione, per i tipi del Ministero della difesa israeliano, del diario di guerra del rabbino Ephraim Elimelech Urbach (War Journals. Diary of a Jewish Chaplain from Eretz Israel in the British Army, 1942-1944, a cura di C. Urbach e R. Keren, Tel Aviv 2008, in ebraico). Chi conosce il rabbino Urbach per i suoi importanti studi post-talmudici, rimarrà incredulo nel sorprendere l’autore di The Sages. Their Concepts and Beliefs scorrazzare per polverosi deserti a bordo di sconquassati camion dell’VIII Armata del generale Montgomery, piuttosto che in severe biblioteche oxfordiane, o strapazzare gli intraprendenti commilitoni che organizzano commerci carnali sopra il suo appartamento di Tripoli.
In realtà Israele ha voluto rendere omaggio all’uomo che si batté perché i soldati ebrei arruolati in Palestina avessero il diritto di issare la bandiera con la stella di Davide. Un erudito che dopo avere attraversato i campi di battaglia divenne un convinto pacifista alla morte del figlio nella Guerra dei sei giorni e da deputato alla Knesset mancò per pochi voti l’elezione a capo dello Stato. Ma nel suo diario lo sorprendiamo anche a pregare per la festa del 9 di Av insieme ai soldati ebrei che si apprestano a sbarcare in Sicilia e leggere loro il capitolo 9 di Deutoronomio: “Ascolta Israele! Oggi tu attraverserai il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo…”. Il 19 agosto 1943 rav Urbach è in navigazione verso Catania. Sarà il primo cappellano ebreo a mettere piede sull’isola dove, appena due giorni dopo lo sbarco alleato, erano state abrogate le leggi razziali. L’impatto con la terra di Verga e Pirandello non è dei più promettenti. Trova un Quartiere generale alleato sprofondato nel caos e persino privo di telefono. Alla sua richiesta di un alloggio per trascorrervi lo Shabat, lo dirottano prima a Lentini poi, al suo ritorno a Catania, in un albergo dove la notte viene derubato dello zaino con gli effetti personali. Avendo studiato negli anni ’30 al Collegio rabbinico di Roma, rav Urbach è l’unico cappellano militare che parla italiano.
I suoi contatti con la popolazione locale gli permettono di acquisire informazioni che ci rivelano aspetti inediti dell’occupazione militare alleata. Un fruttivendolo catanese gli racconta che prima di ritirarsi le truppe italiane e tedesche hanno saccheggiato i negozi e spera che gli inglesi separino la Sicilia dall’Italia e ne facciano un loro protettorato. Incontra ebrei italiani sposati con donne di Catania e un professore di economia, suo vicino di casa, che gli confida di essere sempre stato antifascista e gli mostra come prova il manoscritto del suo libro intitolato “Come i fascisti rovinarono l’economia siciliana”. Lo colpiscono le molte donne vestite di nero, ma soprattutto il fetore degli abitanti che non sembrano avere mai conosciuto il sapone e gli zoccoli di legno lasciati davanti l’uscio. Apre un ufficio in via XX Settembre, dove organizza la distribuzione di libri di preghiere e scatolette di cibi kasher generosamente fornitigli dall’American Jewish Joint Distribution Committee. Il sabato mattina vi si radunano i soldati ebrei per le preghiere dello Shabat. Poi comincia a girare gli ospedali militari della Sicilia orientale per recare conforto ai correligionari feriti. Il 22 agosto gli scrive da Palermo rav Earl S. Stone, il rabbino militare americano che aveva trasformato in sinagoga la chiesa metodista di Via Rosolino Pilo: “Sono felice di informarLa che un gran numero dei Suoi uomini frequenta qui i miei uffici religiosi e sono felice di vederli”.
A Catania rav Urbach fa le cose in grande. Chiede al generale Montgomery il permesso di stampare un giornale e una licenza per tutti i soldati del Commonwealth di religione ebraica stazionati in Sicilia e li fa convergere il 29 settembre 1943 al cinema Lopo di via Etnea, che ha preso in affitto per celebrarvi le grandi feste di Rosh haShanah e Yom Kippur. Poiché vi sono affluiti anche molti profughi ebrei liberati dai campi di concentramento e lo spazio non basta, ripete la funzione religiosa nella Casa del Fascio trasformata in Navy House. Ma il numero dei soldati ebrei aumenta costantemente. Ben 2 mila provengono dalla Palestina sotto mandato britannico e rav Urbach lamenta di non riuscire ad assistere tutti. Non dimentica però di essere innanzitutto uno studioso e dedica una delle sue prime visite after work alla biblioteca dell’Università di Catania, dove ammira la preziosa raccolta di libri antichi e ascolta le lamentele del personale costretto ad ospitare il circolo dei soldati alleati. Il 14 novembre, seguendo l’avanzata americana, fa un’escursione in Calabria, al campo di concentramento di Ferramonte Tarsia appena liberato, e vi trova già funzionanti tre sinagoghe, una scuola, un corso di Talmud Torah, un’associazione sionista femminile e un gruppo di giovani esploratori israeliti.
Per Hanukkah, la festa delle luci, organizza un party al quale partecipano 1.500 soldati ebrei. Il 24 febbraio 1944, in vista della Pasqua ebraica, manda un telegramma ai superiori per informarli che in Sicilia è assolutamente impossibile produrre pani azzimi e chiede di farli venire al più presto dalla Palestina o dagli Stati uniti. Poco dopo lascia definitivamente la Sicilia al seguito delle truppe britanniche. L’VIII Armata dispone in Italia di due soli cappellani militari ebrei e la sua presenza è più necessaria sulla linea del fronte che avanza verso nord. Un soldato gli fa sapere da Foggia di non aver più visto un rabbino dal Rosh haShanah di Catania. Resta in Sicilia, ma non per molto, il rabbino americano Earl S. Stone. Il suo instancabile prodigarsi a favore di tutti gli ebrei giunti a Palermo dopo la liberazione della Sicilia è stato narrato con toni vivaci e profonda gratitudine nelle lettere che Meir Artom scrisse da Palermo al padre e oggi conservate all’Archivio storico centrale del popolo ebraico di Gerusalemme [1].
Lussemburgo 14. 5. 2010
[1] Nicolò Bucaria, Al Tempio di Palermo non c’era il Sefer Torah: lettere di Meir Artom al padre, in N. Bucaria, M. Luzzati, A. Tarantino edd. “Ebrei e Sicilia”, Palermo 2002, pp. 279-298.
http://www.girodivite.it/1943-La-stella-di-Davide-sventola.html