Accadde che quattrocento botti del vino pregiato, che R. Hunnà produceva, improvvisamente diventarono aceto. “Ma è una perdita enorme!” — esclamò R. Yehudà, il fratello di R. Sila il chassìd. “Dobbiamo andarlo a consolare nella sua miseria. Venite!” — disse, rivolgendosi ai suoi talmidìm (alunni) — “Andiamo insieme”.
“A che debbo l’onore della vostra visita?” — disse R. Hunnà quando vide gli illustri ospiti alla sua porta.
“Abbiamo appena saputo dell’enorme perdita che hai appena subito. Tutti noi sappiamo anche che sei un uomo giusto, ma forse devi esaminare le tue parole, per capire che cosa possa aver causato una tale punizione.”
“Sospettate forse che io abbia compiuto un’azione riprovevole?” — chiese allora R. Hunnà sorpreso.
“E tu pensi proprio che Dio possa infliggere una tale perdita senza una sufficiente ragione?” — rispose pronto R. Yehudà — “Non è forse una regola che Dio non causa una perdita di denaro a nessuno, senza che questi meriti effettivamente la punizione?”
“Hai proprio ragione” — disse allora R. Hunnà — “se qualcuno dei presenti è al corrente di qualche mancanza, che si faccia avanti e dica quello che sa!”
“In effetti avevo sentito qualcosa…” — esordì uno dei talmidìm — “uno di tuoi mezzadri (contadini che lavorano della terra non di loro proprietà) aveva detto una volta, che tu non gli avevi permesso di dividere il raccolto della vigna, secondo quanto gli spettava per legge.”
“Questo è vero” — ammise R. Hunnà — “ma solo perché mi ero accorto che i contadini mi rubavano ben oltre quanto spettava loro.”
“Beh, allora avresti dovuto portarli in giudizio e non giudicarli da te stesso!” — lo ammonì R. Yehudà — “avresti dovuto ricordare il detto: ‘Chi ruba da un ladro, assaggia lui stesso il sapore del furto’. Potevi forse avere una giustificazione, ma non avresti dovuto lo stesso farti giustizia da solo.”
R. Hunnà si inchinò alla giustezza del giudizio di R. Yehudà e disse umilmente: “In questo caso, prometto allora di dare loro tutto quello che gli spetta.”
Nel momento esatto in cui pronunciava queste parole, accadde un miracolo. Ma ci sono delle divergenze su quale effettivamente sia stata la natura del miracolo. Alcuni dicono che l’aceto si ritrasformò in vino! Altri dicono che invece il prezzo dell’aceto improvvisamente salì fino al punto che era pari a quello del vino!
Per i più piccoli — Che cosa impariamo dal Midràsh
- Che è mitzvà confortare chi si trova in disgrazia anche per una perdita economica.
- Che anche una persona facoltosa come R. Hunnà (come vedremo poi) va confortata per tale perdita.
- Che tale perdita economica, come qualsiasi altro problema di sostentamento, può essere ricondotta ad un comportamento non corretto.
- Che molte volte non ci rendiamo conto di aver sbagliato perché crediamo di aver agito nel giusto. Abbiamo quindi bisogno di un aiuto dall’esterno.
- Che nemmeno un grande conoscitore della legge, come R. Hunnà, può farsi giustizia da solo.
- Che la forza della teshuvà (ritorno alla retta via) è così grande che a volte può modificare l’apparente corso degli eventi.
Per i più grandi — Oltre il peshàt (spiegazione letterale)
R. Hunnà è evidentemente una persona facoltosa: 400 botti di vino concentrato di quei tempi erano evidentemente una fortuna, ma questa perdita non lo porterà sul lastrico. Capiamo quindi che sia la tzedakkà, sia la consolazione, devono essere sempre commisurati a chi la riceve: anche la persona facoltosa ha il diritto di essere consolata in tale situazione.
Con l’aiuto dei commenti del Maharshà e del Ben Ish Chay, capiamo che tra le righe si cela tuttavia una disputa tra i Maestri sulla possibilità di poter compensare un furto con un mancato pagamento. Il mezzadro infatti aveva trattenuto indebitamente grandi quantità di uva e di rami e canne, nascondendole al padrone del campo, R. Hunnà, che a sua volta non aveva diviso con il mezzadro le canne e i rami. Apparentemente una questione da poco.
La grossa perdita economica è però un segno divino che il ragionamento di R. Hunnà è sbagliato. I Maestri lo ammoniscono dicendo: “devi esaminare le tue parole”. Non era forse R. Hunnà stesso che poche righe prima, nel Talmùd, aveva sostenuto che Dio invia anche ai giusti sofferenze “per amore”. Ma queste non sono le sofferenze “per amore” che si mandano ai giusti, anche senza colpa! Una perdita economica coinvolge non solo la persona, ma i suoi averi e la sua stessa famiglia! Quindi alla base di questa perdita deve esserci un comportamento non corretto. Ecco che R. Yehudà dimostra con questa punizione l’errore nel ragionamento di R. Hunnà.
L’happy end infine, ci suggerisce secondo i commentatori, che le ‘averòt, le cattive azioni sono come l’aceto e le mitzvòt invece sono buone e dolci come il vino.
T.B. Berakhòt 5b
David Piazza
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