Tempio di via Eupili – Milano
Nel nosto vivere quotidiano trasmettiamo costantemente messaggi silenziosi attraverso il nostro aspetto, le nostre espressioni e persino i nostri vestiti. La Parashà di Tetzave offre una descrizione elaborata dei “paramenti sacri” del Kohen Gadol. Rav Sacks, z”l, sottolinea quanto apparentemente contraria una descrizione così ampia dell’abbigliamento sia all’ideologia ebraica che si focalizza sulla spiritualità, l’anima e la preghiera. Quando diciamo lo Shemà chiudiamo gli occhi per raggiungere Hashem e concentrarci sul “mondo del suono: delle parole, della comunicazione e del significato”. Nelle Parashot precedenti, l’abbigliamento è legato alla colpa e al tradimento: Nel Giardino dell’Eden, per coprire la nudità e la vergogna di Adam e Chava, l’inganno di Yaacov al padre per prendere la benedizione del fratello, l’inganno di Tamar a Yehuda, il vestito di Yosef tradito dai suoi fratelli, e il tentativo di seduzione della moglie di Potifar. Qui, per la prima volta, l’abbigliamento ha un connotato positivo. L’abbigliamento del Kohen Gadol è descritto come “splendido e glorioso”. Come afferma Rav Sacks z”l, “la spiritualità umana riguarda le emozioni, non solo l’intelletto; Il cuore, non solo la mente”. L’estetica di questa “uniforme” è un modo visivo per ispirare stupore.
Il Rambam rileva l’importanza di distinguere i Kohanim dal resto della popolazione, di dare loro grande onore, come mezzo per elevare la “stima del Tempio” quando scrive, “L’anima ha bisogno di riposare e di fare ciò che rilassa i sensi, come guardare le belle decorazioni e gli oggetti, affinché ne sia rimossa la stanchezza” (La guida per i perplessi). L’Or Hachaim suggerisce che le vesti non dovevano mostrare la “gloria e lo splendore” di Aharon, ma la gloria e lo splendore di Hashem, poiché il Kohen Gadol è l’ambasciatore nominato da Hashem in questo mondo. L’Or Hachaim scrive che c’erano un totale di otto indumenti: quattro di lino bianco, che riflettevano il tiferet, lo splendore di Hashem, e quattro d’oro, che rappresentavano la gloria, kavod. Si può essere impressionati da un sovrano a un livello commisurato al suo rango, ma questo non implica necessariamente splendore; un tiranno può ispirare onore e rispetto, ma probabilmente non definiremmo un tale individuo come “splendido”. Mentre la gloria ispira un onore basato sulla paura, lo splendore è una reazione incentrata sull’amore.
È interessante notare che in un anno non bisestile come in realtà è quest’anno, questa Parashà venga letta vicino a Purim. Nella Meghillat Esther troviamo un tema simile. Nel primo capitolo leggiamo «quando [Achashverosh] manifestò per molti giorni le ricchezze del suo glorioso regno e l’onore della sua splendida maestà». La festa aveva lo scopo di mostrare il potere del re attraverso un’esibizione delle sue ricchezze, ma anche di mostrare al popolo la sua maestà e splendore. La parola splendore ricorre ancora una volta quando Achashverosh chiede ad Haman “che cosa si può fare per l’uomo che il re desidera rendere splendido?” Haman credeva che questo fosse in riferimento a lui, anche se possedeva già il sigillo reale, che rappresentava il potere del re. Cercava qualcosa che rivelasse il suo potere al popolo e dimostrasse la sua conformità agli ideali e alle politiche del re, quindi suggerì che tale persona dovesse anche indossare i vestiti del re in pubblico. Haman capì che avere il potere non era abbastanza per ottenere il rispetto e l’onore che desiderava. Aveva bisogno dello splendore di Achashverosh. Eppure è Mordechai che alla fine indossa le insegne del re per sfilare davanti alla popolazione. Anche se Mordechai non possedeva alcun potere nel regno, il suo potere proveniva dallo Splendore Divino, dall’interno. Il mantello del re forniva a tutti una “manifestazione terrena” di questo potere.
I nostri corpi rappresentano il fisico, il mondano, ma abbiamo la capacità di elevarci e santificare il mondano. Secondo il Talmud, ciascuno degli elementi dei paramenti del Kohen Gadol serviva per espiare peccati come arroganza, mancanza di giustizia, pettegolezzi e immoralità. Il risultato finale eleva così l’uomo comune a un livello di “splendore e gloria” degno di servire nel Tempio. Il Kohen Gadol aveva un’incredibile responsabilità che richiedeva un’intensa concentrazione e devozione. Indossare i paramenti avrebbe assicurato che il suo cuore e la sua mente fossero concentrati. Tuttavia, “quando gli indumenti vengono tolti, tornerà di nuovo ad essere un uomo comune” (Rav Kook).
I vestiti e l’uniforme che indossiamo possono influenzare chi ci circonda, ma anche il nostro comportamento e temperamento può fare lo stesso (Sefer Hachinuch). Allo stesso modo, come i sentimenti possono motivare l’azione, l’azione può influenzare il modo in cui ci sentiamo. Come ci ricorda Rav Sacks z”l, l’idea di Hiddur Mitzva, l’essere più precisi possibile e superare noi stessi nel compiere una Mitzva, può farci risalire al Mishkan.
Nell’abbellire un atto, lo eleviamo, e la bellezza colpisce l’anima. Sforzarci per migliorare il modo di fare le mitzvot e noi stessi cambia il modo in cui ci sentiamo. Anche se non ci sentiamo ispirati, costringerci a mostrarci e ad agire, fare la nostra parte al meglio di noi stessi alimenterà e svilupperà forti emozioni. portandoci al successo e a portare splendore, gloria, bellezza e giustizia in questo mondo.