Benedetta Grasso
Oggi li vediamo su Youtube, a Broadway organizzati a volte anche da attori ebrei importanti nei giri artistici di Manhattan, nelle miriadi di associazioni ebraiche, nelle sinagoghe, in piccole produzioni amatoriali, nelle scuole, nelle case, osservando il bambino che sbuffa perché la mamma l’ha costretto a recitare di fronte agli zii, quello che da grande sogna di essere un comico e lo usa come trampolino di lancio. Ci si cimentano grandi giornalisti del New Yorker come Adam Gopnik, improvvisandosi in discorsi esilaranti e pieni di riferimenti culturali, comici, i fumettisti satirici, autori teatrali, tra i primi vati del genere c’era Sholem Aleichem.
Sono i Purimspiel. La quintessenza dell’esercizio di stile teatrale ebraico, la risposta yiddish alla commedia dell’arte nata nel 1500. Spiel in yiddish significa gioco, spettacolo, come play in inglese e il teatro yiddish, sbocciato poi con i vaudeville nel Lower East Side, ha dato origine al teatro e al cinema negli Stati Uniti e ha piantato radici diverse che nel resto del mondo.
Purim non è solo una festa che celebra il travestirsi, l’irriverenza, un’occasione per la tzedakah, un rito religioso, o una “fashion week” dei più piccoli, ma tra letture della megillah notturne nei bar del Village è l’apice della creatività teatrale. Negli shtetl questa improvvisazione amatoriale aveva inavvertitamente stabilito le mansioni odierne del cinema, portandole poi a Los Angeles a inizio ‘900, insieme alle invenzioni di Edison: gli artigiani diventavano costumisti, i musicisti davano un ritmo che avrebbe predetto i cantanti folk di oggi, gli studenti sceneggiatori e attori, a volte acrobati. Le famiglie che avevano più soldi, dopo l’emigrazione in America, pagavano anche i pranzi nelle yeshivot, perdendo l’aspetto errante dell’andare di casa in casa. I primi film yiddish girati nel nord dello stato di New York o nel New Jersey cercavano di ricostruire lì paesaggi dell’Est Europa o a volte biblici, con protagonisti nevrotici, ossessionati dalla cultura e dallo studio, auto-ironici…
Durante Purim, come per qualsiasi altra festa ebraica la dimensione newyorkese è sempre diversa, nonostante l’atmosfera recente di minacce, cimiteri violati e tensione di vario genere. Nella sua forma tradizionale Purim interessa principalmente famiglie con bambini, in quella più festaiola i ventenni e trentenni con l’ormai famosissimo “Purim Ball”. La tradizione del Purimspiel, come spettacolo o comicità folle, però è stata preservata da associazioni nate nell’ ‘800 come un gioco creativo, non un racconto letterale come a Pesach, e nello spirito del sovvertimento del mondo di Purim, l’ironia regna sovrana: possono essere monologhi, o diversi attori che si passano la palla nel raccontare vari passaggi della storia di Esther, ma anche performance art o inserti folli e surreali sui giornali come il New York Times.
E’ un trolling intellettuale e artistoide, non per forza politico (a parte qualche eccezione recente), ma fondato su maschere che in realtà c’entrano poco appunto con la storia di Purim in sé e che è più radicato nell’Est Europa e quindi ora nel Lower East Side e in alcune parti di Brooklyn: i payats sono i pagliacci, lets i buffoni, i comici, nar lo scemo e il marshalik, colui che guida la cerimonia.
Però perché a Purim allora? Oltre all’uso di queste figure simili al nostro Arlecchino e Pulcinella, ma che hanno posto le basi della comicità ebraica moderna nelle sue varie forme, il Purimspiel è l’origine della parodia, inizialmente nella forma di canzoni a cui venivano cambiate delle parole e poi diventando un corso di scrittura creativa con vino e megillah: si può raccontare la storia dal punto di vista del re Assuero? E da quello di un personaggio minore o che non esiste come il fratello o la sorella di qualcuno? E’ il primo caso di fan-fiction.
Durante l’Illuminismo ebraico, l’Haskalah, le parodie diventano più taglienti e più contemporanee, ispirate anche al confronto tra i nuovi razionalisti e chi sceglie un approccio più letterale, impostando la sfrontatezza allegra come standard e unendosi agli obblighi tradizionale della gioia, dello studio (e dell’ubriachezza!). Il teatro inizialmente era visto come pagano ai tempi dei romani, ma questo anche perché erano i tempi dei gladiatori, non era atipico che un ebreo fosse nella bocca dei leoni… poi la farsa e il melodramma ha preso piede.
Stranamente, a parte qualche tentativo semiletterale di Amos Gitai e produzioni israeliane, o qualche menzione o film minore internazionale, Purim rimane sui palchi e non passa nei cinema. Un film indipendente che non ha avuto troppo successo è “For Your Consideration?” (2006), scritto da Christopher Guest e Eugene Levy, che prendeva in giro la frase che di solitao si allega quando si mandano film agli Oscar. Con attori importanti e guest star, ci sono anche comici come Ricky Gervais. Nel film si segue una troupe che sta girando il film “Home for Purim”, con pochissimo budget, con un’attrice principale che è famosa per essere l’immagine di una marca di Hot-dog kasher che pubblicizza indossando poco o niente (già famosa per un ruolo come prostituta cieca negli anni ‘80). Nel film fingono di essere i genitori di una famiglia ebraica negli anni ‘40 ed è tutto completamente ridicolo. Nessuno va home for Purim (a casa per Purim), non è Pesach e questo è già il primo aspetto assurdo, l’altro è che questo film a costo zero inspiegabilmente inizia a far parlare di sé per gli Oscar.
Ironicamente invece qualsiasi tentativo più entusiasta perde un po’ l’irriverenza. Ci sono cartoni fatti da gruppi religiosi dove si inseriscono elementi divini riadattando il libro di Esther che è l’unico che non ne fa menzione. E poi c’è “Meghillas Lester”, che è stato descritto come un mix tra la Pixar e “Ritorno al Futuro”, un cartone che in effetti a livello di animazione è piuttosto avanzato: la storia parla di un ragazzino ebreo americano, Lester, che sta appunto per mettere in scena il Purimspiel con la scuola ma sviene e si ritrova all’epoca di Haman, fa vari pasticci spazio-temporali e deve trovare un modo di salvare gli ebrei per sempre con Esther. Semplice ma ha riempito un buco nel mercato.
E’ importante ricordare che lo studio, l’interpretazione e la lettura obbligatoria, anche se magari gioiosa, è diversa dal Purimspiel. Inoltre a volte ci possono essere recite moderne non per tutti, che si legano a cause di diritti civili o di giustizia sociale.
Insomma a New York il Purimspiel è un affare semiserio, ma molto serio. Forse una delle goliardate che sarebbe prudente lasciare da parte quest’anno è quella di inserire una notizia falsa o satirica sui giornali: in tempi di fake news, il confine tra farsa e dramma è labile.
Il libro di Ester al cinema:
The Book of Esther (2003)
Esther e il Re (1960)
Ester (1999)
Esther (1986)
http://www.ugei.it/purimspiel-a-manhattan-una-tradizione-che-si-rinnova
Benedetta Grasso è una sceneggiatrice cinematografica, scrittrice e giornalista che vive a New York dal 2006