Furono mandate delle lettere per mezzo di corrieri in tutte le provincie del re perché si distruggessero, si uccidessero, si sterminassero tutti gli ebrei, giovani e vecchi, bambini e donne… (Estèr III, 13)
Per Hamàn non era sufficiente sterminare – leabèd il popolo ebraico. Prima dello sterminio voleva anche lehashmìd ve–laharòg distruggere e uccidere uomini, donne e bambini. Nel testo della Meghillà, come si evince anche da una semplice lettura, vi sono tanti sinonimi che indicano il desiderio di annientare il popolo ebraico. Ma nella Meghillà, come in tutto il resto del Tanàkh, non vi sono mai termini superflui.
‘Amalèk, nella storia di Israele è rimasto solo un’immagine di disfacimento, di un momento storico che porta alla distruzione o di una vita umana cancellata da sciagurati eventi. Hamàn, con la sua geniale perfidia, ci ha saputo insegnare come sia possibile causare un vero dolore e cancellare una vita. Il Maestro Rav Chaiìm Fridlander (1923 – 1986), uno dei grandi Dotti del ’900, riportando il pensiero del Gaòn di Vilna (1720 – 1797), spiega che la distruzione voluta da Hamàn è prima di ogni altra l’abbattimento dello spirito. In altre parole, la fine di una persona è insita nella tristezza e nella malinconia. La Torà si sofferma spesso sulla simchà, sulla gioia. Yaakòv, spiega Rashì, proprio quando sul letto di morte vide il triste futuro dei suoi figli e dei loro discendenti la sua forza profetica scomparve. Ancora Yaakòv, per ventidue anni, il periodo in cui non ascoltò più la voce del figlio Yosèf venduto dai fratelli, non ebbe alcun dialogo, neppure con D-o. In un certo senso, il Signore scomparve dalla sua storia e fu lo stesso Patriarca a non poter sentire alcuna voce che proveniva dal cielo. È lo sconforto che limita la voglia di vivere e oscura il presente ed il futuro dell’essere umano. Hamàn sa bene che per cancellare Israele è necessario generare nell’ebreo mestizia ed inquietudine. Questa era la prima forma di distruzione da lui pensata. Lasciare una persona in solitudine, non saper ascoltare chi vive un momento di abbattimento, non cercare di far tornare la gioia in colui che l’ha perduta è un modo di agire assai simile a quello pensato da Hamàn. Mishenikhnàs adàr marbìm besimchà – Da quando entra il mese di Adàr si deve aumentare la gioia, insegnano i Maestri. È il ritorno dell’allegria e della soddisfazione la prima cosa basilare necessaria per cancellare una distruzione.
Ma ad Hamàn non bastava portare solo tristezza. Egli voleva anche laharòg – uccidere ogni ebreo. Uccidere significa cancellare il dono della vita. Ma quale vita? Quando nell’uomo fu immesso il soffio che lo portò all’esistenza, la Torà afferma che egli divenne nèfesh chaiià – un essere vivente (Gn. II, 7). L’antica traduzione aramaica di tali parole spiega che in quell’istante l’uomo iniziò a parlare, dando un senso all’alito che gli era stato donato. La parola è la vita. Il colloquio, il piacere della conversazione amichevole, il semplice parlare in modo pacato e affettuoso è una grande forma di esistenza. Il dispiacere che toglie la parola, la rabbia che genera il silenzio sono invece gravi forme di morte. Per il popolo ebraico il colloquio e la relazione umana sono sempre stati fondamentali. Yosèf venne sì venduto, ma ciò che portò a tale malaugurato atto fu, come afferma la Torà, la mancanza di un dialogo amichevole tra i fratelli: ve-lòiach elù dabberò le-shalòm – che non potevano più parlargli in pace (Gn. XXXVII, 4). Hamàn voleva quindi togliere agli ebrei i punti d’incontro e i momenti di amicizia. Solo dopo tutto ciò egli disse: “Ora, dopo la fine della gioia e del dialogo è possibile uccidere anche fisicamente il popolo ebraico”.
Sono ormai trascorsi due lunghi anni che alla nostra comunità è stata tolta dagli eventi la gioia di vedere i nostri Batè Ha-Kenèset pieni di adulti e giovani riuniti assieme. Ma è da qualche settimana che la gente di ogni età è lentamente tornata al Tempio a pregare e a studiare. Finalmente si ascolta nuovamente la voce dei bambini cantare assieme e li si vede accanto al Sèfer Torà. Pian piano sta tornando la felicità, la parola, il dialogo e il sorriso. Abbiamo vinto Hamàn e ‘Amalèk un’altra volta. E lo vinceremo sempre.
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