Rav Roberto Bonfil
Nella storia di tutti i popoli, restano fissate alcune date, alcuni avvenimenti che per il loro significato emergono, restano fuori dal tempo, rappresentano dei simboli che poi l’Umanità osserva, classifica e deve tenere presenti per regolare il suo cammino nella Storia. La storia del popolo ebraico è piena di questi simboli, conquistati nella loro massima parte con molte lacrime e sangue. La festa di Purim, come molte ricorrenze ebraiche, ha essa pure un fondamento storico trasformatosi nel tempo in simbolo, della vita degli ebrei, nella loro diaspora, attraverso lotte e persecuzioni, stermini e salvezze effimere.
A tutti è noto il racconto biblico, contenuto nel libro di Ester, sul perfido consigliere del re Assuero, Aman, il quale per primo nella storia poté concepire il tremendo disegno dello sterminio dell’intera popolazione residente nel paese. Tutti hanno sentito, in età più o meno tenera, come il Re Assuero, mosso a pietà della bella regina Ester abbia annullato il perverso disegno del suo consigliere, come lo abbia fatto uccidere insieme ai suoi accoliti. La storia è semplice, si potrebbe dire quasi elementare. Sono in primo piano il palazzo del Re, gli intrighi di corte, la vanità dei consiglieri. Sullo sfondo un popolo che piange il suo triste destino e poi, scampato il pericolo, esulta festoso e ringrazia commosso il D-o salvatore. Ma gli anni passarono, accumulando disgrazie su disgrazie sul popolo ebraico. La ricorrenza di Purim venne ad assumere così un significato più profondo, più vivo, più palpitante, giacché nessuna ricorrenza ha senso, se coloro che la commemorano non la rivivono nuovamente nel loro intimo, ricchi delle conoscenze e delle esperienze acquisite. Gli ebrei infatti hanno veduto, e continuano a vedere in essa lo specchio delle persecuzioni di ogni epoca. Ed anche quando il popolo ebraico non poteva protestare a voce alta contro i suoi persecutori, la lettura del libro di Ester costituiva la sua protesta, sostituiva il suo grido di dolore. Ed è questa la profonda ragione per la quale si è istituita come norma rituale ebraica il leggere il libro di Ester nella notte, vigilia di Purim, e ripeterne la lettura durante il giorno.
Per nessun altro brano della Bibbia si è istituita come obbligatoria una doppia lettura: mentre la lettura del giorno è rivolta alla commemorazione pubblica di un fatto storico, quella della vigilia, al termine di un giorno di digiuno e di afflizione, indica la partecipazione dell’animo dell’ebreo alla dolorosa storia del suo popolo, la preghiera, l’invocazione dell’aiuto divino.
Nel libro di Ester, leggendo fra le righe, si trova tutta la tremenda realtà di un presente o di un passato troppo prossimo, si trova per la prima volta nella storia, l’ideologia razzista nella sua forma più primitiva, più bestiale, quella storia che a noi delle ultime generazioni è toccato di vedere sistematicamente realizzata, ma si trova anche la fonte alla quale i nostri fratelli hanno attinto forza e coraggio per resistere agli attacchi della storia che attraverso alcuni dei suoi artefici ( o non artefici: come si preferisce) ha ripetutamente voluto cancellare il nome del popolo ebraico dalle sue pagine.
Presso tutti i popoli ogni ricorrenza è caratterizzata da uno speciale complesso folcloristico che ne accentua le particolarità, ne sottolinea il significato. La ricorrenza di Purim, come si è già detto, rappresenta il simbolo della vita ebraica della diaspora, questo simbolo prende corpo nella casa ebraica, nella strada del ghetto, nella sinagoga. La ricorrenza di Purim differisce, tra l’altro, dalle altre ricorrenze ebraiche, per la esuberante allegria che in essa il popolo ebraico usa manifestare, nonché per la bella usanza di inviare doni agli amici ed ai poveri.
L’allegria spinta all’estremo sta a significare come il popolo ebraico abbia sempre desiderato che questo giorno fosse il simbolo della sua salvezza definitiva dalle mani dei suoi oppressori. Nel miracolo di Purim gli ebrei hanno veduto la realtà del verso del salmista secondo cui “NON DORME NE’ SONNECCHIA IL CUSTODE D’ISRAELE”.
Il popolo ebraico vuole esprimere la sua fiducia nel D-o Salvatore, la confidenza in Lui e la consegna incondizionata del proprio destino nelle mani della provvidenza divina, attraverso questa gioia estrema che, per un giorno, la porta a non pensare più a nulla.
E’ cara la tradizione di Purim all’animo ebraico che l’ha celebrata festeggiandola anche nei momenti più difficili, anche durante le più aspre persecuzioni. E’ cara questa tradizione perché attraverso il riso e l’allegria il popolo ebraico, che ha appena finito di asciugarsi le lacrime, esprime il suo più ardente desiderio di non soffrire più, di non essere più fatto bersaglio dell’odio di razza, di non piangere mai più. Esprime il suo anelito alla pace e alla tranquillità, a una pace e tranquillità, che non siano più brevi schiarite fra una guerra e l’altra, fra uno sterminio e l’altro, bensì il risultato ultimo, definitivo ed universale dell’evoluzione della Storia.
L’ebraismo crede nella futura unità degli uomini, nell’attuazione del comune ideale del BENE. Il pensiero ebraico è ottimista perché, come ha sottolineato un Maestro, la fede nel D-o buono, nella fondamentale purità e capacità dello spirito umano, nel valore della vita hanno dato ad Israele la necessità di credere che gli uomini possano un giorno raggiungere con le loro forze la meta. La gioia espressa a bocca e cuore pieni, così come la semplice e bella usanza di inviare doni ai poveri ed agli amici nel giorno di Purim sottolineano questi concetti, perché difatti l’invio di un dono vuol essere un ulteriore simbolo dell’anelito alla fratellanza fra gli uomini, a quella fratellanza che D-o ha ordinato a tutti gli uomini con il sublime imperativo biblico: “AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO”.
Il popolo ebraico desidera, attraverso ogni sua espressione, dimostrare come sia possibile creare uno sfondo di utile, proficua amicizia fra gli uomini: il piccolo popolo ebraico vuole estendere questo invito a tutti i popoli, grandi e piccoli, deboli e potenti, anzi soprattutto potenti.
Gli antichi Maestri, considerando le lettere ebraiche che formano la parola Purim nonché le iniziali delle altre cinque grandi feste ebraiche, hanno detto che Purim le ricorda tutte. Di più essi hanno detto: quand’anche tutte le altre venissero abolite, Purim non lo sarebbe mai: perché nel significato della ricorrenza di Purim c’è un po’ del significato di ognuna delle altre ricorrenze, c’è un po’ di tutto quanto il popolo ebraico e gli uomini di coscienza vorrebbero che diventasse l’ideale della Umanità intera: la fede in D-o Creatore, la fratellanza fra gli uomini, l’unione di tutti gli uomini nella comune aspirazione per un ideale di pace, di serenità, di progresso.
(Conversazione tenuta alla RAI — Radio Televisione Italiana — programma nazionale — il 13 marzo 1960)