Rav Giuseppe Momigliano
“Da quando inizia il mese di Adar si aumenta la gioia”, così ci insegnano i Maestri (TB. Ta’anit 29a); in questi giorni, alla vigilia del mese di Purim (quest’anno Adar II) ci chiediamo cosa fare di una prescrizione che ci parla di gioia, di un sentimento che ora difficilmente troviamo nel nostro animo, tanto meno sentiamo di poter aumentare il poco che vi sia rimasto.
Cosa rispondere? Inizio con la risposta più difficile, che scrivo – ma niente è casuale – nel corso di un viaggio della Memoria in Polonia. Con questo personale coinvolgimento emotivo riporto un pensiero di Elie Wiesel (richiamato in un articolo di rav Ronen Noibert), che scriveva: “Il Gaon di Vilna diceva che il precetto ‘Gioisci nella festa’ è la mizvah più difficile da osservare, solo nei giorni della guerra ho capito il pensiero del Maestro. Quegli ebrei che, mentre andavano verso la fine di ogni speranza, riuscirono a danzare per Simchat Torah, quegli ebrei che studiavano a memoria pagine di Talmud mentre portavano pesanti macigni sulle loro spalle, quegli ebrei che silenziosamente intonavano i canti dello Shabbat mentre dovevano compiere lavori massacranti, loro ci hanno insegnato come un ebreo deve comportarsi nel momento della sventura. Per quelli della mia generazione il comandamento della gioia era una disposizione impossibile a compiersi, eppure è stata realizzata”.
Altre risposte sono individuate nelle riflessioni che invitano a vivere la gioia di Purim, come un sentimento ampio e profondo, non limitato a un superficiale stato d’animo di contentezza individuale e non ristretto nei margini di tempo dei giorni della festa. La prima riflessione le quattro mizvot di Purim: solo due, la lettura della Meghillà di Ester sera e mattina, e il pasto festivo, appaiono legate alla ricorrenza;gli altri due precetti, fare doni ai poveri e regalare dei buoni cibi ad amici, non sembrano collegati con il significato di Purim. Qual è allora il senso di questi comandamenti? La mizvà del dono ai poveri ci ricorda che non esiste vera gioia che prescinda dall’aiuto, discreto ma concreto, a chi ne ha più necessità; un precetto che ci impone di guardare attorno a noi con attenzione e sensibilità, con la consapevolezza che lo stato d’animo personale, proprio in quanto poco propenso a gioire, ancora di più deve indirizzarci verso coloro che, oltre a condividere le stesse angosce, vivono con maggior disagio la quotidianità per la ristrettezze dei loro mezzi. In modo analogo, i regali a persone care ci dicono che la gioia significa anche rinnovare e rinsaldare legami di amicizia con gesti di attenzione e gentilezza; che sentiamo possibile confortarci nel tempo della tristezza e trovare insieme, nei sentimenti condivisi, la forza e il coraggio per affrontare le difficoltà.
Tutte le mizvot di Purim manifestano la gioia alimentando comportamenti e sentimenti positivi da sviluppare nel resto dell’anno: la fiducia che anche nei momenti più duri sia sempre nascosto un progetto di D.O; la forza più intima che proviamo nel far parte di un popolo che ha visto sparire i nemici più crudeli; l’attenzione e la generosità verso chi è attorno a noi; la gioia più profonda di questo Purim, è sentire che, malgrado tutto, siamo dalla parte giusta.
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