Il discorso del Rabbino Samuele Colombo per le vittime del terremoto del 1908, con spunti sempre attuali
Il 28 dicembre 1908 si verificò uno dei terremoti più disastrosi che la storia ricordi, certamente la più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime e il disastro naturale di maggiori dimensioni che abbia mai colpito il territorio italiano. Perlomeno centoventimila persone persero la vita nel sisma che colpì soprattutto le città di Messina e Reggio Calabria. In tutto il Paese, comunità ebraiche comprese, lʼimpressione e il cordoglio furono enormi. Il 14 gennaio del 1909 nel Tempio di Livorno si tenne una cerimonia di suffragio per le vittime e rav Samuele Colombo, rabbino maggiore di quella comunità, tenne un discorso, pubblicato poi col titolo di Per le vittime di Calabria e Sicilia.
La situazione odierna non è paragonabile a quella catastrofe, certamente possiamo ancora augurarci che il numero delle vittime, in tutto il mondo, non si avvicinerà a quello di quel disastro. E comunque, rileggendo il discorso di rav Colombo, non possiamo non trovarci spunti e insegnamenti validi anche per la pandemia del 2020, che sta colpendo così duramente proprio lʼItalia.
«… compito nostro» disse quella sera rav Samuele Colombo dalla sua cattedra « … è … rilevare il grande insegnamento che lʼinaudita sciagura ci porge naturale. Riflettiamo dunque e impariamo: È da credersi forse che la grande sventura, che ha così terribilmente colpito quelle povere popolazioni, abbia colpito quelle soltanto? No; le condizioni della odierna civiltà, togliendo le barriere di qualsiasi natura, han fatto di tutti gli uomini, una sola, una grande e immensa famiglia che ha propaggini e ramificazioni per tutto lʼorbe abitato. Il dolore quindi di un membro e di un figlio è dolore di tutta quanta la famiglia umana; il dolore di un lembo dʼItalia è dolore di tutta la penisola, è dolore del mondo intero.
Ma vʼè un altro fatto assai più grande: Non tutte la famiglie, nè tutti gli uomini del mondo hanno avuto, per quel disastro, morti da piangere o amici e parenti a cui pensare e per cui trepidare. Eppure tutti, si può affermarlo con sicurezza, tutti alla notizia della terribile sciagura e alla descrizione dei suoi particolari, tutti han sentito ripercuotere nel profondo dellʼanima propria, la eco paurosa di quelle grida di dolore; tutti, senza unʼeccezione, han sentito sconvolgersi le viscere più riposte; tutti han sentito straziarsi e dilaniarsi il cuore! Come nella vasta pianura dellʼOceano unʼondata chiama e altra lontanissima risponde così, nel più vasto mare della vita, un gemito ha risposto ad altro gemito; il gemito dei lontani viventi ha risposto al gemito dei lontani moribondi e dei lontani pericolanti! Ogni anima ha risposto, con mirabile armonia, al grido dolorante di unʼaltra anima, di tante altre anime lontane! Ogni anima ha riconosciuto, in quel grido, il grido di mille e mille anime sorelle! Se uom dunque riconosce e ravvisa tante sorelle in tante altre anime che vivono, non viste, le mille miglia lontano, che segno è questo se non che lʼUmanità è davvero per propria natura, per propria origine e per i propri destini, una famiglia intera, una famiglia sola?
E se tutte le anime di questo mondo si sentono davvero e invincibilmente sorelle, che rimane a concludere se non chʼesse siano figlie di un padre comune, di Dio Eterno e Infinito? …»
E così concluse rav Colombo: « Preghiamo … O Tu, buono, non sottoporre più la nostra povera Terra, non sottoporre più le Tue misere creature a prove spaventevoli e micidiali!
Daʼ ora Tu, pietoso, tregua alla Terra, ancora trepidante, daʼ tregua al povero genere umano, tuttora sanguinante!
Accogli, amoroso, fra le Tue braccia protettrici, tutte quelle singole vite che le forze brute han travolto ora e spezzato innanzi tempo. Accoglile Tu, grande, proteggile ed accompagnale, provvidente, per tutto lo sterminato corso delle loro esistenze, nellʼinfinito ed eterno ocenao della vita senza fine.
Salva e proteggi e consola i rimasti a piangere quaggiù. Faʼ che nessun capriccio della natura ne recida a metà lo stame dellʼesistenza terrena. Preserva, con loro, ogni altra Tua creatura. Faʼ che nessuno dei mortali muoia innanzi tempo, innanzi dʼaver condotto a termine la propria parte di lavoro, quel compito che Tu hai assegnato in questo, già per sè, breve pellegrinaggio. Faʼ che dal dolore e dalle sciagure tutti imparino, prezioso insegnamento, gli uomini esser nati non a combattersi e a dilaniarsi lʼun lʼaltro, ma a sorreggersi, ad amarsi, a consolarsi a vicenda!
Proteggi e benedici lʼItalia onde abbia agio dʼincamminarsi al conseguimento di quella perfezione morale che a Te è tanto cara!»
Samuele Colombo, Per le vittime di Calabria e di Sicilia. Discorso tenuto la sera del 14 gennaio 1909 nel Tempio Maggiore della Comunità Israelitica di Livorno. Livorno: Belforte, 1909. (ricevuto dall’amico Ariel Viterbo)