“La fiction ‘Sotto il cielo di Roma’ è una patacca propagandistica, è un’opera apologetica”. Il giudizio del rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni
Per gentile concessione di Shalom il testo completa dell’intervista
E’ appena terminata la visione in due puntate dello sceneggiato ‘Sotto il cielo di Roma’ che racconta le ore più drammatiche dell’occupazione nazista e di come si comportò il Vaticano verso gli ebrei. Che sensazioni, che giudizio ne trae?
Molto semplicemente direi che questo sceneggiato è una patacca, che persegue una finalità ben precisa, quella di dimostrare l’assoluta bontà di quel Pontefice e la giustificazione politica e morale di tutto ciò che ha fatto. La questione quanto mai controversa non si può esaurire con una discussione rapida e semplificata che finisce con una assoluzione finale scontata e apologetica, senza mostrare tutti gli aspetti e tutti i dati. Lo dico con particolare rammarico personale, avendo collaborato a lungo anni fa con la società produttrice del filmato, che quando produceva film di argomento biblico era molto attenta alle differenti sensibilità. Lo sceneggiato di oggi è invece a senso unico, con l’aggravante di una impostazione storica carente, piena di errori e imprecisioni, con scelte politiche gravi, come ad esempio la rimozione delle responsabilità fasciste. Tra i tanti errori, anche il falso, come la circostanza che l’intervento vaticano avrebbe fatto finire in anticipo la razzia del 16 ottobre. Non è vero, i tedeschi andarono avanti indisturbati secondo il loro programma, nessuno non solo li fermò, ma neppure tentò di farlo. Insomma, è un vero peccato che con tanto investimento di risorse e di bravi attori il risultato sia stato solo un film di propaganda.
Pensa quindi che questo lavoro televisivo sia stato per cosi dire commissionato?
Questo non lo posso sapere. Posso solo osservare che su questa storia c’è una drammatica discussione in corso da moltissimo tempo, con opinioni contrapposte . Questa fiction appoggia in pieno, senza mediazione, una delle due opinioni. Mi meraviglio anche come la Rai abbia potuto consentire una realizzazione così parziale, venendo meno all’obbligo di informazione obiettiva di un servizio pubblico.
Le perplessità, le critiche sono rivolte in fondo ad un prodotto televisivo che persegue uno scopo commerciale, che avrà una vita breve, che non sarà certamente utilizzato da storici e ricercatori. Questo non costituisce forse una sorta di piccola attenuante?
Il problema è che il prodotto televisivo, a differenza del saggio storico, è facilmente fruibile, entra con prepotenza e con facilità nelle case degli italiani e non tutti hanno le capacità e le nozioni per guardarlo e per giudicarlo con occhio critico. Molti, questo è la nostra preoccupazione, prenderanno per buone le omissioni, le falsificazioni e le acriticità presenti nella fiction. Un esempio: per spiegare il silenzio di Pio XII, si cita il caso dei Vescovi olandesi che protestarono contro la persecuzione antiebraica, cosa che causò un accanimento da parte dei nazisti con l’aumento delle deportazioni. La tesi dei difensori di Pio XII, esplicitamente citata nella fiction, è che il Papa alla luce della triste esperienza dei Vescovi olandesi preferì tacere piuttosto che complicare la situazione. Bisogna però fare alcune osservazioni. Se ci fosse stato un risveglio generale molto forte delle coscienze, e non solo nel caso olandese, quello che è accaduto forse non sarebbe accaduto; milioni di cattolici erano militari nelle potenze dell’Asse e il silenzio del loro capo spirituale poteva suonare come tolleranza.
In un altro caso, al contrario di quello olandese, la forte protesta religiosa e poi politica ha impedito le deportazioni: è quello che ha fatto la Chiesa ortodossa in Bulgaria, spingendo il governo e il re; è un fatto che mi coinvolge da vicino poiché lì abitavano i miei nonni materni, che si salvarono con altre decine di migliaia di ebrei. Ma nella storia olandese c’è un altro aspetto di cui di solito non si parla, perché si pensa solo in termini di ebrei contrapposti ai cosidetti ariani. Esisteva in realtà tra i due una terza fascia di popolazione, non insignificante, costituita da coppie miste, di figli di matrimoni misti e loro discendenti, di ebrei battezzati, tutte tipologie già prese in considerazione dalle leggi razziali, che rispetto agli ebrei dovevano essere molto più protetti da parte della Chiesa. Di questo erano ben consapevoli i nazisti, criminali sì ma non sprovveduti dal punto di vista politico, che utilizzavano questa fascia come strumento di pressione sulla Chiesa. E’ quello che succede in Olanda, dopo la protesta dei Vescovi questo gruppo viene preso e deportato nei campi di sterminio.
Attenzione però, le vittime di questa ritorsione non furono 40.000 come detto disinvoltamente nella serata di Porta a Porta, ma un gruppo di 694 ebrei cattolici e di 850 ebrei protestanti (di questi ultimi la maggioranza sopravvisse) La vittima più famosa è Edith Stein, una ebrea tedesca che si era battezzata e si era fatta suora e ora è santa, patrona d’Europa. Quindi i nazisti esercitarono il ricatto non tanto sugli stessi ebrei, che comunque sarebbero stati sterminati nelle camere a gas, ma su questi casi misti. Ed è ciò che al contrario accadde a Roma: nella retata del 16 ottobre 1943 vennero arrestate molte persone, dopo di che iniziò la selezione e un certo numero fu rilasciato. Sono queste le persone di cui la Chiesa si preoccupò veramente, in modo attivo e discreto, sapendo che se avesse protestato non sarebbero state liberate da sole. Ma se avesse protestato forse si sarebbero salvati anche gli altri 1090, semplici ebrei. Fece bene il papa a tacere e non rischiare? Possiamo almeno ammettere che questo va discusso senza arrivare a facili conclusioni? E poi perchè fermarsi alla storia degli ebrei romani? La Shoà riguardava tutta l’Europa, culla della cristianità.
E’ tutta la struttura della fiction che va a senso unico, a cominciare dal tema che lega la trama, il progetto nazista del rapimento del Papa. Ora, ammesso il progetto abbia avuto un suo sviluppo, c’è da chiedersi perché non sia stato realizzato; a parte il clamore e la protesta che avrebbe suscitato, quale sarebbe stata la ragione per i nazisti di rapire un Papa tanto acquiescente? Il 28 ottobre 1943 l’ambasciatore tedesco a Roma scriveva a Berlino in un rapporto confidenziale: “Il Papa, benché sollecitato da diverse parti, non ha preso alcuna posizione dimostrativa contro la deportazione degli ebrei di Roma. ….egli ha fatto di tutto anche in questa situazione delicata per non compromettere il rapporto con il Governo tedesco e con le autorità tedesche a Roma.”
Attorno al papato di Pio XII dobbiamo ancora leggere molti documenti e molte carte che il Vaticano non ha ancora reso accessibili. Esistono però tre punti fermi fra loro molto divergenti che bisogna considerare. Il primo è che la Chiesa di Pio XII anche nel 1943 continuò a manifestare un forte antiguidaismo, dichiarando ‘meritevoli di conferma’ le leggi razziali italiane e francesi. Il secondo è l’opera di salvataggio svolta da molti conventi ed istituzioni religiose cattoliche, sebbene alcune delle quali solo a fronte di un pagamento. Il terzo punto riguarda attestazioni di stima e di riconoscenza di parte del mondo ebraico, dal 1945 ai primi anni ’60, come ad esempio quello di Golda Meir. Tutto ciò non le appare quanto meno contraddittorio?
La questione è complessa così come tutto il papato di Pio XII e la reazione successiva a quel papato. Sulle leggi razziali bisogna dire innanzitutto che la Chiesa cattolica arriva al 1943 con un passato antico e recente di ostilità verso il popolo ebraico. Ostilità che in Italia si è manifestata con l’emanazione delle leggi razziali quando la Chiesa non protestò per l’intero impianto, ma espresse critiche solo per quella parte della legislazione che non riconosceva i matrimoni misti. Non si può capire nulla di ciò che è successo in quegli anni se non si tiene conto che allora l’ebraismo non era affatto nelle simpatie o nella protezione della Chiesa cattolica, si trattava pur sempre di “perfidi giudei” che scontavano il deicidio e la loro ostinazione. Ma il fatto che vi siano stati salvataggi durante l’occupazione di Roma è innegabile, è un fatto che non si può omettere o non riconoscere con gratitudine per i singoli religiosi e le singole istituzioni religiose cattoliche che tanto si prodigarono per la salvezza degli ebrei. Non è possibile un giudizio tutto bianco o tutto nero; la realtà è molto più complicata.
Sul terzo punto bisogna dire che il popolo ebraico appena uscito dalla Shoa ed investito del compito di curarsi le ferite e di costruire lo stato di Israele aveva problemi ben più urgenti dell’affrontare il processo storico riguardo Pio XII. Su questo presunto silenzio ebraico bisognerebbe indagare meglio, sa tanto di leggenda. Il fatto poi che Golda Meir con un telegramma o l’orchestra israeliana con un concerto abbiano espresso ringraziamenti non modifica il giudizio o perlomeno i termini del problema; e bisogna anche pensare al contesto storico e alla tristissima necessità del nascente stato ebraico di trovare aiuti e sostegni di fronte al nuovo tentativo di distruggerlo. Un comportamento, quello di Golda Meir (che non era politicamente perfetta….) che per altro non ha prodotto alcun beneficio: abbiamo dovuto attendere ancora molti anni prima che lo Stato di Israele vedesse il suo riconoscimento da parte del Vaticano. In quel famoso primo decennio postbellico i rapporti ebraico cristiani erano semplicemente quelli di prima, istituzionalmente gelidi. Il dialogo è stato inventato dopo. Attribuire ai servizi segreti comunisti la paternità del ripensamento ebraico sulla figura di Pio XII dopo la sua morte è una leggenda, è un modo per eludere il dibattito.
Elemento non secondario del dibattito attorno all’operato di papa Pacelli attiene alla sua santificazione. Si tratta di un aspetto della teologia cattolica sul quale il mondo ebraico si è sempre detto non competente. Ma allo stesso tempo l’eventuale santificazione di Pio XII sarebbe per ulteriore motivo di incomprensione. Può spiegare meglio questo aspetto?
Bisogna fare una distinzione. La beatificazione è un atto interno alla Chiesa che ha le sue motivazioni, i suoi rituali, una logica sui quali non abbiamo il diritto di interferire. Il problema è sul significato e sull’impatto dal punto di vista storico. Se la beatificazione significa che vengono premiate le sue virtù eroiche e religiose è un processo che ci lascia assolutamente indifferenti. Ma se la beatificazione è il riconoscimento della giustezza di certi comportamenti storici e questi comportamenti non sono chiari e anzi sono criticabili per molti aspetti, se la beatificazione vuole essere una sorta di lavatrice della memoria (di indifferenza se non di ostilità antiebraica) allora tutto questo lascia veramente perplessi.
In realtà il mondo cattolico, come ogni altro mondo, è umanamente diviso tra chi non tollera l’idea di dover ammettere errori commessi nel passato, specialmente se tali errori possono essere stati commessi dai suoi massimi rappresentanti e chi invece ritiene che le persone e le istituzioni possono sbagliare e si può andare avanti tenendo conto di questi errori, correggendoli per il futuro. La grande discussione non si risolve con le semplificazioni delle assoluzioni.
La questione su Pio XII è oggi uno degli elementi che rendono difficile la prosecuzione del dialogo tra ebraismo e cattolicesimo, un dialogo zoppicante. Oggi a che punto ci troviamo?
Il processo di pacificazione, questo è forse un termine migliore del dialogo, tra Chiesa cattolica e popolo ebraico è estremamente complicato. Ha fatto passi importanti negli ultimi decenni ed è un fenomeno storico di grandissima rilevanza al quale personalmente tengo molto. C’è da dire però che su questo processo tanto difficile spesso si assiste, con espressione comune, ad un passo avanti a cui seguono due passi indietro subito dopo e quindi ogni momento di questo difficile confronto ci riserva delle sorprese o delle delusioni. Non è stata certamente una sorpresa la dichiarazione finale del Sinodo delle Chiese del Medio oriente ma è stata chiaramente una delusione. Voglio invece dire che abbiamo molto apprezzato la nomina del nuovo responsabile per i rapporti con l’ebraismo, il neo nominato cardinale Kurt Koch che nel corso della manifestazione in ricordo del 16 ottobre ha usato parole molto forti e precise anche sulla responsabilità cristiana nel periodo della Shoa. Per cui sul dialogo ebraico-cristiano non si può trarre un giudizio unico: esistono molti elementi di perplessità accanto a molti motivi positivi e di speranza.
Vorrei però sottolineare una questione che ritengo centrale. Il dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo è una urgenza alla quale non possiamo sottrarci e anche se possono esserci momenti difficili, non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo.
Quando si potrà esprimere un giudizio definitivo sul pontificato di Pio XII, solo dopo che saranno stati resi pubblici tutti i documenti?
Il ritardo nell’apertura degli archivi indica che molte cose potrebbero essere rivelate e questo potrebbe significare che ci vorrà ancora molto tempo.