Tempio di via Eupili – Milano
Se qualcuno chiedesse di nominare il versetto più importante della Torà, probabilmente il primo pensiero andrebbe al Talmud Yerushalmi e a Rabbi Akiva che riporta che il versetto più importante è: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico 19:18). Amare il tuo prossimo come sé stesso significa mettersi nei panni di un’altra persona, empatia, essere sintonizzati e sensibili ai sentimenti di un’altra persona. Questa prospettiva è sostenuta anche da Hillel haZaken nel Talmud babilonese, quando gli venne chiesto di insegnare l’intera Torà mentre l’allievo stava in equilibrio su un piede, occasione in cui affermò notoriamente: “Non fare al prossimo ciò che è odioso per te. Il resto è commento, ora vai e impara”. Non tutti concordano con questa risposta. Secondo Ben Azzai, un contemporaneo di Rabbi Akiva, il versetto più importante si trova in Bereshit 5:1 dove è riportato che l’uomo è creato “a somiglianza di D-o”. Ben Azzai opta per un versetto con conseguenze di vasta portata per il pensiero politico.
Secondo Rashi, Ben Azzai sostiene che poiché siamo tutti modellati a immagine divina, possediamo tutti pari dignità e valori intrinseci non negoziabili, e quindi non dobbiamo essere disumanizzati, discriminati o assassinati. Anche lo Shema potrebbe essere considerato il versetto centrale della Torà. poiché esprime l’unità monoteistica di D-o. Oltre ai tre versetti discussi finora, c’è un quarto versetto considerato tra i più importanti della Torà.
Nell’antologia midrashica “En Yaakov”, compilata nel XV secolo da Rabbi Yaakov ben Habib, troviamo, riportato in accordo con Rabbi Shimon ben Pazi che il versetto principale della Torà si trova nella Parashà di questa settimana: “Offrirai il primo agnello al mattino e il secondo agnello al crepuscolo” (Bamidbar 28:4). Rabbi ben Pazi motiva questa scelta sostenendo che quello che attesta veramente il carattere di una persona sono le sue azioni. Alcuni Chachamim suggeriscono che l’attenzione del versetto al servizio quotidiano sottolinei il valore della coerenza e della devozione disinteressata, entrambe cruciali per l’adempimento delle mitzvot, altri sostengono che il versetto riveli quanto sia preziosa ogni singola mitzva. Potrebbe però esserci qualcosa di più profondo.
I sacrifici rappresentano delle dinamiche umane. I maestri chassidici insegnano che il mondo è stato creato “yesh me’ayin/qualcosa dal nulla”, e il nostro compito è invertire il processo e creare “ayin/nulla” da “yesh/qualcosa”. Vale a dire che sebbene ci consideriamo esseri individuali e significativi dobbiamo, attraverso il nostro servizio spirituale, giungere alla realizzazione che non siamo altro che espressioni della Divinità in questo mondo. Questa è l’intenzione più profonda dello Shemà, quando dichiariamo che D-o è uno e non c’è nient’altro. L’implicazione qui è che noi stessi non siamo esseri indipendenti o distinti, ma siamo semplicemente aspetti dell’infinita unità di D-o che sono stati racchiusi per così dire in contenitori fisici, i nostri corpi, per rivelare quell’unità in un mondo che non ne è consapevole. Questa epifania trascendente dello Shema è il culmine della tefillà del mattino. Ma per giungere a questa rivelazione, dobbiamo iniziare con i korbanot, il servizio sacrificale, che viene recitato proprio all’inizio delle tefillot di Shachrit e di Mincha. Mentre leggiamo degli animali che vengono consumati nel fuoco dell’altare, dobbiamo capire che l’obiettivo è raffinarci ed elevarci. Questo processo di “esecuzione” dei sacrifici attraverso la lettura nella tefillà, è la meditazione che accompagna ogni mattina e pomeriggio la recita del servizio sacrificale. Iniziamo la giornata estraendoci dai limiti imposti dal nostro materialismo e dall’egocentrismo che esso genera. Questo è il momento corretto per decidere che nei giorni a venire permetteremo al nostro “vero io” di manifestarsi e di irradiare ciò che ci circonda. Ogni giorno attraverso la tefillà lavoriamo costantemente per affinarci e, così facendo, cerchiamo di avvicinarci a D-o. Questo spiega perché i sacrifici sono chiamati “karbanot” dalla radice “karov” che significa “vicino”. Eppure, per quanto ci avviciniamo, il nostro lavoro non è mai completo, la nostra anima rimane legata a questo mondo per tutti gli anni che D-o ci concede. Comprendiamo così perché i saggi abbiano stabilito che il versetto “Offrirai il primo agnello al mattino e il secondo agnello al crepuscolo” sia il versetto più importante della Torà.
Il successo e la crescita in qualsiasi campo dell’attività umana, implica l’applicazione dei concetti espressi in questo versetto, la regolarità quotidiana. Troppo spesso, le persone cercano una svolta nella loro vita e si sforzano di raggiungere la crescita in un unico grande passo. Questo non è il modo più efficace. Il modo migliore per migliorarsi e crescere è semplicemente lavorare, giorno dopo giorno. C’è però di più. Questo versetto mostra come non solo la dedizione quotidiana, ma anche il sacrificio personale, siano la chiave del successo. Ci sacrifichiamo per le cose che riteniamo importanti. Per queste cose siamo pronti a sacrificare spesso non solo il nostro tempo ma alle volte anche qualcosa di più. La Torà qui dà la chiave del successo Dobbiamo essere costanti, trovare il tempo nella routine quotidiana per fermarci, dare una dimensione alle cose, vedere cos’è più importante, migliorarci. Il modo di migliorarci ci viene indicato dalla Torà stessa attraverso le mitzvot, gli atti di chesed verso il prossimo, essere, attraverso i korbanot, più karov a D-o. Questa è la strada maestra per il successo personale e, in ultima analisi, per il successo della società in cui viviamo, piccola o grande.