Mishnah Pessachim 2,2: Del Chamètz appartenente ad un non ebreo che abbia trascorso Pesach è permesso trarre vantaggio. Se invece apparteneva ad un ebreo è proibito trarne vantaggio, perché è detto: “E non si vedrà presso di te del lievito” (Shemot 13,7).
Ben Ish Chay di Baghdad, Resp. Rav Pe’alim, Orach Chayim parte II, n. 55: D. A Bombay il personale di servizio nelle case ebraiche è interamente costituito da non ebrei. Alcuni mangiano ciò che danno loro i padroni di casa, mentre altri vogliono essere autonomi e si portano il proprio cibo da casa. Altri ancora sono fissi e ricevono dai padroni di casa una stanza per mangiare e dormire.
A Pessach è usanza in tutte le case ebraiche della città che il personale che normalmente usufruisce del cibo fornito dal padrone di casa riceve da questi una somma di denaro che consente loro di procurarsi da mangiare per tutto il periodo e i lavoranti si comprano ciò che vogliono. Essi ricevono inoltre una stanza appartata dove possono stare per tutto Pessach e i padroni impartiscono comunque l’ordine di non introdurre Chametz in casa. I lavoranti si impegnano a parole, ma nella pratica sappiamo che invece ne portano di nascosto e lo mangiano nella loro stanza. Alcuni di essi protestano addirittura apertamente che nella loro stanza hanno diritto di fare ciò che vogliono. C’è in questo una trasgressione delle regole di Pessach sul Chametz? Se sì, qual è la soluzione al problema?
Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 450,6: E’ permesso dire ad un proprio lavorante: “Eccoti i soldi, compra e mangia”, sebbene il padrone sappia che egli si comprerà del Chametz, purché non gli dica: “Va’ a mangiare a spese mie (e io salderò il debito dopo che avrai mangiato)”.
Mishnah Berurah ad loc.: Non è lecito neppure dirgli: “Eccoti i soldi per mangiare, comprati pure del Chametz”, perché come l’Ebreo ha il divieto di acquistare Chametz per se stesso, non può neppure incaricare un non-Ebreo di farlo. E sebbene in questo caso il non-ebreo terrebbe il Chametz per sé, avendolo acquistato con i soldi dell’ebreo appare comunque come incaricato di quest’ultimo.
Il lavorante non ebreo deve però in ogni caso mangiare il Chametz fuori dalla casa dell’ebreo, per due ragioni: a) per il rischio che faccia briciole (Aguddah); b) per non dare adito al sospetto che sia stato l’ebreo a introdurre il Chametz in casa propria (mar’it ha-‘ayin – Maghen Avraham).
Ragione a): non fare briciole.
Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 440,3: Se un non ebreo entra in casa di un ebreo con il proprio Chametz in mano non è obbligato a farlo uscire, sebbene l’ebreo veda il Chametz appartenente al non ebreo, ma è proibito permettere al primo di collocarlo sulla stessa tavola (per mangiarselo), anche usando una tovaglia distinta.
Rav Pe’alim loc. cit: Ma secondo una fonte se il non ebreo porta con sé del pane o altro Chametz che si sbriciola, non possiamo farlo entrare.
Nel caso del personale di servizio tuttavia questo problema non si pone, perché ai lavoranti non ebrei viene data una stanza appartata nella quale gli ebrei non entrano e non corrono pertanto il rischio di incappare nelle briciole.
Ragione b): non destare sospetto.
Anche secondo questo ragionamento la situazione non costituisce problema: dal momento che l’uso generale della città è noto, per cui i lavoranti non ebrei ricevono dai padroni soldi per comprarsi da mangiare ciò che vogliono e hanno a disposizione una stanza in cui solo loro hanno accesso. Meglio ancora sarebbe concedere loro la stanza in affitto per una cifra simbolica.
Yalqut Yossef ad loc.: Sebbene de jure sia permesso chiamare un non-ebreo a effettuare riparazioni (urgenti) in casa (durante il Chol ha-Mo’ed) benché porti con sé del Chametz e non si sia obbligati a estrometterlo, è comunque opportuno evitarlo, affinché non faccia briciole. Non è però consentito mangiare con il non ebreo alla stessa tavola se egli mangia il suo Chametz: dal momento che il Chametz è a noi permesso per tutto il resto dell’anno, c’è il rischio di scambiarlo con lui soprappensiero.
Shulchan ‘Arukh, Yoreh De’ah 88,1-2: Non è lecito collocare carne, neppure di pollo, su una tavola su cui si stia mangiando formaggio per il rischio di giungere a mangiarli insieme… Ma se (i due commensali) hanno posto un segno distintivo, come per esempio se ciascuno mangia sulla propria tovaglia… è permesso.
Siftè Kohen ad loc.: Appare che il divieto sia limitato a collocare carne su una tavola di latte o viceversa, perché ciascuno dei due cibi preso per conto suo è permesso e dunque siamo abituati a mangiarne. Invece è permesso che un non ebreo mangi della carne non kasher sulla stessa tavola su cui un ebreo sta mangiando carne kasher perché essendo la prima proibita tutto l’anno non arriverà a scambiarla. Resta però proibito mangiare alla stessa tavola se il non ebreo mangia pane non kasher, perché “di pane vive l’uomo” e si è abituati a mangiarlo: c’è pertanto il rischio di scambiarlo.
Mishnah Berurah a Orach Chayim 440, n. 18: Sebbene sia permesso che uno mangi carne e l’altro latte sulla stessa tavola dove le tovaglie sono distinte, il Chametz richiede un rigore maggiore: è infatti proibito anche in quantitativi infinitesimali e non possiamo escludere del tutto che si verifichi una mescolanza sia pur impercettibile. Peraltro, tutto questo vale se mangiano contemporaneamente. Ma fintanto che l’ebreo non consuma il suo pasto, può consentire al non ebreo di terminare il proprio e poi avvicendarsi. Deve solo stare attento di ripulire per bene il tavolo affinché non siano rimaste briciole eventualmente lasciate dal non ebreo e assicurarsi che quest’ultimo non abbia avanzato del proprio Chametz.