Davide Frattini
La luce tinta miele del tramonto inghiotte il traffico e il rumore. La regina Shabbat scende su Gerusalemme senza proclami. Accompagna il silenzio e il riposo intimati (garantiti) da quel «ricordati del giorno di sabato per santificarlo». Sotto il comandamento vengono salvaguardate tutte le creature, come prescrivono i versi dell’ Esodo: «Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te».
Il forestiero, le prime volte, viene tramortito dalla quiete che avvolge la metropoli mediorientale. Assuefatto com’ è al sabato/domenica dell’ Occidente, diventato una prosecuzione del lavoro con altri mezzi: lo shopping o la gita ricreativa sono stressanti e impegnativi quanto le ore in ufficio. «Anche qui da noi si sta trasformando nella giornata nazionale delle compere e viene celebrata solo in sinagoga o al supermercato. Lo Shabbat è il dono più bello della cultura israeliana al mondo, non distruggiamolo», si lamenta da laico lo scrittore Amos Oz. Che pure ha dalla sua una sentenza della Corte Suprema, quando ha ribadito il valore di una legge del 1951 perché «protegge i diritti dei lavoratori. Solo un giorno di riposo universale, condiviso da tutti i membri della famiglia, può preservare il tempo da passare insieme». I giudici costituzionali americani avevano usato le stesse parole nel custodire la chiusura domenicale: «La norma religiosa insegnata dalla Bibbia è evoluta in una istituzione civica, un patrimonio culturale, una liberazione dalla fatica quotidiana, una riserva di pace mentale».
A oltre mezzo secolo da quella decisione, blasfemo è considerato liberare il tempo libero. L’ 80 per cento degli italiani vorrebbe negozi sempre aperti (ricerca Cermes-Bocconi), meno di uno su due «si ricorda di santificare» il settimo giorno, il 46 per cento lo dedica al turismo e il 31,3 per cento lo occupa in qualche impiego (indagine Censis). Questi peccatori della domenica sono stati ammoniti da Benedetto XVI (omelia nel Duomo di Santo Stefano a Vienna, settembre 2007): «Senza il Signore e il giorno che a Lui appartiene non si realizza una vita riuscita. La domenica, nelle nostre società occidentali, si è mutata in un fine settimana. Il tempo libero, specie nella fretta del mondo moderno, è una cosa bella e necessaria; ciascuno di noi lo sa. Ma se il tempo libero non ha un centro interiore, da cui proviene un orientamento per l’ insieme, esso finisce per essere tempo vuoto che non rinforza e non ricrea». «Il lavoro – ricorda il cardinale Dionigi Tettamanzi – trova nel riposo domenicale il momento più alto della sua valenza sociale». Judith Shulevitz dice che «lo Shabbat sta alla settimana come la cesura al linguaggio poetico» e ci ha dedicato un libro (The Sabbath World: Glimpses of a Different Order of Time, appena pubblicato da Random House), tra nostalgie personali e quelle di epoche andate. «Per i rabbini rappresenta un assaggio del mondo a venire – scrive l’ intellettuale ebrea -. Per me è un retrogusto dell’ infanzia, una fantasia di pienezza perfetta. Se la vita adulta è divisa, lo Shabbat è il momento in cui torniamo a essere una cosa sola: con la nostra famiglia, con la comunità, con Dio.
I cabbalisti dicono che in quel giorno a ciascuno di noi viene garantita un’ anima in più, una neshama yetera. Io immagino questa superanima come un’ enorme coperta da culla». Economisti come Liah Greenfeld mettono in dubbio la «razionalità dell’ ossessione occidentale per la crescita». C’ era un tempo – argomenta in The Spirit of Capitalism – in cui la gente credeva che quando i bisogni necessari fossero stati soddisfatti, avrebbe avuto più tempo per godersi la vita. «Invece lavoriamo di più, consumiamo di più». Non stacchiamo mai. Shulevitz invita allo stop, alla cesura, anche i non credenti (o semipraticanti come lei) con le parole di Judah Loew. Il rabbino noto per la leggenda del Golem fa notare: il Libro della Genesi è costruito in modo che ogni giorno, ogni nuova opera di Dio, sia un passo verso il compimento. Qual è il culmine della Creazione? L’ atto di fermarsi. «Perché Dio avrebbe dovuto ritenere tanto importante – commenta la scrittrice – il periodo della quiete? Il rabbino Elijah di Vilnius la mette così: Dio si fermò per mostrarci che quello che creiamo diventa comprensibile solo quando smettiamo di produrre e cominciamo a pensare perché abbiamo agito in quel modo».
Eric Fromm (Avere o essere) la mette così: «Non si tratta di riposo in sé e per sé, cioè di una giornata in cui non si debbono compiere sforzi, né fisici né mentali, bensì di riposo nel senso di ristabilimento della completa armonia tra gli esseri umani e tra questi e la natura. Nulla dev’ essere distrutto, nulla costruito, lo Shabbat è un giorno di tregua nella lotta che l’ umanità conduce con il mondo». Lo psicanalista Sandor Ferenczi identifica nel 1919 un disordine che chiama «la nevrosi della domenica», depressioni e mal di testa generati dal niente da fare (e da una reazione del Super-io agli impulsi aggressivi-disinibiti favoriti dalle giornate festive). Lo Sabbath Manifesto (www.sabbathmanifesto.org) aggiorna la cura ai nostri tempi assordati dai cinguettii di Twitter e intasati dalle «amicizie» su Facebook, esorta con un decalogo a immergersi (almeno per ventiquattr’ ore) nella comunità reale e a disertare quelle virtuali: evita la tecnologia, connettiti con chi ami, coltiva la tua salute, esci all’ aria aperta, evita i commerci, accendi una candela, bevi vino, mangia pane, trova il silenzio, ricambia. Dieci comandamenti laici per reimparare a rispettarne uno.
L’autrice Judith Shulevitz (nata nel 1963, nella foto) è una giornalista americana d’ origine ebraica. Si è laureata allo Yale College nel 1986. Ha lavorato per «Slate», il «New York Magazine» e il «New York Times Book Review». Suoi articoli sono apparsi anche sul «The New Yorker» e «The New Republic». Il libro Per la casa editrice americana Random House ha pubblicato: «The Sabbath World: Glimpses of a Different Order of Time», un libro che invita credenti e non credenti a rispettare l’ astensione dal lavoro durante le feste.
(13 giugno 2010) – Corriere della Sera
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