Rabbi Benjamin Blech
Il settimanale Time lo ha giudicato un capolavoro, ma il film Munich di Spielberg, anche se opera di innegabile grandezza cinematografica, è una tragedia culturale e politica. L’ironia è incredibile: il film lascerà le sue decine di milioni di spettatori con un messaggio che è diametralmente opposto al vero significato di quanto accaduto a Monaco nel XX secolo e agli eventi che hanno portato a quella tragedia, eventi che Spielberg aveva sottolineato potentemente in Schindler’s List.
La Storia ha collegato per sempre la capitale bavarese con il fallimento della politica di pacificazione. Era a Monaco che Hitler fondò il Partito nazista ed era qui che l’infame Patto di Monaco fu firmato nel settembre del 1938. Inghilterra e Francia, timorose di combattere il male, si arresero con mitezza alle richieste della Germania e ingannarono se stesse pensando che le loro “amabili discussioni” avevano, nelle parole indimenticabili del Primo Ministro inglese Chamberlain, “assicurato la pace nella nostra epoca”. La politica di pacificazione (il mondo lo imparò presto) era l’errore di credere, come Heywood Broun sottolineò metaforicamente, che “se si continua a gettare bistecche ad una tigre, questa diventerà vegetariana”.
Hitler si accorse immediatamente che la mancanza di risposta alle sue tattiche di terrore non era altro che debolezza, e poco più di un anno dopo attaccò la Polonia. Oggi gli storici datano la nascita della Shoah a partire dalla reazione passiva a Monaco.
È sorprendente trovare la stessa Monaco come fulcro del film di Spielberg, in cui si mostra l’angoscia della risposta di Israele al vergognoso assassinio di 11 dei suoi atleti olimpici da parte dei terroristi palestinesi.
Spielberg ha spiegato perché ha sentito il bisogno di un approccio obiettivo alle conseguenze del massacro di Monaco: “Il più grande nemico non è i Palestinesi o gli Israeliani. Il più grande nemico nella regione è l’intransigenza”.
Che notizia ! Forse Spielberg intende l’intransigenza dello Stato di Israele che ha continuato ad offrire terra, pace e compromesso ai suoi vicini arabi dopo ogni guerra con cui cercavano di annientarlo?
O l’intransigenza di un popolo che ha deciso che la sua politica nazionale non sarebbe stata come la codardia alla Chamberlain ma piuttosto come la determinazione degli Alleati che lottarono contro l’ingiustizia a testa alta, fino ad una vittoria che ha salvato umanità dalla barbarie universale?
Ed ancora un’altra ironia: lo Spielberg così colpito dalla “lista di Golda” sugli assassini palestinesi destinati ad essere giustiziati è lo stesso uomo che, in Schindler’s List, avvertiva il mondo delle orribili conseguenze della passività di fronte al male.
Ma forse il più grande stravolgimento della verità nel film Munich di Spielberg è quella che lui dice essere la chiave di tutta l’opera. In una scena che non accadde davvero, Golda Meir giustifica la missione degli agenti che lei spedisce a fare giustizia con le parole: “Ogni civiltà trova necessario negoziare alcuni compromessi con i propri valori “. Golda Meir non lo disse mai perché capì che quegli omicidi non erano un compromesso con i valori civili, ma l’unico modo di assicurare la sopravvivenza della civiltà.
Solo un mondo che abdica alla necessità della “lista di Golda” finisce con la “lista di Schindler”.
Quello che Spielberg non si è preso la briga di dirci nel suo manifesto dell’equivalenza morale – il tema chiaro e spesso ripetuto del film secondo cui, come riassume Warren Bell, “Quando i buoni uccidono i cattivi, diventano cattivi come i cattivi” – è come il mondo rispose al massacro di Monaco che noi ora sappiamo avere segnato la nascita del terrorismo “coperto” dai mezzi di comunicazione di massa. Avery Brundage, capo del Comitato Olimpico Internazionale, lo stesso “leader coraggioso” che nel 1936 aveva insistito per inviare una delegazione americana ai “Giochi olimpici di Hitler” a Berlino, reagì alla strage olimpica di Monaco sottolineando come la più importante considerazione fosse che
“i giochi dovevano essere salvaguardati”.
Le Olimpiadi, come un microcosmo del mondo, spedirono un chiaro messaggio: i terroristi hanno trovato pubblicità, non punizione. Le vittime ebree possono essere piante in silenzio ma le loro morti non richiedono neanche misure di prevenzione affinché non accada di nuovo.
Allora Golda Meir spedì una squadra di israeliani per fare ciò che, per la seconda volta in una generazione, il mondo si rifiutò di fare.
E, diversamente dalla menzogna Munich di Spielberg, gli eroi di questa azione non furono consumati da qualche genere di colpa che i liberal di Hollywood credono debba accompagnare ogni atto che fa capire ai criminali come il male non possa essere approvato.
Quando, due mesi più tardi, la Germania rilasciò alcuni di quei terroristi, Golda disse che “si era ammalata fisicamente per la capitolazione della Germania” e per aver realizzato che “non c’era un solo terrorista tenuto in prigione da nessuna parte nel mondo”.
Israele capì che il “castigo del delitto” non solo è un obbligo biblico ma è l’unica alternativa alla Monaco di Chamberlain, che aveva portato inesorabilmente ad accumulare stragi perpetrate dal Reich.
Dopo aver visto Munich sono uscito dalla sala con una profonda tristezza perché Spielberg è stato sempre uno dei miei “eroi”. Spielberg ci ha reso spesso orgogliosi della sua identificazione con il suo popolo. Alcuni anni fa lo incontrai e condivisi con lui una riflessione della quale ha ammesso di non essersi mai reso conto prima. Mentre girava Schindler’s List in Polonia, Spielberg terminava contemporaneamente il montaggio di Jurassic Park. Io speravo che il collegamento tra i due film non fosse perso: secondo ogni logica, gli ebrei sarebbero dovuti scomparire durante i secoli di persecuzione culminati con l’Olocausto, proprio come i dinosauri avevano fatto milioni di anni prima. Ma una parte sopravvisse. Quella parte è giunta alla tomba di Oskar Schindler per dire grazie. E la sua sopravvivenza definisce il miracolo del popolo ebraico.
La sopravvivenza ebraica è la priorità della nostra missione storica. Ma per Spielberg, nella sua incarnazione di Munich come sceneggiato da Tony Kushner, il “politicamente corretto” è il nuovo dio da adorare, anche al costo del suicidio nazionale. Kushner già ha detto chiaramente ciò che pensa di Israele: “Avrei desiderato che l’Israele moderno non fosse mai nato”. Kushner è il paradigma di chi crede ardentemente che la violenza non è mai giustificata; solo il dialogo coi nostri nemici realizzerà la pace.
Spielberg ammette che Munich è “fiction storica”, che si è preso qualche licenza con alcuni dei fatti per girare un film più memorabile. Ma quello che è imperdonabile è il messaggio morale con cui lascia lo spettatore, che distorce la realtà e il modo in cui milioni di persone giudicheranno l’attuale impasse mediorientale.
Entrambe le parti, ci dice il film, hanno un’identica richiesta rispetto alla nostra sensibilità morale. Ma è solamente una parte che non cerca un focolare nazionale, come suggerisce la sceneggiatura, bensì la distruzione totale dell’altro. Come ha detto un capo religioso Palestinese: “Noi abbiamo dominato il mondo, e grazie ad Allah, verrà il giorno in cui domineremo di nuovo; domineremo l’America, l’Inghilterra e il mondo intero, a parte gli ebrei. Gli ebrei non godranno di vita tranquilla sotto il nostro dominio. Ascolta cosa dice il profeta Maometto sulla fine che attende gli ebrei. Le pietre e gli alberi vorranno che i musulmani finiscano ogni ebreo”.
Entrambe le parti, ci dice il film, sono responsabili della morte collaterale di innocenti. Ma quello che non dice è che per i Palestinesi questa è una tattica, mentre per Israele è solo una conseguenza non intenzionale e drammatica.
E il film non include il dialogo più importante del libro di Jonas “Vendetta” utilizzato come fonte principale per Munich.
Nell’assegnare la missione, agli agenti sono date istruzioni chiare: “Se verranno trovati tutti i nomi della lista, la missione sarà un successo incredibile. Se saranno cinque o sei, sarà chiaro il messaggio che non è conveniente spargere sangue ebraico, che non siederemo inattivi come il mondo faceva durante l’Olocausto. Anche se si trova solamente uno o due nomi, non sarà stato invano. Ma di fronte alla scelta se uccidere, insieme ad uno sull’elenco, anche un innocente oppure rinunciare alla missione, le istruzioni sono di non fare niente”.
Questa è la differenza tra i terroristi di Monaco e la squadra di ricerca israeliana, anche se non è stata inserita nel film.
Munich conclude con un insulto finale: il leader della missione, disilluso, non può sopportare l’ideologia di un Paese che osa dichiarare che non accetterà più la glorificazione dell’ebreo come vittima, quindi rinuncia al suo Paese e decide di rimanere a Brooklyn. E così finisce la speranza del popolo ebraico.
Non è mai accaduto. E questo rende indifendibile la comunicazione che Spielberg cerca di portare sullo schermo.
Io imploro Spielberg, uno dei registi più brillanti della nostra generazione, di tenere conto del consiglio di ET: “Telefono casa” al tuo popolo, un popolo che preferisce immortalare il coraggio dei superstiti di Schindler piuttosto che condannare gli eroici giustizieri dei terroristi di Monaco.