“Veikhas e’anan et ohel mo’ed ukhvod A’ malé et ha miskan – E la nube di fumo avvolse la Tenda della Radunanza e la Gloria di D-o riempì il Santuario”
Con questo brano, in cui si racconta l’istituzione del culto del Mishkan, si conclude il libro di Shemot.
Dall’inizio della storia ancora schiavi in Egitto, fino alla istituzione del culto religioso, gli ebrei divengono finalmente popolo con tutto ciò che è necessario a far sì che un gruppo di persone possa definirsi tale. Il cammino è ancora lungo per raggiungere la terra promessa ad Avraham avinu, ma già si ha la sensazione che il popolo ebraico, sia ben consolidato.
La Torà ricevuta sul Sinai, l’istituzione di una amministrazione civile, e ora anche quella religiosa, conformano il popolo sotto ogni aspetto: civile, amministrativo e religioso.
Non con poche critiche fu costruito il Mishkan – luogo che accentrava tutte le istituzioni – tant’è che Mosè fu costretto a rendere pubblico e dettagliato il conteggio delle spese: “elle pekudé ha mishkan – questo è il conteggio del Mishkan” ossia delle spese sostenute per la costruzione del Santuario.
Un leader, anche si trattasse di Mosè in persona, è sempre esposto a critiche da parte della sua gente, soprattutto se ha l’obiettivo di fare qualcosa di necessario per esso.
L’importante è la chiarezza e la limpidezza con cui ciò si effettua. Tutto questo finché la cosa non viene completata; da quel momento in poi tutti si ritrovano ad essere un unico popolo, tanto da meritare la presenza divina su di essi. Nel deserto, racconta il midrash, il popolo era protetto da una “Tenda spirituale” posta dal Signore per preservarlo dai pericoli circostanti e sotto quella Tenda, tutti meritavano la Sua benedizione come “mamlekhet kohanim ve goi kadosh – Reame di Sacerdoti e popolo santo”.
La nostra storia si ripete nel corso dei millenni e chiunque agisce è soggetto a critiche da parte degli altri. È per questo che il popolo ebraico viene definito “am echad – popolo unico”; ogni elemento che fa parte di esso, così diverso dagli altri, ha il dovere di rendersi disponibile a collaborare per il bene della sua gente.
La costruzione del Mishkan ha visto la partecipazione di ogni singolo ebreo: c’è stato perfino chi si è addentrato nel kodesh ha kodashim – la parte più interna del Tempio, luogo in cui poteva accedere soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno. Appena completata l’opera però, ognuno riprende il suo ruolo. Persino colui che vive nel luogo più umile all’interno della Società ebraica.
Ognuno di noi, soprattutto per percepire la proprietà dell’istituzione, può addentrarsi all’interno delle cose più riservate; alla fine però siamo tutti partecipi, ma collocati diversamente nei vari ruoli.
Considerare il nostro popolo come una grande famiglia, con tutte le sue preoccupazioni, ma anche con tutte le sue gioie, porta sicuramente al godimento collettivo di ogni momento della nostra vita ebraica.
Shabbat shalom e chodesh tov