IL FOGLIO – 23 APRILE 2024
La liberazione degli ebrei dalla schiavitù e gli ostaggi di oggi a Gaza, schiavi di Hamas
Milano. “In cosa questa sera è diversa dalle altre sere?”. Questa domanda viene reiterata quattro volte dai piccoli della famiglia in occasione della cena pasquale ebraica, che è avvenuta ieri sera e, fuori da Israele, si ripete anche questa sera. I bambini vengono invitati a osservare e sorprendersi – e tramite lo sguardo dei più piccoli lo stupore diventa più accessibile anche agli adulti – per come durante la sera avvengano cose differenti da tutte le normali cene. Si mangia solo pane azzimo e non lievitato, si sta appoggiati di lato (mentre nelle sere normali si viene sgridati se si prova a mangiare stando sul gomito!), si mangiano erbe amare e si intingono in una specie di marmellata.
Ognuna di queste azioni è simbolica, così le quattro domande aprono alla narrazione dell’uscita degli ebrei dall’Egitto del Faraone, un’epopea dalla schiavitù alla libertà che ha trasformato una massa in un popolo. Un racconto che ha dato linfa a rivoluzioni di altri popoli e che ha contribuito a dare speranza al popolo ebraico nei quasi duemila anni tra la distruzione del Tempio di Gerusalemme per mano dei romani e la riconquistata libertà e indipendenza nazionale con la nascita dello Stato di Israele. Un racconto che avviene in prima persona, quasi in presa diretta, poiché il tentativo è quello di considerarsi in ogni generazione come se direttamente si avesse partecipato agli eventi narrati prima sulle sponde del Nilo e poi nell’attraversamento del mare.
La ritualità di queste azioni a prima vista può sembrare un gioco ed è anche divertente, ma in questa cena così sentita son tutti anche serissimi. Negli ultimi 78 anni gli ebrei hanno potuto ascoltare i racconti dei propri genitori e ora nonni che avevano vissuto in prima persona la schiavitù nei campi di sterminio e, per alcuni più “fortunati”, la fuga e i nascondigli che avevano permesso loro di scappare dagli sgherri del Faraone di turno; in parallelo, gli ebrei provenienti dai paesi arabi hanno potuto raccontare a figli e nipoti la fuga dai propri paesi d’origine. Per gli uni e per gli altri talora è seguito l’arrivo in Israele, mentre molti ebrei europei sono tornati dove abitavano prima, ma, per tutti, questa cena è servita per aiutare a elaborare, di generazione in generazione, le persecuzioni subite, mantenendo uno sguardo di fiducia verso il futuro. Tutte queste avventure restavano ancorate in un passato terribile, talora tatuato sulla propria pelle, ma pur sempre mitigato dalla presenza alla propria tavola dei genitori e dei nonni che potevano raccontarlo in prima persona testimoniando al contempo la liberazione avvenuta.
Quest’anno tuttavia per le famiglie ebraiche in tutto il mondo è ancora più facile immedesimarsi nel vissuto della schiavitù, perché Yahia Sinwar sta tenendo in ostaggio da sei mesi più di 130 persone rapite, bambini compresi, e si rifiuta persino di dare prove concrete di chi sia ancora in vita impedendo ai loro parenti di poterli riabbracciare (o almeno di poterli tumulare). Oggi nel cuore di tutti risuonerà la frase di Mosè e Aronne, che rivolgendosi al Faraone, chiedono “lascia andare il mio popolo”.