Dopo che Yosef si era rivelato ai fratelli, disse loro di tornare a casa e di prendere il padre e le famiglie e di venire in Egitto perché la carestia sarebbe durata altri cinque anni. Arrivati in Egitto, Yosef fece in modo che la famiglia residesse nella provincia di Goshen. A tal fine Yosef disse loro: “E quando il Faraone vi farà chiamare e vi dirà: Qual’è la vostra occupazione? risponderete: I tuoi servitori sono stati allevatori di bestiame dalla loro infanzia fino a quest’ora: così noi come i nostri padri. Direte così, perché possiate abitare nel paese di Goshen. Poiché gli Egiziani hanno in abominio tutti i pastori” (Bereshìt, 46:33-34).
R. Israel Belsky (New York, 1938-2016, Brooklyn) in Einei Yisroel (p. 331) commenta che gli egiziani vivevano in una civiltà altamente sviluppata. L’Egitto era la maggiore potenza mondiale e il centro di una numerosa popolazione. Nonostante le attrazioni di tale civiltà per un normale immigrante, i figli di Ya’akov volevano abitare il più lontano possibile dal centro del potere. Il Faraone aveva tuttavia altri piani. Prima di tutto il Re voleva tenere gli ebrei vicini alla capitale. Egli giustamente pensava che i fratelli fossero persone capaci come Yosef e li voleva usare per il bene del suo regno. Inoltre temeva di perdere questi nuovi immigranti così qualificati e quindi voleva in qualche modo averli sotto controllo. Goshen era in un’area poco abitata ma vicina alla capitale.
Quando i fratelli andarono ad abitare nella provincia di Goshen, non vi risiedeva quasi nessun egiziano. Gli israeliti si sistemarono lontani dalla società locale ed ebbero successo nelle rispettive occupazioni. Però poi, pian piano sempre più egiziani, attratti dalle opportunità offerte dal successo economico degli israeliti vennero ad abitare a Goshen. Quando avvenne l’Esodo vi erano numerose famiglie egiziane che abitavano a Goshen, in abitazioni fianco a fianco di quelle degli israeliti. Lo sappiamo dal fatto che nella notte che precedette l’uscita dall’Egitto i figli d’Israele ricevettero l’ordine di mettere un segno sui loro stipiti affinché l’angelo distruttore passasse al di là delle loro case. E non solo, ma vi erano egiziani che affittavano abitazioni dagli israeliti. Lo sappiamo da quanto scritto: “Ogni donna domanderà alla sua vicina e all’inquilina della sua casa oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti” (Shemòt, 3:22).
Questo fenomeno si ripetè durante i secoli della Diaspora ebraica. Gli ebrei cercano di abitare separati per non essere influenzati dal modo di vivere dei gentili. Ma poi vicino ai rioni ebraici si sviluppa la società circostante e il problema che voleva essere evitato si ricrea. Diventa quindi sempre più difficile evitare di essere influenzati dalla società circostante.
Rav prof. Martin Fox (Chicago, 1922-1996, Newton) nel suo libro Understanding Maimonides (p. 323-4) osserva che il challenge della “modernità” può essere affrontato in modi diversi. Un modo è quello di respingere totalmente la società contemporanea e di ritirarsi in un ghetto fisico e intellettuale. Questa strategia rischia di avere come risultato un “parrocchialismo” a seguito del quale si paga un caro prezzo perché non è possibile separarsi totalmente dal mondo in cui viviamo. In questo modo si continua ad essere influenzati dalla società circostante senza rendersene conto (come dimostrato dalla foto allegata di un annuncio pubblicitario pubblicato in una rivista ebraica per un negozio di giocattoli). In secondo luogo così facendo ci neghiamo il beneficio del contributo positivo che possiamo guadagnare dal mondo contemporaneo.
Gli ebrei in Egitto riuscirono a mantenere la propria identità continuando a usare la propria lingua. Nonostante questo, il popolo d’Israele, che era scaturito da una famiglia monoteista, quando uscì dall’Egitto aveva assorbito delle pessime credenze. Infatti nel deserto del Sinai fu loro comandato di portare al Mishkàn (tabernacolo) gli animali destinati ad essere consumati per evitare che facessero i sacrifici del sangue alla superstizione dei “se’irim”(Vaykrà, 7:17).
R. Fox conclude che la strada giusta è quella indicata dal Maimonide: restare fedeli alla tradizione e rimanere interessati a quello di buono che possiamo imparare dalla società contemporanea.