Secondo il Rabbino capo di Francia, paladino dei diritti civili, la presunta “lotta all’omofobia” nasconderebbe una pericolosa ideologia che va smascherata
Giorgio Israel
Nel dibattito che si è sviluppato in Francia attorno al progetto di legge per il matrimonio e le adozioni gay, lo scrittore Alexandre Thomas ha posto la domanda: «È possibile opporsi al matrimonio omosessuale senza essere omofobi?». La sua risposta è stata: sì, è possibile. Si può aggiungere che trattasi di una condizione necessaria: a distanza dagli anni in cui l’omosessualità era considerata una colpa da nascondere, il rigetto dell’omofobia è una questione di civiltà. Ma qui la posta in gioco va ben oltre un riconoscimento di dignità e di una serie di diritti. Non a caso il progetto di legge ha sollevato reazioni negative inattese in ambienti di sinistra che si riteneva automaticamente a favore, oltre a quelle di tutte le comunità religiose: cattolici, protestanti, musulmani ed ebrei. Di particolare importanza è stato il lungo documento che il gran rabbino di Francia Gilles Bernheim ha indirizzato al presidente Hollande e al primo ministro Ayrault.
Bernheim è indiscutibilmente un personaggio di ampie vedute e, nel suo documento, egli ha proprio contestato le motivazioni “progressiste” addotte per sostenere il progetto: compiere un passo importante nella lotta democratica contro le ingiustizie e le discriminazioni, in coerenza con la lotta contro il razzismo, estendere il principio di uguaglianza e la difesa dei più deboli. «Sono argomenti che si smontano e non possono da soli giustificare una legge», ha osservato Bernheim, che ha aggiunto con franchezza trattarsi di «argomenti che si conformano al dominio dei benpensanti per paura degli anatemi» e che quindi «non c’è né coraggio né gloria a votare questa legge».
Il nodo è semplice. Vi sono tante vie per eliminare le ingiustizie e le discriminazioni in oggetto, ma la via scelta risponde a un altro progetto ben più ambizioso: l’eliminazione delle differenze di genere. È una vecchia minestra ideologica che viene propinata da trent’anni da numerosi teorici postmodernisti secondo cui la vera matrice dei razzismi sono i dualismi, le strutture binarie su cui è fondata la civiltà occidentale: uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Per cui la “liberazione” discenderebbe dal riconoscimento che la naturalità è una costruzione culturale priva di fondamento. (Come se le società non occidentali non fossero dominate da strutture binarie ancor più radicate). Sono posizioni ideologiche legittime, quanto è legittimo non condividerle e quanto è illegittimo produrre una simile “rivoluzione” sotto le mentite spoglie della lotta all’omofobia. Difatti, come nota Bernheim, le conseguenze di una legge ideologica come quella francese sono gravi. Si tratterebbe del danno derivante dalla confusione irreversibile di tre concetti: «le genealogie, sostituendo la parentalità alla paternità; lo statuto del bambino; le identità, dove la sessuazione come dato naturale sarebbe costretta a scomparire di fronte all’orientamento espresso da ognuno, in nome di una lotta contro le disuguaglianze, snaturata in uno sradicamento delle differenze».
In particolare, la condizione di un bambino che abbia non più genitori procreatori (padre e madre), ma “parenti” che esercitano il ruolo di adozione richiama il dibattito che si sviluppò anni fa attorno alla clonazione. Il celebre antropologo Marc Augé mise bene in luce le implicazioni della “dissoluzione del legame di discendenza”: la creazione di individui «dotati al contempo di un colmo di individualismo e di un colmo di dipendenza». La condizione di individui privi di genitorialità determinerebbe «un percorso regressivo al termine del quale si intravedono i fantasmi di cui il pensiero mitico, su tutti i continenti e in tutte le tradizioni, ci aveva liberati: l’indifferenziazione sessuale, l’individualità assoluta […] mentre i miti degli uomini, nella loro saggezza, avevano insegnato in senso inverso che la nascita dell’umanità passava attraverso la scoperta della differenza: quella dei sessi, quella degli altri, quella della morte». Quindi, le implicazioni pesantissime di questa legge mettono in discussione strutture antropologiche fondamentali che sono il tessuto dell’umanità (che non è solo “specie umana”) da quando esiste. Né è accettabile che il dibattito possa essere rigettato con gli anatemi, o «rifiutando di porsi domande e di uscire dalle proprie convinzioni» (per dirla con Bernheim); né minimizzando con “consolazioni” del tipo: “Potrete sempre farvi chiamare papà e mamma in casa”. Perché il passaggio in clandestinità del matrimonio naturale sarebbe il segno che al posto dell’omofobia è nata una nuova forma di intolleranza.
Shalom, dicembre 2012
Il saggio di rav G. Bernheim sul matrimonio omosessuale