Il libro autobiografico di Jonathan Safran Foer ha ispirato il film diretto da Liev Schreiber
MILANO – La famiglia, il ricordo e l’identità si intrecciano in una storia che è anche una saga ebraica le cui radici affondano nella realtà. Ogni cosa è illuminata, romanzo di Jonathan Safran Foer adattato per il cinema nel 2005 da Liev Schreiber racconta di un viaggio che ricalca quello fatto dall’autore nel 1999 in Ucraina, alla ricerca di informazioni sulla vita di suo nonno. Come spesso accade, molti ebrei hanno viaggiato nell’Est europeo per tentare di riconciliarsi con il passato, ma allo stesso modo dell’autore, tutto ciò che hanno trovato sono villaggi fantasma o interamente rasi al suolo. Solo i ricordi di chi ha vissuto ed è sopravvissuto a quei luoghi continuano a esistere. Foer, americano ma di origini ebraiche, appartenente alla terza generazione di scrittori che hanno raccontato la Shoah ha usato il materiale trovato per riempire le pagine di un libro.
E infatti lo stesso autore è il protagonista di Ogni cosa è illuminata – interpretato da Elijah Wood -, alla ricerca di una donna che sessant’anni prima avrebbe salvato suo nonno dalla ferocia dei nazisti. Alla sua compagnia si aggiungono Alex (il leader dei Gogol Bordello, Eugene Hütz), una guida turistica, e il suo strambo nonno che si finge cieco (Boris Leskin). Per quanto la materia possa essere seria, il racconto è in verità esilarante. Jonathan è un aspirante scrittore e il suo linguaggio è strano, a tratti picaresco, per non parlare di alcune situazioni comiche in cui i tre si ritrovano immischiati. Una ragione in realtà c’è, e Foer ce la spiega: «Il buffo è l’unico modo veritiero di raccontare una storia».
Ma l’allegria e il divertimento sono velati da una lieve ma insopportabile tristezza. Non trovano Augustine, la donna che Jonathan cercava, ma Lista, un’amante di suo nonno. La donna li conduce lungo un sentiero, un cammino che ormai non esiste più e che solo la memoria può riportare alla luce. Insieme alla sua, gli racconta tante altre storie, di uomini e donne come lei caduti durante il pogrom e della fine del villaggio di Trachimbrod, una notte risalente a molti anni prima.
E così, insieme, un’altra storia corre parallela: tra gli antenati di Jonathan e le rivelazioni sulla vita di suo nonno, si dipana un’intensa storia familiare, a partire dal Settecento fino ai massacri e alle distruzioni del regime nazista che finirono col radere al suolo il villaggio del nonno. Il titolo, che riprende un passo di Milan Kundera, è il faro che guida la storia. Storia di formazione e insieme di memoria. Ciò che deve essere illuminato è quello che Foer ha scoperto durante i suoi viaggi.
Tutti i racconti, tutte le storie che Lista riporta alla luce aggiungono un pezzetto in più alla comprensione del disastro di quegli anni, del dolore degli ebrei, dei soprusi che hanno dovuto subire e che non hanno lasciato nemmeno delle rovine su cui piangere tutto ciò che è andato perso. Lista diventa il simbolo di quel dolore e le sue parole sono un monito a non lasciare che i ricordi si oscurino o vengano perduti. Perché narrazioni così a questo servono. A fare luce, sul passato e sulla Storia. Per non dimenticare.