Pierpaolo P. Punturello
Oggi cambio la foto del mio profilo di Facebook. La foto che per undici mesi mi ha accompagnato, chiaramente non ritraeva me. In quella foto c’erano mio padre zL e mio figlio Joshua, che Dio lo protegga, in poche parole il mio passato ed il futuro che ho portato in questo mondo. Oggi quella foto verra’ cambiata, perche’ dopo undici mesi di kaddish in memoria di mio padre qualche tempo fa si e’ concluso il mio obbligo: sta per terminare il periodo di lutto in sua memoria.
Come colui che apre una dopo l’altra le bamboline di una matrioska così sembra essere strutturato il lutto ebraico secondo la tradizione, secondo lo Shulchan Aruch ed i maestri successivi. il periodo prima della sepoltura, in cui si è esenti dalle mitzvot perchè obbligati ad occuparsi del defunto che abbiamo di fronte, la sepoltura, i setti giorni di shivà e poi i trenta giorni e poi gli unidici mesi per il kaddish ed i dodici mesi di lutto. Le bambole sono una esterna all’altra e chiedono di essere aperte in ordine, l’una dopo l’altra, senza saltare nessun passaggio, senza fuggire da se stessi, il proprio dolore e gli obblighi che abbiamo nei suoi confronti, nei confronti di chi non è più e nei confronti del dolore stesso che va espresso e non negato.
Baruch Dayan HaEmet.
Il lutto comincia con una benedizione. Potremmo quasi dire che il distacco, il preciso momento del distacco viene sancito dal fedele ebreo benedicendo la decisione del Dio che si è manifestato a noi come Giudice, richiamando lo strumento della morte come sentenza stessa. Baruch Dayan HaEmet. Emet come verità, che vista dalllo sguardo umano di chi ha appena perso un pezzo della propria vita nella morte diventa una verità senza appelli, una verità che non è tale rispetto ad una eventuale bugia, ma è semplicemente la verità di tutte le verità: si muore e lui, padre, o lei, madre, nel migliore dei dolori più laceranti e naturali, è morto o è morta. Da questo momento in poi tutto diventa vero, più vero e crudo che mai ed il Giudice di Verità che abbiamo benedetto ha aperto di fronte a noi il percorso di presa di coscienza di questa e di altre verità attraverso il lutto, i passi della Avelut, che andranno percorsi uno ad uno con spirituale lentezza e coscienza sofferente se vogliamo giungere alla fine del percorso di verità colpiti dal dolore ma non distrutti, illesi nello spirito e segnati nel cuore in maniera naturale.
L’Ebraismo pone il lutto, o meglio il percorso per viverlo e farlo proprio, come qualcosa di assolutamente naturale, di necessariemente naturale e di mandatorio, di obbligatorio come tappa della vita stessa e come cammino per il ricordo ed il superamento della separazione data dalla morte. L’Ebraismo pretende che il lutto sia metabolizzato fino in fondo ed indica con precisione i tempi, i modi ed i luoghi di questa metabolizzazione che in quanto naturale esiste con due scopi diversi ma con una unica meta. Da un lato dobbiamo onorare la memoria di chi si è separato da noi, memoria che va onorata con sincerità e non con ipocrita atteggiamento dei “migliori che vanno via”, d’altro canto però dobbiamo noi, noi che siamo in vita, imparare ad onorare questa memoria, imparare a superare ed a recuperare le relazioni ed i ricordi con chi non è più e sopra di ogni cosa dobbiamo tornare alla vita, la nostra vita reale, che data l’assenza che ci circonda, non è più la realtà alla quale eravamo abituati, nella quale probabilmente siamo cresciuti, per la quale a volte abbiamo potuto soffrire conflitti e relazioni generazionali problematiche.
All’Ebraismo interessa la vita di chi resta nella stessa misura dell’onore per chi nonè più, ma la vita di chi resta ha su di essa puntati i riflettori della preoccupazione rabbinica della storia del nostro pensiero religioso.
Un pensiero che per undici mesi ho espresso attraverso il kaddish, quasi sentendo la presenza di mio padre accanto, in ogni tefillà, in ogni minian al quale ho partecipato fino a ieri, in ogni riunione ebraicamente sensata. Mio padre mi ha accompagnato, attraverso l’Halachà, per un altro pezzo della mia vita, adesso sono giunto all’ultima bambolina della matrioska, qualla indivisibile, quella che non si apre, la più piccola: quella sono io. Il lutto mi ha portato fino a me. E’ giunto il momento in cui dalla piccola matrioska riparta la vita piena.