“Io prendo oggi a testimoni davanti a voi il cielo e la terra, che Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché possa vivere, tu e i tuoi discendenti” (Deuteronomio 30:19). Il Maimonide (Rabbì Moshe ben Maimon, 1135-1204) scrive che la funzione del suono dello Shofar a Rosh Hashanah è quella di “risvegliarci” dal nostro “sonno” spirituale. Nel corso della vita, tendiamo a preoccuparci e a concentrare la nostra attenzione su ciò che il Maimonide chiama “Havleh Hazeman / le vanità del tempo”. Il suono dello Shofar ha lo scopo di “rianimarci” e di avvertirci della necessità di dedicarci alla Torah. Dobbiamo dunque chiederci: in che modo, esattamente, lo Shofar svolge questo compito? Perché per ridestarci dobbiamo suonare lo Shofar invece di produrre qualche altro tipo di suono o rumore?
Nel racconto della creazione nel libro della Genesi, la Torah racconta che Dio creò Adamo dalla polvere della terra e poi “Vayipach beapav nishmat chayim / soffiò un’anima vivente nelle sue narici”. Adamo fu creato all’inizio come creatura fisica, ma non era ancora completo finché Dio non “soffiò” un’anima sacra in lui. Il Maharal di Praga (Rabbì Yehuda Loew, 1520-1609) spiega che a Rosh Hashanah, il giorno della creazione di Adamo, si suona lo Shofar proprio per commemorare quel soffio di vita immesso nel primo essere umano.
Questo particolare atto viene commemorato per ricordarci che questa è l’essenza dell’essere umano: la sua anima. Ci viene mostrato che, sebbene siamo composti di un elemento che proviene dal mondo materiale e uno che arriva da quello spirituale, dobbiamo raggiungere la consapevolezza che la componente primaria dell’essere umano è l’anima. È così che il suono dello Shofar ci ridesta, ci ricorda il primato dell’anima. Ci richiama dall’attenzione ossessiva per i godimenti fisici e ci invita di a concentrarci alle necessità della nostra anima.
Nella Torah è scritto (Deuteronomio 4:4): “E voi, che vi attaccate all’Eterno vostro Dio, siete tutti vivi oggi”. La vera “vita” si vive quando ci uniamo al Signore, un’unione che si raggiunge per mezzo dell’osservanza delle mitzwoth. La Torah è chiamata Torat Chayym, un insegnamento di vita, perché contiene tutto ciò che nutre la nostra anima, donandoci la vita spirituale. Anche se una persona è fisicamente viva, potrebbe essere “morta” se la sua anima, la componente primaria del suo essere, non è sostenuta. È per questo che nel Talmud, i maestri hanno affermato che “i malvagi sono considerati ‘morti’ anche durante la loro vita, e i giusti sono considerati ‘vivi’ anche dopo la loro morte”. Per quanto riguarda il corpo, ovviamente, la “vita” è determinata dalle caratteristiche fisiche della vita, ma in termini di anima, la “vita” è determinata dall’entità della connessione di una persona con il Signore e questa connessione si costruisce attraverso l’esecuzione delle mitzwoth. Quindi, una persona può essere “morta” anche durante la sua vita, oppure, può continuare a “vivere” anche dopo la morte, proporzionalmente a quanto la sua anima sia stata adeguatamente nutrita attraverso le mitzwoth.
Nel Talmud è riportata la famosa analogia tra Torah e acqua insegnata da Rabbì Akivà. Proprio come i pesci che non possono vivere fuori dall’acqua, insegnava Rabbi Akiba, allo stesso modo noi non possiamo vivere senza Torah. Un maestro contemporaneo, Rav Mordekhai Gifter (1915-2001), ha spiegato il motivo per cui Rabbì Akivà usò l’immagine retorica del pesce. Quando un pesce viene tirato fuori dall’acqua, si dimena freneticamente fino a morire. In quei momenti, quando il pesce si dimena, sembra vivo, forse ancora più vivo di quando nuotava tranquillamente nell’acqua. Naturalmente, non è affatto così perchè il dimenarsi, è un segno della morte imminente del pesce. Allo stesso modo, scrisse Rav Gifter, molte persone che vivono senza Torah sembrano molto “vive”. Sono coinvolte in molte cose diverse e sembrano soddisfatte. Nella realtà della “nostra” vita, però, sono come un pesce fuor d’acqua e sebbene i loro corpi siano vivi, le loro anime non lo sono altrettanto.
Questa potrebbe essere una delle ragioni dell’usanza del Tashlikh a Rosh Hashanah. Ci rechiamo dove c’è un corso d’acqua per osservare i pesci, per ricordarci che la vera vita è una vita di Torah e mitzwoth, il nutrimento essenziale per le nostre anime.
“Ma lekhà nirdam kum kerà el Elo-hekha / Che fai così profondamente addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio” (Giona 1:6). Svegliamoci e ricordiamoci di dare la giusta attenzione e considerazione alle nostre anime, a nutrirle con lo studio della Torah e l’osservanza delle mitzwoth così da essere veramente e finalmente “vivi”, Shabbat Shalom!