Moshè radunò tutto il popolo e disse loro che erano venuti lì tutti insieme “Per accettare il patto dell’Eterno tuo Dio e il giuramento che fa con te oggi. Egli ti costituisce oggi come Suo popolo e sarà tuo Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri, ad Avraham, a Yitzchàk e a Ya’akòv. E non solo con voi io stipulo questo patto e questo giuramento, ma sia con quelli che stanno qui oggi con noi alla presenza dell’Eterno, nostro Dio, sia con quelli che non sono qui oggi con noi” (Devarìm, 29:11-14).
Moshè avvisò il popolo di non credere che avrebbero potuto essere presenti al patto e poi pensare di non osservarlo: “Oggi non vi deve essere tra di voi un uomo o una donna, una famiglia o una tribù il cui sentimento si distoglie oggi dall’Eterno, nostro Dio, per andare a servire gli dei di quelle nazioni; non vi deve essere tra di voi una radice che produca veleno e assenzio; e quando ascolterà le parole di questo giuramento ragionerà dicendo: avrò pace anche se farò come vorrò …” (ibid, 17-18).
Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega il significato delle parole “una radice che produca veleno e assenzio” e scrive: “Una radice che fa crescere dell’erba amara come l’assenzio; per dire che genera e fa moltiplicare malvagità presso di voi” e degenerare nell’idolatria.
R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia), in Ha’amèk Davàr (pp. 321-2) commenta che l’ammonizione di Moshè che “non vi deve essere tra di voi una radice che produca veleno e assenzio” non si riferiva a tutto il popolo ma solo a una minoranza che avrebbe pensato di non accettare il patto, ritenendo così di poter servire nel futuro altri dei. Un’altra spiegazione di r. Berlin è che Moshè voleva ammonire il popolo, anche se non intendevano servire altri dei, che non pensassero di poter diventare liberi pensatori che non riconoscono un Creatore. Si tratta questa di un’opinione peggiore dell’idolatria perché una persona tale non ha nulla che lo freni e non rispetta nessuna legge.
Questo commento di r. Berlin non è originale. Già il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nella Guida dei Perplessi (parte prima, capitolo 36) scrisse: “Qual è lo status della persona la cui infedeltà è in relazione alla Essenza divina e consiste nel ritenere che Egli è diverso da quello che è in realtà? Intendo dire che non ritiene che Egli esista o che ritiene che ci siano due dei, o che sia corporeo […]. Una tale persona è indubbiamente più biasimevole di colui che adora gli idoli e li considera degli intermediari…”
R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) commentando le parole “una radice che produca veleno e assenzio” in Hearòt ve-He’aròt (p. 231) afferma che le opinioni false vanno sradicate fin dall’inizio affinché non facciano sí che si possa arrivare perfino alla ‘avodà zarà.
Anche l’affermazione di r. Pacifici non è originale. Oltre settecento anni fa Dante Alighieri nel suo Convivio (trattato quarto, capitolo settimo), dopo aver citato le parole di Re Salomone nel libro di Kohèlet (Ecclesiaste, 10:16-17) scrisse: “Per che è da notare che pericolosissima negligenza è lasciare la mala oppinione prendere piede; che così come l’erba multiplica nel campo non cultato, e sormonta e cuopre la spiga del frumento sì che , disparte agguardando, lo frumento non pare, e perdesi lo frutto finalmente, così la mala oppinione ne la mente, non gastigata e corretta, si cresce e multiplica sì che le spighe della ragione, cioè la vera oppinione si nasconde e quasi sepulta si perde”.