L’anteprima organizzata dal prete.
William Beccaro
Anteprima speciale per le chiese di New York e dintorni di La passione di Cristo, l’ultimo film di Mel Gibson. Per i fedeli più assidui tra i banchi delle parrocchie, per soli undici dollari, il film era visibile con ben Due giorni di anticipo rispetto all’uscita nelle sale statunitensi del 25 febbraio. I biglietti per l’anteprima del 23 sono andati a ruba, ma grazie A un prete italoamericano di Long Island sono riuscito ad accaparrarmene uno.
Il parroco è stato tanto disponibile da trovarmi pure un passaggio in una
monovolume a sei posti di una delle tante famiglie della sua Chiesa: padre,
quattro figli e io. Salito sulla macchina ho subito palpato l’eccitazione:
«Normale» ho pensato guardando i ragazzini. Ma mi sbagliavo di grosso: in
questa speciale anteprima non ci sarebbe stato nulla di ordinario.
Mentre ancora stavo cercando di imparare il nome dei miei ospiti, perentoria
è cominciata la preghiera ad alta voce del più vecchio dei ragazzi. In un
quarto d’ora, il giovane è riuscito a ringraziare tutti: da Mel Gibson per
aver speso i suoi soldi per girare la pellicola, agli scenografi, ai
costumisti, agli attori, all’Italia per aver ospitato il set. Tutti, nessuno
escluso, anche il cinema per aver concesso la sala. Chiunque c’entrasse
minimamente con il film, avesse partecipato alla produzione o alla post
produzione, è stato menzionato nella litania, terminata con un «Grazie Dio
per aver favorito la realizzazione di questo capolavoro, amen». Una sorta
di atto di fede: il film era, nel comune sentire, il più bello della storia
Del cinema, ispirato direttamente dal Signore. Una benevola recensione
preventiva.
Io, unica voce stonata. non mi sono unito al coro degli amen. «Come mai
Non preghi per ringraziare Dio di questo incredibile film?». «Aspetto di
vederlo» ho glissato. «Vedrai che è bellissimo», mi ha rassicurato,
conciliante, un altro ragazzino. Quindi ha preso la parola il padre e
stentoreo ha declamato «Così come è successo, così è nel film. Lo ha detto
il Papa». «Ma lui, il Santo Padre mica c’era duemila anni fa», mi sono
permesso di far notare con il sorriso tra le labbra. Dieci occhi mi hanno
raggelato nel tacito rimprovero per la blasfemia.
Il prete ci aveva anticipato un cinema parrocchiale di periferia e invece,
con meraviglia di tutti, siamo stati incolonnati nel parcheggio di un’enorme
multisala. La meraviglia si è fatta incredula sorpresa quando abbiamo
scoperto che tutte le sale proiettavano, per esclusivo appannaggio dei
fedeli muniti di invito, La passione di Cristo.
All’entrata ci è stato distribuito un volantino giallo canarino con stampate
in nero alcune notizie utili:
la prima, che dopo il film «un team di persone è disponibile in sala per
parlare,rispondere a domande, confrontarsi e pregare se qualcuno ne sente
bisogno»;
la seconda, che una serie sconfinata di pubblicazioni sulla Passione di
Cristo – non era chiaro se quella delle Scritture o quella del film – era
disponibile all’uscita. nella hall del cinema.
Alle 19 e 30 un prete ha preso in mano il microfono e ha di nuovo
sollecitato alla preghiera dopo la proiezione, quindi ha ripetuto le
informazioni del volantino. Infine ha aggiunto che all’uscita sarebbe stata
disponibile per pochi dollari una versione moderna della Bibbia, utile per
tutti coloro che volessero sapere il resto della storia, quella che Mel
Gibson nella sua pellicola non racconta. Era la prima volta che sentivo
una
resentazione tanto bizzarra delle Sacre Scritture.
Ancora pochi minuti per sistemarsi e scambiare due battute con i vicini.
Di fianco al mio posto un tale Matt che, allungandosi nel darmi la mano
durante le presentazioni, ha scoperto l’avambraccio sul quale c’era tatuata
una grossa croce bizantina.
Buio in sala, lo show è iniziato. Immancabili i tanti che hanno cominciato
A sgranocchiare pop corn e a sorbire mezzi litri di coke. Tutto come nelle
normali proiezioni. Ma la normalità è stata subito turbata: con evidente
disappunto da parte del pubblico, il film ha i sottotitoli, perché Gibson
ha voluto che gli attori recitassero in aramaico e nel latino di Cicerone,
che non era certo quello dei legionari in Palestina. Ma nel film, attenzione
alla ricostruzione storica ce n’è poca o niente, la Passione di Cristo è, o per
lo meno vorrebbe essere, un atto di fede!
Tra i mugugni, in molti hanno dovuto armeggiare con borsette e giacconi,
in cerca di lenti a contatto o occhiali per leggere che cosa gli attori si
dicevano.
Quindi, messo a fuoco lo schermo, sono tornati a cibi e bevande. L’allegria
gastronomica però è durata poco; il film infatti è gratuitamente violento
e crudo. In pratica Gibson ritrae, per due ore, la tortura di un uomo, nella
fattispecie Gesù Cristo, ne segue fotogramma in fotogramma la morte.
Del film non c’è da dire altro, perché altro non c’è.
Sangue, sangue e sangue del Figlio di Dio, litri di sangue che schizzano
ovunque per ore. Oltre al sangue, litri di odio: innanzitutto quello degli
ebrei per Gesù, quindi quello dei legionari romani che sadicamente stremano
il condannato alla crocifissione. La tortura, quando proprio diventa
inaccettabile per la durezza con cui è ritratta, è inframmezzata
da flash back della vita del Messia: riprese cupi e tristi, ma apprezzata
tregua dalla violenza: per alcuni minuti almeno non si sentono le frustate,
i pugni o le martellate usate per crocifiggere il Cristo.
Il film, in sintesi, difficilmente potrebbe essere peggiore. Gratuita violenza,
inspiegabile iniezione d’odio. Costumi e sceneggiatura inverosimili,
un’infantile visione della Palestina di duemila anni fa che fa capolino
oltre gli
ettolitri di sangue versati dal Figlio di Dio. La pellicola però ottiene
il suo effetto: fa montare, fotogramma dopo fotogramma, l’odio nello spettatore
che, impotente, assiste all’esecuzione. L’odio è ovviamente per i sacerdoti
ebrei del Tempio e per i legionari che, con battute in un latino da liceo,
si accaniscono sul condannato a morte e gliene fanno una più del Diavolo. Tra
gli spettatori, i meno forti di spirito irrompono in lacrime dopo la prima mezz’ora
e da quel momento in poi è un continuo tirare su col naso e passarsi fazzoletti.
Il supplizio, per lo spettatore e per il Cristo, dura circa due ore.
Quando le luci si sono accese, il clima era funereo, tutti storditi,
l’uscita dalla sala quasi una silenziosa processione.
Chi si conosce si abbraccia, si bacia, quasi si facciano le condoglianze
per la morte del Messia.
Torno alla macchina della famiglia. Tutti sono scioccati. Poi il più piccolo
comincia a parlare. Nessuna preghiera questa volta. Ripete le scene del
film, come spesso fanno i ragazzini dopo averne visto uno. «Hai visto papà
quando… ». Poi, dopo averci pensato un po’, rivolto al fratello seduto
a fianco, ha aggiunto: «Io se ero lì salvavo Gesù uccidendo tutti gli ebrei».
«Queste cose non si dicono»,
ha rimproverato senza convinzione il padre dal posto di guida, poi ha
continuato, «anche Gesù era giudeo, anche alcuni suoi amici lo erano»,
quindi ha concluso didascalico:
«Non tutti gli ebrei sono cattivi, ci sono anche quelli buoni».
Grazie a Mario per la segnalazione.