Alcuni ufficiali SS dopo la guerra, pur senza essersi mai pentiti e ancora fedeli alle idee di Adolf Hitler, si sono riscoperti attori. Facevano la parte dei nazisti in alcuni film diretti dai maggiori registi italiani degli anni ’60. Il libro di Mario Tedeschini Lalli
Qualche anno fa i giornali han provato a far diventare notizia la scoperta, postuma, che il tanto amato Horst Tappert, l’ispettore Derrick, fosse stato in gioventù un membro delle SS (a quanto pare da semplice ventenne granatiere nella campagna di Russia). Tutt’altra storia è invece quella dei nazisti tedeschi che, dopo la guerra e l’occupazione, restarono in Italia e iniziarono a fare gli attori a Cinecittà, sempre nella parte di soldati tedeschi nazisti – altro che metodo Stanislavskij.
Una vita difficile, di Dino Risi, si apre con un barbuto Alberto Sordi partigiano in fuga, a un certo punto viene beccato da un soldato tedesco che gli punta addosso il mitra e gli grida: “Halt”. Poco dopo una bellissima Lea Massari accopperà il tedesco con un ferro da stiro. L’uomo sembra davvero perfetto per quel ruolo e il motivo è che si tratta di Borante Domizlaff, già maggiore delle SS di stanza a Roma, uno di questi nazi-attori su cui si concentra la ricerca di Mario Tedeschini Lalli nel libro Nazisti a Cinecittà, uscito da poco per Nutrimenti. Gli altri sono la spia Karl Hass – che partecipò con Domizlaff all’eccidio delle Fosse Ardeatine sotto il comando di Kappler – e il barone Otto Wächter. Prima di diventare comandante dell’amministrazione militare tedesca della Repubblica Sociale a Salò, l’SS Wächter era stato governatore del distretto di Cracovia, dove aveva firmato i decreti per la costruzione del ghetto, rendendosi responsabile poi dell’invio di decine di migliaia di ebrei nei campi di concentramento. Nel 1950 lo vediamo nel film La forza del destino e probabilmente in Donne senza nome. “Tra via Veneto e Cinecittà esisteva evidentemente un mercato per tedeschi ‘autentici’, ex militari, un mercato per ‘il tedesco della porta accanto’” scrive l’autore. Oltre che nel film di Risi, Domizlaff lo ritroviamo ad esempio anche ne La ciociara di Vittorio De Sica o, sempre nel 1960, in Tutti a casa di Comencini dove, anche qui in uniforme, minaccia una ragazza ebrea (interpretata da Carla Gravina).
Hass, coinvolto anche nell’estorsione dell’oro alla comunità ebraica di Roma, diventerà poi una spia per gli americani, ma nel frattempo prese parte a un film di primo piano come La caduta degli dei di Visconti nella parte di un ufficiale delle SA. Com’è possibile che un artista di sinistra come Luchino Visconti avesse preso dei veri nazisti per il suo film? E’ una delle tante domande che si pone Tedeschini Lalli durante le sue inchieste, una delle tante senza risposta, o con risposte vaghe. Esiste anche una foto in cui Hass, in costume da Terzo Reich e sull’attenti, guarda il regista che sta prendendo decisioni sul set.
Non parliamo certo di grandi star, di celebrità che riuscirono a conquistare le scene con ruoli da protagonisti – anzi, spesso i loro nomi non appaiono nemmeno nei titoli – restando impuniti per i loro crimini. Fa comunque effetto pensare a questa curiosa e spaventosa mise en abyme, soprattutto se, come viene fuori dalle ricerche di Tedeschini Lalli, questi nazisti non si pentirono mai e non presero mai le distanze dalle idee hitleriane, continuando a frequentarsi tra loro. Dalle interviste e dal frugare negli archivi, nel libro ci viene mostrato anche quel sottobosco di fascisti italiani che nel dopoguerra aiutò i nazisti a scappare in Sud America o a trovare lavoro nei set romani, a cambiare nome o a farsi ingaggiare dai servizi segreti in funzione anticomunista. Quello che ci si chiede è cosa provarono questi uomini, che ammazzarono centinaia di uomini e ragazzini alle Fosse Ardeatine, rimettendosi addosso davanti alle telecamere quelle divise con le rune e il piccolo teschio d’argento – orgoglio, qualche malata forma di trastullo? – ma anche questa è una domanda senza risposta.