Esistono talvolta nella Torah coincidenze quasi incredibili. Il quinto capitolo del Chumash Be-midbar che abbiamo letto stamattina ripropone lo stesso argomento di cui si era già parlato nel quinto capitolo di Wayqrà! Quale? Il furto. Repetita juvant anzitutto per sottolineare la gravità di questa trasgressione, ma non solo. Nel suo commento alla nostra Parashah Rashì sottolinea che si torna qui a parlare del divieto del furto per aggiungere due dinim di cui in precedenza non si era accennato. Il primo è l’obbligo di confessare il misfatto. La regola vale in realtà per tutte le trasgressioni.
Si sa. Le tentazioni sono talvolta irresistibili. Possono rendere l’uomo impotente spiritualmente, incapace di prendere la giusta decisione. E commette il male. Ma a questo punto c’è una risorsa: subentra il senso di colpa. Quando cede alla trasgressione qualcosa disturba la sua pace mentale. Per non essere torturato a vita dal rimorso di ciò che ha fatto è preso dall’ansia di correggersi. E’ quel processo chiamato Teshuvah. All’epoca del Bet ha-Miqdash la Teshuvah assumeva la forma di un sacrificio espiatorio. Più tardi Tefillah e Tzedaqah, preghiera e beneficenza presero il suo posto per raggiungere lo scopo. Ma rimane il timore che l’individuo prenda il sacrificio, la preghiera o la donazione come sotterfugi. L’atto compiuto potrebbe portarlo a pensare che fra lui e D. tutto va bene. Evidentemente non è questa una Teshuvah genuina. Ecco che la Torah richiede al peccatore di ammettere a voce alta la cattiva azione commessa: “H., ho trasgredito dinanzi a Te”.
Ma nel caso di un ladro ciò non è ancora sufficiente. Come esiste il divieto del furto, esiste anche l’obbligo di restituire la refurtiva ai legittimi proprietari. Ciò significa che se abbiamo rubato qualcosa non basta portare un sacrificio (all’epoca del Bet ha-Miqdash) e confessare di averlo fatto. Ci si aspetta da noi che restituiamo o risarciamo l’oggetto rubato. La restituzione può essere accompagnata da una penalità aggiunta in base alla Halakhah che a seconda dei casi ammonta ad un quinto del valore o a tutto il suo valore. A chi si restituisce? “Lo darà a colui che ha offeso”. Se la vittima non è più in vita, l’oggetto sarà naturalmente destinato ai suoi eredi. E se non avesse lasciato eredi?
Qui sta il secondo chiddush della nostra Parashah rispetto a quanto già conoscevamo sul furto. E’ possibile –domanda Rashì- che esista un ebreo senza parenti? In definitiva siamo tutti discendenti di Ya’aqov nostro Padre! Ci sarà pur sempre nel popolo ebraico qualcuno che avrà i titoli per riscuotere al posto della vittima! Ebbene esiste sì qualcuno che potrebbe essere sprovvisto di parenti ed è il gher, colui che si è convertito all’Ebraismo. Se il gher ha subito un furto e poi è deceduto senza lasciare eredi cui si possa restituire il maltolto: questo è il caso del tutto particolare di cui qui si parla. Il versetto continua dicendo: “allora il debito da restituire appartiene a H. che ne fa dono al kohen” in servizio nel Bet ha-Miqdash in quel momento. “Tutto ciò, naturalmente, oltre al sacrificio di espiazione dovuto dal ladro, tramite il quale il kohen espierà per lui”.
Questa norma si presta a due considerazioni, una particolare e una più generale. Non solo il furto nei confronti di un gher che si è convertito le-shem shamayim è considerato degno di attenzione esattamente come se la vittima fosse stata un ebreo nativo e il ladro è tenuto dal canto suo a riparare nello stesso modo. Ma H. considera il furto nei confronti di un gher come se fosse stato commesso nei riguardi di H. stesso. Le regole della Torah dimostrano quanto grande è l’amore del S.B. per coloro che sono giunti a ripararsi sotto le ali della Shekhinah.
Ma c’è un’altra considerazione assai più generale che Rashì ci suggerisce con il suo commento ed esula completamente tanto dai gherim che dai ladri. Per definizione non esiste un ebreo solo al mondo. Siamo tutti figli di Ya’aqov nostro Padre. Se un ebreo è privo di famiglia, la Comunità sarà la sua famiglia e la sua tutrice. Ed anche la sua erede. Dobbiamo farci carico di questa persona onde evitare che altri se ne prendano cura nel frattempo e riescano a portarci via ciò che spetta di diritto al popolo ebraico. Un diritto che abbiamo il dovere di tutelare. Se le Comunità investissero maggiori energie in questo settore otterrebbero molto più di quanto non ricavino attraverso il lavoro sulle entrate ordinarie. Riuscirebbero a stornare verso di sé interi capitali e soprattutto ci consentirebbero di mantenere quella autonomia economica che nei secoli è stata certamente fra i fattori che hanno determinato la sopravvivenza del nostro popolo, in qualsiasi luogo e in qualsiasi frangente.
Ma aldilà di ogni altra considerazione le Comunità e i loro amministratori si aggiudicherebbero in tal modo il merito di aiutare il prossimo in misura significativa. Come dicono i nostri Maestri nei Pirqè Avot: שכר מצוה מצוה. La vera ricompensa di una Mitzwah è in definitiva la Mitzwah stessa.