La seconda parte della parashà, descrive dettagliatamente le offerte portate dai capi tribù – nesiim, in occasione dell’inaugurazione del tabernacolo mobile del deserto.
Per questo motivo è conosciuta con l’appellativo di “parashat ha nesiim – brano dei principi”. Erano infatti così chiamati i capi delle tribù: coloro i quali organizzavano la vita sociale e politica della tribù stessa, all’interno del popolo ebraico.
Da questo si impara che, chi presiede una comunità ebraica, nell’attualità – il Presidente – è chiamato proprio “Nasì ha kehillà – letteralmente “Principe della Comunità”. Nella Diaspora babilonese, il capo della Comunità era chiamato “resh galutà” o, con un termine assai antico “Esilarca”; termine attribuitogli dai Maestri del talmud.
In ebraico moderno il “nasì” è il “presidente” di uno Stato, della Repubblica o del Consiglio o anche di una Comunità ebraica che sia, ma l’origine dell’appellativo la impariamo proprio dalla nostra parashà.
Il brano sopra citato, si conclude con le parole:” e offrirono i principi di Israel… e portarono il loro sacrificio”.
Il midrash (bemidbar rabbà 12) si domanda (questa citazione viene riportata anche da Rashi, nel commento al libro di Shemot 35);
Disse Rabbì Natan: “cosa videro i principi di Israele che portarono un ulteriore sacrificio? Non avevano forse, anche loro portato donazioni, durante la raccolta dei beni per la costruzione del Mishkan, descritta nel libro di Shemot?
“Certo che si!” spiega Rashi, ma essi, essendo proprio i capi tribù, avevano detto ai loro ebrei: “voi offrite ciò che volete e quanto volete” secondo ciò che è scritto nella parashà di Terumà “col nediv libbò – secondo il desiderio del suo cuore”, “ciò che manca o che non è sufficiente, lo aggiungiamo noi”. Così fu.
Shabbat shalom