Capitolo 1: Gli Ebrei nel Milanese
1.1 Le prime notizie
Si conosce pochissimo degli ebrei in Lombardia prima del quattordicesimo secolo. Le informazioni sono così scarse che è in sostanza impossibile trarre conclusioni sulla qualità, quantità e durata degli insediamenti precedenti questo periodo. E’ certo, però, che gli ebrei si stanziarono qui già in epoca romana, soprattutto in qualità di commercianti e proprietari terrieri.6
Le prime notizie risalgono al quinto-sesto secolo. Alla fine del quinto secolo, infatti, gli ebrei vivevano certamente a Milano, all’epoca Mediolanum. Qui, come in qualsiasi altra parte, soffrivano la presenza e l’interferenza della Chiesa cattolica. Lo stesso Teodorico, re degli Ostrogoti, conosciuto per non essere un amico degli ebrei, dovette più volte difenderli dalla violenza del clero e ordinare di non intromettersi nelle questioni della sinagoga e della comunità milanese. Sant’Ambrogio dichiarò pubblicamente l’intenzione di bruciare il tempio.
Nel 855, l’imperatore Luigi II emanò il primo decreto di espulsione degli ebrei da tutta Italia.
Il “Sacramentum potestatis” a Milano, all’inizio del tredicesimo secolo, conteneva un passaggio in cui il podestà in carica s’impegnava a bandire tutti gli ebrei e gli eretici da Milano e dal suo territorio. Proprio a questo periodo risalgono misure antiebraiche, che portarono a conversioni forzate e all’espulsione. Da Milano, gli ebrei furono espulsi per la prima volta agli inizi del 1200. Riapparvero in Lombardia nella seconda metà del quattordicesimo secolo. Da questo momento le notizie cominciano ad essere più numerose delle precedenti, da consentire di dipingere un quadro generale della condizione degli ebrei nello Stato di Milano, fino all’espulsione del 1597.
Lo Stato di Milano aveva dimensioni regionali e comprendeva, accanto al territorio milanese vero e proprio, i territori di altre città vicine. Si formò negli anni trenta-quaranta del quattordicesimo secolo, quando città come Bergamo, Novara, Cremona, Como, Lodi, Piacenza, Brescia, Asti, ed altre, riconobbero la signoria dei Visconti. La fase più gloriosa ed importante dell’intera storia dello stato di Milano coincise con la ricostituzione dell’unità del dominio, nelle mani di Gian Galeazzo Visconti nel 1385.7
Nel 1387, un gruppo di ebrei provenienti dalla Germania chiesero a Gian Galeazzo Visconti, che ricopriva la carica di vicario imperiale e signore di Milano, di concedere loro il permesso di entrare nel suo territorio e commerciare entro i suoi confini.8 Il conte accettò la loro richiesta e permise loro di dimorare liberamente nei suoi territori. Era loro permesso di esercitare attività di prestito e commercio e di godere di giurisdizione separata per le cause civili, invece in tutte le altre situazioni, solo il signore aveva il diritto e il potere di giudicarli, salvo che non fossero colti in flagrante. Fu loro concesso un cimitero fuori della città, ed una sinagoga, entro le mura. I ragazzi che avessero meno di tredici anni non potevano essere battezzati senza il consenso dei genitori. Dovendo giurare, potevano farlo sopra i libri di Mosè. A nessun altro ebreo sarebbe stato concesso risiedere nei domini viscontei senza il loro permesso.
Proprio alla fine del 1300, aumentò il flusso migratorio di ebrei provenienti dalla Germania. Molti ebrei scampati alle persecuzioni avvenute nel loro paese in concomitanza della peste del 1348, videro nell’Italia la meta ideale del loro rifugio.
Alla formazione della comunità lombarda non parteciparono solo gli ebrei tedeschi, ma anche ebrei provenienti dall’Italia centromeridionale, dalla Francia e più tardi dalla Spagna.
Gli ebrei si fermarono ovunque tranne a Milano, dove fu loro vietato di risiedere per più di tre giorni consecutivi. Durante il loro breve soggiorno nella capitale dello Stato, potevano alloggiare in un ospizio specificamente riservato a loro.
Il divieto di risiedere a Milano non doveva essere assoluto, perché qualcuno riusciva a risiedervi anche stabilmente. Nel 1470, infatti, un gruppetto di ebrei affittò una casa e addirittura uno di loro vi abitava stabilmente. Altre eccezioni del genere erano rappresentate da Guglielmo Portaleone e Elia di Sabato da Fermo9. Il primo era stato medico personale del re Ferdinando I di Napoli fino alla sua morte, avvenuta nel 1476. Passò quindi alla corte di Milano per continuare la sua attività. Aveva un’abitazione stabile a porta Vercellina.10 Elia di Sabato fu un personaggio di eccezionale importanza, per la posizione assunta nel ducato di Milano, presso il duca Filippo Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo. 11 Fu medico personale del duca e “giudice generale” per le cause civili e penali che riguardavano gli ebrei del ducato.
Proprio a causa del divieto, Milano rimase sempre in disparte in confronto ad altre città, come Alessandria, Mantova, Pavia.
Tutto si ordinava da Milano, si comandava e si espelleva, ma non riguardava la città. Nelle varie pratiche che riguardavano decreti di espulsione e di revoca, nessuna si riferiva ad ebrei residenti in città, ma ad ebrei nel resto del territorio lombardo.12 Fu per l’impossibilità di dimorare a Milano che nelle località più vicine, come Monza, Abbiategrasso, Melegnano, Lodi e tante altre, risiedettero sempre numerosi ebrei che, non essendo lontani dalla capitale, potevano svolgervi le loro attività e affari commerciali, senza dovervisi fermare.
1.2 Gli ebrei sotto gli Sforza
Quando Filippo Maria Visconti morì nel 1447, non lasciò eredi. Iniziò una crisi nel ducato che portò molte città, Milano per prima, all’autonomia. Fu necessaria a Francesco Sforza una lenta e faticosa opera di riconquista, che durò tre anni per ricomporre l’unità dello stato e farsi riconoscere duca nel 1450.
In questi anni, la comunità ebraica lombarda aveva ormai raggiunto i cinquecento individui. Gli ebrei preferivano dimorare in quelle zone cosiddette “terre separate”13, cioè località sottoposte direttamente all’autorità ducale e che, proprio per questo, mostravano una maggiore vivacità economica rispetto agli altri territori. Altre zone prescelte erano le località di confine, che permettevano di agire su un duplice mercato, offrendo, in caso di persecuzioni, maggiori possibilità di salvezza.
Il duca offrì più volte prova della sua amicizia verso gli ebrei. Sostenne i piccoli e medi banchi gestiti da ebrei e li difese dai periodici attacchi da parte della Chiesa. Nel 1456 confermò per dieci anni tutti i privilegi di cui godevano gli ebrei nel ducato. Alcuni ebrei erano chiamati a corte come ingegneri e medici. Erano assegnati loro titoli ducali. Qualche ebreo era nominato “familiare”, cioè membro della famiglia ducale e altri ottenevano il titolo di cavaliere, anche se, probabilmente, non venivano mai elevati a tale rango. Molti ebrei chiedevano di poter portare le armi. Spesso, a rilevare i buoni rapporti con i duchi, gli ebrei erano convocati a corte, ma non durante le festività ebraiche.
Nella maggior parte dei casi, per ottenere il permesso di residenza nei domini milanesi, gli ebrei dovevano aprire un banco di prestito. L’attività finanziaria così svolta aveva la sua norma nelle “condotte”, veri e propri documenti che costituivano la patente d’esercizio del banchiere, regolandone l’attività di prestito e lo status giuridico.14 La cosa più importante, stabilita da queste carte, era il tasso d’interesse sui prestiti su pegno, che mediamente oscillava tra il 20-40%.
Le altre regole relative al tasso d’interesse erano determinate dalla durata del prestito, dagli oggetti che il banchiere avrebbe potuto o no accettare come pegni, dall’età e dalla professione degli impegnanti. Le condotte stabilivano il comportamento da tenersi nel caso in cui gli oggetti impegnati fossero rubati o subissero danni mentre si trovavano sotto la custodia del banchiere, o non fossero riscattati nel termine di tempo stabilito.
Nel ducato di Milano, le condizioni erano simili a quelle di Firenze, Ferrara, Mantova, Padova, etc. I banchieri del ducato, però, a differenza del resto della penisola, potevano accettare qualunque pegno. Non era posta nessuna limitazione, neanche relativamente all’età degli impegnanti. Questa era una norma particolare e vigente solo nel ducato milanese. Infatti, normalmente, non si potevano impegnare alcuni oggetti, come gli arredi sacri e non potevano rivolgersi ai banchi ebraici i ragazzi che non avessero raggiunto i tredici anni.15
Se l’oggetto impegnato fosse risultato rubato, i prestatori avrebbero dovuto essere risarciti del capitale e dell’interesse, prima di restituirlo al proprietario. Nel caso in cui i pegni non fossero riscattati entro l’anno, gli ufficiali comunali avrebbero fatto due gride a distanza di quindici giorni una dall’altra per informare la popolazione. Se nessuno fosse ancora venuto a riscattare, si procedeva alla vendita.
Le condotte non si occupavano solo di disciplinare l’attività di prestito, ma stabilivano anche altre regole. Per esempio, riconoscevano agli ebrei il diritto ad osservare le proprie feste e precetti religiosi, ad avere una sinagoga ed un cimitero. Gli ebrei ottenevano il diritto di curare gli ammalati cristiani e tenere alle loro dipendenze balie e domestiche cristiane. Era loro concesso macellare la carne secondo i loro usi. Solitamente le condotte avevano durata di dieci anni.
Ai prestatori ebrei non si rivolgevano solo gli strati più bassi della popolazione, che saldavano i loro debiti non con denaro, ma con la merce che producevano o commerciavano, gli stessi duchi quando avevano bisogno, si rivolgevano a loro. Gli ebrei facevano un “trattamento di favore”, riducendo il tasso e alle volte il prestito non veniva neanche restituito. Tutto questo serviva per avere residenza e sicurezza contro gli attacchi periodici della popolazione e del clero.
Gli ebrei non erano impegnati solo nel campo creditizio. Il secondo più importante ramo dell’economia ebraica era il commercio. Commerciavano zafferano, gioielli, vestiti di lana e altri tessuti, una parte del raccolto, scorte di cibo e vestiario per l’esercito. Erano anche allevatori di bestiame, conduttori di fondi agricoli, osti, artigiani, lanieri, orefici e medici.16
Il 1488 è un anno molto importante per la storia degli ebrei lombardi. In seguito ad una denuncia di un ebreo convertito al cristianesimo, trentotto ebrei residenti nei territori del ducato furono arrestati e incarcerati a Milano con l’accusa di usare libri in cui erano contenute frasi offensive nei confronti del cristianesimo.17
Il principale accusatore fu Bernardino de Bustis, che, in occasione del processo cui partecipò come membro della commissione giuridica, scrisse il “Consilium contra iudeos”.18 Bernardino chiedeva l’esilio e la confisca dei beni per tutti gli accusati.
La sentenza fu emanata il 30 maggio 1488 e riconosceva la colpevolezza degli imputati. Per nove di loro fu decisa la condanna a morte, per gli altri l’espulsione del ducato e la confisca dei beni per tutti.
Pochi giorni dopo, la pena di morte e la confisca dei beni furono commutate in una multa di diciannovemila ducati, che gli imputati dovevano pagare entro il gennaio 1490. Sempre nel 1490 furono bruciati i centosettantadue volumi consegnati dagli ebrei al tempo del procedimento. Il rogo avvenne in contrada San Raffaele, a Milano.
Il 3 dicembre 1490 Ludovico il Moro decretò che tutti gli ebrei dovessero lasciare il ducato. L’espulsione non fu compiuta. Fu posticipata in un primo momento al 1492. Gli ebrei avanzarono richieste per prorogare il termine o perché fossero concessi permessi di residenza temporanei. Proroghe e permessi furono concessi a quegli ebrei in grado di intervenire nel risanamento finanziario del ducato. Ai “meno utili” fu, invece, confermata l’espulsione.
1.3 Il dominio spagnolo e la definitiva espulsione
Nel 1499 Ludovico il Moro fu deposto, creando una disputa tra gli Sforza e i francesi per acquisire il dominio. Inizialmente ebbero la meglio i francesi con Luigi XII. Il dominio francese durò vent’anni. Nel 1521, tornò a guidare il ducato uno Sforza, Francesco II. Nel 1535, infine, lo Stato di Milano fu acquistato da Carlo V d’Asburgo. Le precedenti concessioni agli ebrei furono confermate dai nuovi signori. Nel 1533, proprio Francesco II Sforza, infatti, aveva riconosciuto per altri otto anni il diritto agli ebrei di risiedere in ogni luogo del ducato, ad eccezione di Milano, di esercitare qualsiasi attività mercantile e bancaria, di celebrare i loro riti religiosi, di macellare la carne secondo i loro costumi e di possedere un cimitero.19 Soprattutto, gli ebrei erano esentati dal portare il segno, che li distinguesse dai cristiani. Era loro diritto non essere infastiditi durante le funzioni di culto e in generale nella vita di tutti i giorni.
Come detto, gli ebrei potevano fermarsi a Milano solo tre giorni, senza però svolgere attività di prestito. Nonostante il divieto, ci furono numerosi processi nel 1553 in cui gli ebrei si difendevano dall’accusa di aver praticato il credito a Milano, dicendo di non conoscere questa disposizione ducale, avendo semplicemente imitato quanto già facevano gli altri.20
Qualche anno dopo, il governatore dello stato di Milano concedeva una conferma della condotta, che scadeva nel 1556, per altri dodici anni. Nonostante questo, non cessarono le domande della popolazione per una liquidazione dei banchi di prestito e per la stessa espulsione dallo Stato.
Il 2 settembre 1566 fu diffusa in tutto lo Stato una grida che sanciva l’obbligo di portare il segno giallo e proibiva l’usura, abolendo, di fatto, i banchi di prestito. Indossare il segno era obbligatorio, eccetto per qualche ebreo privilegiato. Le autorità furono costrette a pubblicare ripetute notifiche alla popolazione, ordinando di smettere di infastidire gli ebrei, che ora, con il segno giallo, erano più facilmente distinguibili. Non fu di gran successo, invece, la proibizione dei banchi, perché le autorità mancarono di stabilire alternative fonti di credito e quindi la popolazione continuò a rivolgersi ai creditori ebrei.
Il segno giallo non era una novità e nelle stesse condotte degli anni precedenti era stato previsto, ma la sua introduzione non era mai stata rigorosa, sia perché gli ebrei erano sempre riusciti ad ottenerne la revoca, sia per la sua inutilità, poiché gli ebrei erano facilmente riconoscibili dal loro aspetto e abbigliamento. Lo scopo del segno, infatti, non era di rendere riconoscibile l’ebreo, ma piuttosto di evidenziarne l’inferiorità, equiparando, per esempio, le donne ebree alle meretrici, che portavano lo stesso segno.21
Nel 1573 il re Filippo II firmava il permesso di una proroga di quattro, massimo cinque anni, al soggiorno degli ebrei nel ducato. Rimaneva l’obbligo di portare il segno e il divieto del prestito. Il passo successivo fu cercare di confinare gli ebrei nel ghetto, seguendo l’esempio delle altre città nella penisola. Nel 1516 a Venezia era stato creato il primo ghetto. Successivamente, con le disposizioni del papa Paolo IV e Pio V, i ghetti sorsero a Roma, Ancona e nel corso del secolo successivo in molte altre città.22
Alessandria fu l’unica città del ducato dove si riuscì a confinare gli ebrei in un ghetto. A Pavia e Cremona simili tentativi fallirono.
Non erano cambiate le disposizioni per Milano, gli ebrei potevano soggiornarvi solo per tre giorni, senza svolgere l’attività commerciale. Per il breve periodo concesso, gli ebrei abitavano in un albergo cristiano e cucinavano secondo il loro rituale. La zona frequentata era nelle vicinanze di Porta Romana.
Occasionali clienti di passaggio usufruivano della mensa per poi raggiungere le case di amici e parenti nelle località vicine alle città.
Nel 1580, il governatore autorizzava la comunità ebraica del ducato a possedere una casa a Milano per tutto il tempo in cui soggiornavano nel ducato. Nella casa era proibito che vi abitasse alcun cristiano, ma era permesso che vivesse con continuità un ebreo con un servitore o servitrice ebrei per dare alloggio ad altri ebrei. Era anche prolungato il permesso di soggiorno, da tre a venti giorni.23
Nel 1579 il re concesse un’altra proroga di tre anni al soggiorno degli ebrei, ma successivamente cedette alle pressioni della Chiesa e di città come Pavia e Cremona. Il 3 dicembre 1590 decise di espellere gli ebrei dal ducato. Dava loro sei mesi di tempo per andarsene. Potevano restare solo quelli che si convertivano al cristianesimo. L’espulsione sarebbe avvenuta entro il 1° ottobre 1591.
Il decreto aprì l’ultimo atto della presenza degli ebrei nel ducato. Per sette anni si susseguirono tentativi di posticipare l’esecuzione del decreto. Fin dal 1591 gli ebrei ottennero di condizionare la loro uscita al rimborso dei loro crediti, che era stato calcolato in trentaduemila scudi. Il re aveva aderito a questa richiesta, ma poiché le casse della tesoreria erano vuote, ordinò che il debito fosse completamente addossato allo Stato di Milano. Era stato stabilito, inoltre, che solo due ebrei fossero autorizzati a rimanere nello stato per curare gli interessi della comunità e per accordarsi sul tasso d’interesse che spettava loro. Il governo aveva stabilito delle quote da attribuire a ciascuna città. Questo, però, produsse una battaglia tra le città del ducato, perché non tutte erano d’accordo con la decisione. C’erano, infatti, città come Milano che in pratica non ospitavano ebrei, e città come Lodi che difendevano gli ebrei.
Queste difficoltà fecero posticipare ancora una volta la data, che divenne definitivamente il 10 marzo 1597.
La maggior parte degli ebrei lasciò il ducato nel corso dell’aprile 1597, immediatamente dopo la Pasqua ebraica. Entro il 23 giugno tutti se n’erano andati. Rimasero solo quattro ebrei, con speciale autorizzazione del re.
Tre di loro erano stati nominati ufficiali rappresentanti della comunità che se n’andava, mentre Simone Vitale Sacerdote ebbe il permesso di restare in riconoscimento degli speciali servizi che lui e suo padre avevano reso al re.24
La maggior parte degli ebrei si rifugiò nelle città di Reggio, Modena e Mantova, altri nel Monferrato, a Torino, Vercelli e Casale. Molti in Veneto e in Toscana.
Dal 1600 in poi, e per più di un secolo, ebrei in Lombardia e soprattutto a Milano, non se ne trovarono più. Non erano più perseguitati dalla legge, anzi le leggi emanate furono presto dimenticate e gli espulsi di prima furono invitati a tornare. Nessuno volle tornare tanto presto. Furono richiamati nel 1683, ma nessun ebreo accettò l’invito, né per Milano, né per Pavia.25
1.4 La nascita del Consorzio israelitico di Milano
Dopo l’espulsione del 1597, lo Stato milanese rimase privo di ebrei per circa due secoli. I primi segnali di cambiamento si verificarono soltanto negli ultimi decenni del Settecento.
Una testimonianza, che mostra la presenza ebraica a Milano a fine Settecento, è una lettera del 1778 di un locandiere ebreo, un certo Abram Bondi Corinaldi. Già in passato aveva avuto il permesso di gestire un albergo in cui ospitava ebrei, che si trovavano di passaggio a Milano. Con questa lettera chiedeva alle autorità di poter erigere una sinagoga di rito italiano, la quale sarebbe stata “senza formalità di segno visibile”26, rispettando così le disposizioni di legge che vietavano ogni segno di magnificenza esteriore agli edifici di culto israelitico. La richiesta fu respinta categoricamente dalla polizia. La ragione addotta fu che “le sovrane prescrizioni sulla tolleranza cristiana in materia di religione non comprendevano gli ebrei”.27
La situazione non mutò negli anni seguenti. Gli ebrei cominciarono a giungere a Milano sin dal 1820 in concomitanza con un generale movimento di progressivo accentramento nelle grandi città. Queste ultime erano in grado di offrire sbocchi più adeguati nelle professioni accademiche e liberali o in quelle attività economiche che, tradizionalmente erano svolte dagli ebrei.
La manifestazione più evidente di queste migrazioni fu il decisivo abbandono delle località più piccole come i centri del Piemonte, del Friuli, del Basso mantovano, Veneto, dell’Emilia Romagna e delle zone più settentrionali delle Marche, che nel 1840 raccoglievano circa settemilasettecento ebrei, e nel 1931 contavano una popolazione di non più di millecento unità. Mentre una parte dell’emigrazione da queste località minori si rivolse verso le città di provincia delle rispettive zone, un’altra parte prese direzioni diverse e nuove, verso alcune grandi città da dove gli ebrei erano stati cacciati in passato, tra cui Milano, Bologna, Genova e Napoli.28
A proposito degli ebrei milanesi, Hassau, in un articolo apparso sull’”Educatore israelita” del 1855, intitolato “Gli israeliti di Milano”, dice:
“Gli israeliti di Milano sono dai 400 ai 500all’incirca. E’ però difficile stabilirne con precisione la cifra numerica. Si arroge che non pochi si ravvolgono nel mistero, schivi, e a torto, di proclamare com’altri fa con nobile orgoglio, la propria professione religiosa. Il loro aumento si deve a due principali motivi. Il primo sta nella maggior tolleranza che li favorisce qui in confronto ad altri stati della penisola. L’altro movente procede dall’attrazione delle individuali attività che esercitano ognor più i grandi centri a scapito dei minori. Attrazioni più presto e più direttamentesentita dagli israeliti, nei quali le abitudini ele attività commerciali sono un retaggio di antiche necessità.”29
Anche quest’articolo mostra il ritorno di ebrei a Milano, ma un’altra testimonianza di questa presenza è data da due lapidi situate lungo il muro di cinta della chiesa del Fopponino, in piazzale Aquileia. In una delle due è disegnata la pianta di un antico cimitero, in cui era indicato il settore riservato al “reparto israelitico”30. L’altra lapide portava i nomi di numerosi benefattori, segnalandone in particolar modo due: i signori Treves e Levi, che, nel 1808 e nel 1828, rispettivamente, fecero generose elargizioni per il cimitero.
Oggi la principale fonte per delineare la forma della comunità di Milano alla sua origine è un registro, la Rubrica degli israeliti, un manoscritto di stato civile conservato presso l’Archivio Storico Civico milanese, in cui sono segnalati i nomi degli ebrei a Milano dall’inizio dell’Ottocento fino al 1867. Il Registro offre anche altre informazioni, come la data di nascita, il luogo, la data di arrivo a Milano, la professione, lo stato civile.
Esaminando il Registro, il primo ebreo “milanese” registrato fu Salomone Pavia, giunto nel 1801. Arrivava da Mantova ed era un possidente. Nel primo decennio del secolo arrivarono a Milano una quindicina di ebrei. Provenivano soprattutto dal Piemonte: Casalmonferrato, Torino, Fossano, Vercelli.31 Nella maggior parte dei casi si trattava di negozianti o commercianti. Nel corso degli anni successivi, il flusso migratorio aumentò, diversificando però la terra di provenienza.
Arrivarono numerosi ebrei anche dalla Toscana, dalla Romagna e soprattutto da Mantova. Non mancavano persone dall’estero, soprattutto dai territori austro-ungarici: Vienna, Ungheria, Galizia austriaca, e alcuni anche dal Baden. Sugli ebrei dell’area austro-ungarica gravavano le rigide norme dell’autorità asburgica. Gli ebrei milanesi, invece, erano trattati meglio e questo era dovuto al loro alto livello culturale e al loro impegno e presenza attiva nell’economia della città. Erano liberi di gestire i loro patrimoni e di impegnarsi in iniziative imprenditoriali.32
Gli ebrei del Baden erano commercianti, ma nelle loro terre vi erano troppe limitazioni a quest’attività e così cercavano nuovi sbocchi e piazze per i loro affari.
L’apice dell’affluenza di ebrei a Milano fu raggiunto negli anni Cinquanta-Sessanta. Arrivavano soprattutto da Mantova.
I rapporti tra le due città erano, infatti, molto stretti. Milano faceva ancora parte della comunità di Mantova, l’unica restata ininterrottamente in Lombardia. Gli ebrei di Milano furono privi di un’organizzazione comunitaria ufficiale fino al 1855, e quindi dipesero sia per le questioni religiose e di culto, sia per quelle burocratiche, da Mantova. Le registrazioni del nucleo appena sorto furono compilate fin alla fine degli anni Venti dal rabbino di Mantova. Il rabbino Prospero Moisè Ariani arrivò da Mantova proprio nel 1855. Prima di lui, Guglielmo Treves, di origine veneziana, era stato “rappresentante interinale degli Israeliti”33.
Il numero degli ebrei continuava ad aumentare, nel 1840 erano iscritte nei registri anagrafici della comunità duecento persone. Così, nel 1855, nacque il Consorzio israelitico di Milano.
Sempre Hassau scrive :
“Gli israeliti di Milano, dipendenti finora dalla Comunione di Mantova, stanno ora, in causa dell’accresciuto numero, per costituirsi in Comunione separata. E già fino dall’anno 1847 fu legalmente nominata in Municipale consesso degli Israeliti qui residenti una Commissione per redigere lo Statuto, che venne dagli incaricati presentato ai Capi di Famiglia34, discusso in regolari sedute ed approvato”35.
Solo nel 1866, però, Milano si staccò definitivamente da Mantova, stabilendo un’adesione volontaria degli iscritti alla nuova comunità. Gli iscritti dovevano impegnarsi a pagare le tasse ogni tre anni.
Tra i nuovi arrivati si registravano banchieri, cambiavalute e in genere uomini impiegati nell’ambito finanziario. La maggior parte degli ebrei erano possidenti e commercianti.
Le merci commerciate erano di vario genere: grano, gemme, gioie, pipe, tele e tessuti. C’erano anche merciai, cuochi, camerieri e sarte. Tra le donne numerose erano le ballerine.
Il livello d’istruzione e di cultura tra questi primi ebrei milanesi era molto alto. Si contavano letterati, pittori, artisti di ogni genere, come anche professori. Molti erano dottori in legge e in medicina, numerosi gli ingegneri. Tra i figli degli emigrati, molti erano studenti universitari.36
Ormai formata, la comunità milanese aveva bisogno dei servizi religiosi più essenziali, come il cimitero e la sinagoga. Il primo cimitero si trovava in via Bramante 637. Nel 1808 sorse un altro cimitero ebraico, vicino al cimitero di Porta Vercellina. Il terreno fu usato dal 1809 al 1838, quando fu aggiunto un nuovo appezzamento di terra.
Nel 1870, questo cimitero, anche se ampliato, risultò inadeguato per l’accresciuta comunità e così, il Comune di Milano assegnò un reparto speciale del Cimitero Monumentale agli ebrei milanesi. Ben presto anche questa soluzione si dimostrò inadeguata e dal 1895 il comune mise a disposizione degli ebrei il cimitero di Musocco.38
Per quanto riguarda il tempio, prima del 1840, quando la popolazione ebraica era ancora esigua, gli ebrei si riunivano in alcuni locali adibiti al culto e alla preghiera. Il primo luogo di preghiera stabile fu creato nel 1840. Era una stanza in una palazzina in via della Stampa 4. Il piccolo tempio seguiva il rito italiano. Fu eretto per volontà di Jacop Giuseppe Mendel, giunto a Milano nel 1823, dalla Moldavia. Finché Mendel fu vivo, concesse l’uso gratuito dell’oratorio. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1850, fu concordato tra gli eredi e il Consorzio israelitico un affitto annuo di mille lire. Questo locale rappresentò l’unico luogo di culto ufficiale degli ebrei di Milano, per circa cinquant’anni. Naturalmente l’aumento della popolazione portò alla decisione di erigere un nuovo tempio più grande. Nel 1886 fu nominato un Consiglio con il compito di raccogliere i fondi necessari per la costruzione del tempio. A questo fine, importante fu il contributo finanziario di Salomone Ottolenghi, che morì nel 1887, disponendo che gran parte del suo patrimonio fosse devoluto ai fondi per il tempio. Il consiglio raccolse un fondo di quattrocento lire e passò quindi all’acquisto del terreno in Via Guastalla. Il lavoro di progettazione fu affidato all’architetto Luca Beltrami, affiancato dall’ingegnere Luigi Tenenti e da Damiano Colombo.39 I lavori cominciarono ufficialmente nel febbraio 1891 e furono portati a termine in circa un anno e mezzo. Il tempio fu inaugurato il 28 settembre 1892. Lo Stato italiano fece un prestito alla comunità di settantacinque milioni di lire, per la costruzione del tempio. La comunità poteva restituirli in trent’anni. La somma servì solo alla metà delle spese.
La sinagoga fu colpita da bombe incendiarie nel 1943. Ne rimase in piedi solo la facciata, che rimane l’unica parte originaria rimasta dopo la ricostruzione del 1953 e la ristrutturazione del 1997.
All’epoca della costruzione del tempio di Via Guastalla, la comunità aveva raggiunto i duemila membri, su una popolazione milanese totale di quattrocentomila individui. La popolazione ebraica era cresciuta progressivamente fino a raggiungere i tremila membri all’inizio del Novecento (tab.1)
Tabella . Popolazione ebraica milanese nellaseconda metà del XVIII secolo.
ANNO | 1848 | 1861 | 1881 | 1901 |
Pop.ebraica milanese | 214 | 297 | 1120 | 3012 |
Pop.totale | 148434 | 245058 | 321000 | 491000 |
Ebrei per mille ab. | 1.44 | 1.21 | 3.49 | 6.13 |
Fonte: Germano Maifreda, Gli ebrei e l’economia milanese: 1815-1893, tesi di laurea per l’Università degli Studi di Milano, a.a. 1993-94.
Tabella 2. Popolazione ebraica in Lombardia: casodi Milano e Mantova.
Anno | 1793 | 1840 | 1881 | 1901 |
Pop.ebraica milanese | _ | 214 | 1120 | 3012 |
Pop.ebraica lombarda (esclusa Mantova e Milano) | _ | 280 | 1362 | 3403 |
Pop.ebraica mantovana | 2607 | 2695 | 1431 | ? |
Fonte:G.Maifreda, Gli ebrei e l’economia milanese: 1815-1893, tesi per l’Università degli Studi diMilano, a.a.1993-94.
1 Sergio Della Pergola, Anatomia dell’ebraismo italiano, Carucci Editore, Assisi-Roma, 1976.
2 Rav. Prof. Giuseppe Laras, La scuola ebraica, Scuola Ebraica, comunità ebraica di Milano-ORT, Milano, 1993.
3 Anna Maria Piussi (a cura di), E li insegnerai ai tuoi figli, Giuntina, Firenze, 1997.
4 La nuova sede sorgeva in Via Soderini, ma nel luglio 1962 la giunta comunale dedicò a Sally Mayer, Presidente per molti anni della Comunità, la quarta via a destra di Via Soderini, proprio quella su cui si affaccia la Scuola.
5 Si veda in merito all’organizzazione sperimentale, gli allegati a pag.245-46, nella sezione “Documenti”.
6 Per le notizie sugli ebrei relative a questo periodo si veda, Shlomo Simonsohn, The Jews in the Duchy of Milan, Gerusalemme, 1982; Antoniazzi Anna, “Ebrei in Lombardia: quattrocento anni di storia”,in Bollettino della comunità ebraica di Milano, n.5/1987, pp.25-26; Attilio Milano, “Ebrei in Italia nei secoli XI-XII”,in Rassegna mensile di Israel, vol.XLIII, 1977, pp.563-637.
7 Per le notizie storiche sullo Stato di Milano, Enciclopedia Europea, vol. VII, Milano, 1979.
8 Simonsohn, cit. 1982.
9 Annie Sacerdoti; Annamarcella Tedeschi (a cura di), Lombardia. Itinerari ebraici, Marsilio, Milano, 1993.
10 Oggi via Vercelli, vicino Corso Magenta.
11 Per Elia da Fermo si veda Munster, “Una luminosa figura di medicoebreo del ‘400: Maestro Elia di Sabbato da Fermo”, in Umberto Nahon (a cura di), Scritti in memoria di Sally Mayer, Gerusalemme, 1956, pp.224-258.
12 Samuele Schaerf, “Appunti storici sugli ebrei in Lombardia”,in Rassegna mensile di Israel, vol.II, 1926, pp.371-385.
13 Anna Antoniazzi Villa, Gli ebrei nel Milanese dal medioevo all’espulsione, Sellino, Milano, 1993.
14 Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino, 1992.
Per ulteriori notizie sull’argomento si veda Roberto Bonfil, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Sansoni, Firenze, 1991 e Annie Sacerdoti, Guida all’Italia ebraica, Marietti, Genova, 1986.
15 Antoniazzi Anna, cit., 1993.
16 Attilio Milano, cit., 1992.
17 Per il processo si veda, Antoniazzi, Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488. Crescita e declino di una Comunità ebraica lombarda alla fine del Medioevo, Cappelli, Bologna, 1986; Antoniazzi, “Appuntisulla polemica antiebraica nel ducato sforzesco”, in Studi di storia medioevale e di Diplomatica, n.7,1983, pp.119-124; Antoniazzi, “Per lastoria degli ebrei nel dominio sforzesco. Un episodio di antisemitismonel1488”, in Rassegna mensile di Israel, vol.XLVI,1980; Simonsohn, cit.,1982.
18 Su Bernardino de Bustis, Antoniazzi, “A proposito di ebrei, francescani,Monti di Pietà: Bernardino de Bustis e la polemica antiebraica nellaMilano del ‘400”,in Il Francescanesimo in Lombardia. Storia e arte, Milano, 1983, pp.49-52.
19 Shlomo Simonsohn, “Un privilegio di Francesco II Sforza agli ebreidelDucato di Milano”, in Umberto Nahon (a cura di), Scritti in memoria di Sally Mayer, Milano-Gerusalemme, 1956, pp.308-324.
20 Per le notizie relative a questo periodo si veda oltre alle opere già citate di Simonsohn, Renata Segre, Gli ebrei lombardi in età spagnola, Accademia delle Scienze, Torino, 1973.
21 Attilio Milano, cit., 1992.
22 Per approfondimenti sulle bolle pontificie e istituzione dei ghetti si veda, Paul Johnson, Storia degli ebrei, Longanesi, Milano, 1994; Bruno Segre, Gli ebrei in Italia, Fenice 2000, Milano, 1993; Piero Stefani, Gli ebrei, Il Mulino, Bologna, 1997; Cecil Roth, “Nel ghetto italiano”, in Rassegna mensile di Israel, 1926, vol.II, pp.99-112.
23 R.Segre, cit.,1973.
24 R.Segre, cit., 1973.
25 Shaerf, cit., 1926.
26 Dell’Acqua Vittorio, Ebrei nella Milano dell’Ottocento: uno studio sulle dichiarazioni di successione (1862-1890), dattiloscritto,tesi di laurea per l’Università Cattolica di Milano, a.a 1993-94.
27 Dell’Acqua Vittorio, tesi di laurea citata.
28 Roberto Bachi, “Le migrazioni interne degli ebrei dopol’emancipazione”, in Rassegna mensile di Israel, n.10, 1937-38, pp.318-362.
29 Hassau, “Gli israeliti di Milano”, L’educatore israelita, Vercelli, anno III, 7/3/1855, pp.107-111.
30 Annie Sacerdoti, cit., 1998.
31 Giordano Maifreda (a cura di), “La Rubrica degli Israeliti”, in Rassegna mensile di Israel, n.3, 1993, pp.24-66.
32 Sara Sinigallia, “Gli ebrei a Milano nella prima metà dell’Ottocento:genesi di una comunità”, in Storia in Lombardia, n.1,1999, pp.37-71.
33 Germano Maifreda, Gli ebrei e l’economia milanese: 1815-1893, dattiloscritto,tesi di laurea, a.a 1993-94, Università degli Studi di Milano.
Germano Maifreda, “Banchieri ebrei e patrimoni ebraici nella Milanoottocentesca”, in Duccio Bigazzi (a cura di), Storie di imprenditori, Il Mulino, Bologna, 1996, pp.97-157.
34 A quell’epoca vivevano a Milano sette famiglie: Salomon Vita Levi, Aron Vita Levi, Salomon Leon Pavia, Rubino Cavalieri, Aron Cervo Norsa, Leon Vita Basevi, Jacop Norsa. Notizie di Sara Sinigallia, cit., 1999.
35 E Hassau, cit., 1855.
36 La Rubrica degli Israeliti, cit., 1993.
37 Annie Sacerdoti, cit.,1998.
38 Sara Sinigallia, cit., 1999.
39 Sinigallia, cit., 1999; Sacerdoti, cit., 1998.