Mauro Perani – Università di Bologna
Il loro riuso come legature e la loro recente riscoperta
Pubblicato in E. Morini, L. Canetti, M. Caroli, Raffaele Savigni (a cura di), Studi di storia del Cristianesimo. Per Alba Maria Orselli, Ravenna, Longo Editore, 2008, pp. 313-336. Le pagine del testo pubblicato non corrispondono a questo, ma si può consultare per questi Academia.edu Perani
Colligite fragmenta ne pereant …collegerunt ergo et impleverunt duodecim cophinos fragmentorum…
Vangelo di Giovanni 6,12-13
1.1 Progetto Frammenti Ebraici in Italia
Sono ormai venticinque anni da quando nel 1981 il compianto Giuseppe Sermoneta fece decollare in Italia il Progetto Frammenti Ebraici in Italia o Progetto “Genizah” italiana, con una felice intuizione che anticipò di diversi anni il censimento sistematico dei frammenti di manoscritti ebraici riusati come legature in Italia, rispetto ad altri progetti relativi a frammenti di codici non ebraici. Certamente l’Italia è lo Stato che conserva la maggiore quantità di queste preziose reliquie di manoscritti medievali, grazie al suo ruolo di primo piano in Europa giocato nel campo della cultura e della produzione e diffusione del libro fra il medioevo avanzato e il rinascimento. I risultati del censimento – non ancora ultimato – dei disiecta membra dei codici ebraici, che ha portato al reperimento di circa 10.000 tra fogli o bifogli interi e frammenti più piccoli ritagliati, sono stati da me illustrati in varie pubblicazioni, fra le quali rimando alle più recenti e aggiornate.[1]
Recuperare queste reliquie significa in qualche modo ridare vita a dei manoscritti ormai “morti” come libro da quattro o cinque secoli. Si tratta di entrare nella storia del libro ebraico manoscritto, ripercorrendo le sue vicende, strettamente legate a quelle del popolo che lo ha prodotto, seguendo la sua mobilità, esaminando i modi e le forme della sua conservazione, la sua distruzione rituale per evitarne la profanazione e quella che può essere definita la sua “morte” che può consistere o nella sua riposizione rituale in una genizah e successiva sepoltura, o nella distruzione tramite i roghi appiccati dalla Chiesa i quali hanno tristemente accompagnato la sua bimillenaria persecuzione contro gli ebrei o infine – ed è il nostro caso – nel suo riciclaggio.
1.2 I manoscritti ebraici giunti fino a noi
Sono giunti fino a noi poco più di 70.000 libri ebraici manoscritti, conservati in circa seicento biblioteche nazionali, statali, pubbliche, municipali, universitarie e monastiche e in collezioni private. In aggiunta a questi, circa 150.000 frammenti di manoscritti medievali ci sono stati restituiti dalla Genizah del Cairo, costitita da una camera di deposito nella sinagoga Ben Ezra nel vecchio Cairo. Ma, fra i manoscritti di Qumran, scoperti a partire dal 1947 e datati fra il II sec. a.e.v e il I e.v., e il più antico manoscritto medievale in nostro possesso abbiamo un vuoto quasi totale di documentazione di ottocento anni. Infatti il più antico manoscritto datato nelle nostre mani fu copiato nell’anno 903-904 in un paese islamico. L’epoca del manoscritto ebraico viene fatta giungere fino al 1540, quando la stampa era ormai in grado di fornire la maggior parte delle opere. Per questo periodo di circa seicentocinquant’anni si calcola che ci siano giunti circa 40.000 o 50.000 libri ebraici manoscritti, oltre ai già menzionati frammenti della Genizah del Cairo. Secondo un calcolo approssimativo di Colette Sirat, una delle massime studiose del libro ebraico, non ci è pervenuto che il 5% circa di tutti i manoscritti prodotti in Europa dagli ebrei durante il Medioevo.
Questa quantità di libri ebraici medievali sopravvissuti rappresenta certamente una piccolissima parte dell’intera produzione libraria degli ebrei, molto più grande, proporzionalmente al fatto che essi costituivano una minoranza, di quella prodotta dai cristiani, a motivo del loro sistema educativo che prevedeva l’apprendimento della capacità di leggere e scrivere fin da giovane età. La quasi totalità degli ebrei da epoca immemorabile, specialmente i maschi, sapeva leggere e scrivere.
Alla luce di queste considerazioni anche la scoperta di un frammento o di una sola pagina di un nuovo manoscritto ebraico medievale riveste una notevole importanza. In questo senso è di grande rilievo il progetto di censimento e catalogazione di fogli, bifogli e frammenti di codici ebraici medievali scoperti come legature di registri notarili o di vario genere, come pure di libri a stampa, negli archivi italiani ed europei, per un totale di decine di migliaia di frammenti. Di essi la maggior parte è stata scoperta negli archivi italiani, che ce ne hanno restituito, come sopra riferito, circa 10.000.
1.3 L’importanza dell’Italia nella produzione e conservazione dei manoscritti ebraici
La penisola italiana è l’area che conserva alcune delle più grandi collezioni di manoscritti ebraici integri, come ad esempio il fondo ebraico di oltre 1.600 manoscritti conservato nella Biblioteca Palatina di Parma o nella Biblioteca Apostolica Vaticana, con circa 800 manoscritti[2]. L’Italia, infatti, ha avuto un rapporto privilegiato col manoscritto ebraico, in particolare nella sua epoca d’oro, vale a dire nei secoli XIII e XIV, quando il codice – ebraico e non – raggiunse il suo massimo splendore, giusto poco prima che il diffondersi del libro stampato nei sec. XV e XVI ne determinasse il crollo e sostanzialmente il superamento. Con una dei massimi esperti nello studio dei manoscritti ebraici, Colette Sirat, possiamo affermare che circa la metà dei manoscritti ebraici oggi esistenti nelle biblioteche di tutto il mondo sono passati per l’Italia; o perché prodotti in Italia o perché portati nella nostra Penisola da immigrati, dopo essere stati copiati nell’area tedesca o spagnola, in seguito a migrazioni o a espulsioni forzate dai paesi di residenza; o perché recanti le sottoscrizioni datate di censori operanti in Italia, o ancora note di possessori italiani e atti di vendita eseguiti in Italia.
Vorrei ora cercare di illustrare perché questi codicum hebraicorum fragmenta sono di particolare importanza. Inizio con qualche premessa: i manoscritti ebraici giunti fino a noi, per i motivi sopra accennati, sono molto pochi. Quali sono le cause di questa scarsità? Possiamo citare diversi motivi che elencherò qui di seguito.
1.4 Le cause della perdita di gran parte dei manoscritti ebraici prodotti dagli ebrei
1.4.1 Prodotto di una minoranza
Gli Ebrei nelle varie regioni occidentali e orientali della diaspora sono sempre stati una piccola minoranza, calcolata approssimativamente a non più dell’un per cento della popolazione non ebraica. Tuttavia, dobbiamo tener presente che mediamente, se paragonati alla popolazione cristiana, gli ebrei scrivevano molto di più. Infatti la maggioranza dei maschi sapeva leggere e scrivere, avendo appreso fin da bambini a leggere il testo della Bibbia. Questo fatto è confermato dalla testimonianza che ci viene da diversi colophon di manoscritti ebraici copiati per proprio uso da ebrei che sapevano scrivere pur non essendo scribi di professione. Quindi, considerando il fatto di essere una minoranza, gli ebrei rispetto ai cristiani ci hanno lasciato proporzionalmente più manoscritti di quelli prodotti dai copisti del mondo cristiano o musulmano in cui essi vivevano.
1.4.2 La normativa della Genizah
Inoltre, gli ebrei fin dall’antichità si sono attenuti ad una normativa religiosa, alla quale ho già accennato, che impone loro di riporre in un deposito – detto appunto genizah – i manoscritti dei testi sacri, o comunque scritti nella lingua santa e contenenti il nome di Dio, al fine di evitarne la profanazione. In genere, dopo un certo periodo, i testi rimasti nella genizah vengono sepolti per inumazione nei cimiteri. Occorre chiarire che la genizah non costituisce affatto una specie di archiviazione dei testi, e neppure la costituzione di un archivio o di una biblioteca, ma è una vera e propria riposizione rituale e successiva sepoltura del libro sacro per evitare che sia profanato. La prassi della sepoltura è stata seguita anche dagli ebrei in Europa: ma seppellire nell’umida terra dei paesi europei dei manoscritti cartacei o pergamenacei, porta in breve tempo alla loro totale decomposizione. Al contrario abbiamo dei casi fortunati costituiti da alcune genizot, situate in climi molto secchi come quella del Cairo o di Qumran. Questi depositi di libri, hanno conservato perfettamente rispettivamente per mille o duemila anni i preziosi testi accumulatisi in essi per secoli. Questo è dunque il secondo motivo che spiega la scarsità di manoscritti ebraici giunti fino a noi: c’è stata per secoli una distruzione sistematica del libro ebraico messa in atto dall’interno del mondo ebraico per motivi religiosi e rituali.
1.4.3 L’alto tasso di alfabetizzazione fra gli ebrei
Veniamo ora ad una terza causa: mentre nel mondo cristiano le persone in grado di leggere e scrivere erano una piccola minoranza, al contrario nel mondo ebraico, per motivi legati alla religione, un numero considerevole di maschi era capace di leggere e scrivere perché fin da bambini essi dovevano imparare a leggere e a scrivere il testo sacro della Bibbia. I copisti ebrei si dividono in due gruppi: gli scribi di professione e altri che, al contrario, copiavano i manoscritti per proprio uso. Questo ci porta alla conclusione che se non in tutte, in molte famiglie ebraiche esistevano verosimilmente dei manoscritti e, proporzionalmente al fatto di costituire una minoranza, gli ebrei hanno copiato più manoscritti dei cristiani; ma purtroppo, per una congiuntura di fattori, la maggior parte di essi è andata perduta.
1.4.4 L’intenso uso dei manoscritti ebraici per lo studio e la preghiera
Una quarta causa della distruzione del manoscritto ebraico è da ravvisare nell’intenso uso che gli ebrei facevano dei loro libri sacri, studiati per molte ore ogni giorno, usati per la preghiera, continuamente consultati, col risultato che essi deperivano molto più velocemente dei manoscritti intatti e poco consultati per secoli nelle biblioteche della grandi abbazie, dei principi e dei prelati.
1.4.5 L’assenza di scriptoria nel mondo ebraico
Un’altra caratteristica che accompagna la produzione del manoscritto nel mondo ebraico è legata al modo di esecuzione delle copie. Se è vero che la litracy, ovvero il tasso di capacità di leggere e scrivere fra gli ebrei era più alto di quello diffuso nel mondo cristiano, tuttavia in esso non ci sono mai stati dei veri e propri scriptoria, ossia delle officine dove un gruppo di amanuensi di professione copiava e riproduceva in maniera sistematica i manoscritti. L’esecuzione di copie da parte degli ebrei era lasciata all’iniziativa individuale. Anche questo spiega la scarsità dei manoscritti ebraici giunti fino a noi. Se un’opera composta da un commentatore della Bibbia o da un altro autore non raggiungeva in breve tempo una certa notorietà, e quindi non veniva riprodotta in un numero sufficiente di copie, essa era destinata ad andare irrimediabilmente perduta.
1.4.6 La precarietà della conservazione dei manoscritti ebraici
Un altro motivo è legato alle condizioni di conservazione dei testi stessi. Come è noto, gli ebrei sono stati sempre caratterizzati da una grandissima mobilità: erano continuamente in movimento o perché espulsi dalle terre in cui si erano stabiliti, o per iniziativa personale. In questo quadro di grande mobilità, anche i manoscritti erano altrettanto “erranti” quanto i loro possessori che li trasportavano con sé nella bisaccia, sotto braccio o nel carretto, assieme alle loro masserizie. Per questo i manoscritti ebraici non sono stati custoditi in solide strutture al riparo da ogni pericolo, quali furono nel mondo cristiano le grandi abbazie, vere fortezze inespugnabili, anche nel caso si verificassero attacchi di briganti, sollevazioni, guerre, disastri naturali o calamità di qualsiasi genere: i manoscritti prodotti dagli amanuensi cristiani nelle grandi abbazie erano in esse conservati per secoli. Gli ebrei al contrario conservavano i loro testi nelle case, nelle scuole o nelle sinagoghe, che spesso erano ricavate in case private; nei loro spostamenti, li trasportavano in modo assai più esposto ai pericoli del viaggio, come attacchi di briganti o di ladri, intemperie, guerre ecc.
1.4.7 La sistematica distruzione del patrimonio librario degli ebrei perpetrata dalla Chiesa
Per spiegare la scarsità di manoscritti ebraici giunti fino a noi, dobbiamo menzionare un’ultima causa, certo non meno importante delle altre: si tratta della sistematica distruzione del patrimonio librario degli ebrei perpetrata dalla Chiesa nel corso dei secoli. È noto come in duemila anni di storia del Cristianesimo gli ebrei siano stati duramente perseguitati dalla Chiesa, che ha cercato in tutti i modi o di osteggiarli e di segregarli, o di convertirli. Per quasi duemila anni la Chiesa ha perseguitato gli ebrei e spesso ha tentato di convertirli, cercando di far loro cambiare fede, bruciando al rogo i loro libri, e a volte condannando al rogo gli stessi ebrei che si ostinavano a rimanere nel pervicace rifiuto della “vera religione”. Nel corso dei secoli, già nel Medioevo, e in seguito con rinnovato vigore nel periodo della Controriforma la politica ecclesiastica e papale contro gli Ebrei si concretizza nell’emanazione di diverse bolle che ordinano il sequestro di libri ebraici, da bruciare al rogo nelle pubbliche piazze. In particolare la lotta della Chiesa si concentrò contro il Talmud, una vera enciclopedia del giure religioso ebraico che, secondo l’Inquisizione, avrebbe contenuto parti blasfeme contro il cristianesimo[3]. È nota la bolla emanata da papa Giulio III nel 1553 che ordinava il sequestro di tutti gli esemplari del Talmud, cominciando da Roma ed estendendo a tutti i principi cristiani l’invito a seguire l’esempio di Roma: tutti gli esemplari del Talmud confiscati agli ebrei romani furono bruciati il giorno del capodanno ebraico nello stesso anno 1553 in Campo dei Fiori. Il rogo di Campo dei Fiori fu seguito da altri appiccati in diverse città della Romagna e di altre regioni. Anche questa è un’altra triste vicenda che distrusse ingenti quantità di libri ebraici, facendo sì che il numero di manoscritti ebraici giunto fino a noi sia relativamente basso. Tutto ciò ci fa capire come la scoperta di un nuovo manoscritto ebraico, o anche solo di frammenti di manoscritti, sia di grande importanza.
1.5 I manoscritti scoperti in una località sono quelli appartenuti agli ebrei ivi residenti?
Vorrei ora brevemente illustrare qualche dato sul Progetto “Genizah italiana”. Inizio chiarendo due punti: prima di tutto, il fatto che nell’archivio di una determinata località siano rinvenuti dei frammenti di manoscritti ebraici riutilizzati come coperte di registri notarili o legature, non significa necessariamente che questi fossero i libri ebraici degli ebrei di quella determinata località o che in essa ci fosse una comunità ebraica i cui libri hanno fatto questa fine. In alcuni casi non risulta che in una località dove sono stati scoperti dei frammenti ebraici in legature, sia mai esistita una comunità ebraica. In realtà, nel Cinquecento le botteghe dei legatori esistevano solo nei grossi centri e nei capoluoghi. Dunque, i registri sono stati confezionati riusando manoscritti ebraici da legatori di Bologna, pronti per essere usati e già avvolti con le coperte ottenute riciclando i manoscritti ebraici. In sostanza, avveniva che i notai delle varie località si recavano nel capoluogo ad acquistare i registri nuovi di cui avevano bisogno. Si trattava di registri di carte bianche che invece di essere rilegati con pergamena nuova, assai più costosa, erano stati avvolti con fogli di pergamena manoscritta ottenuta smembrando manoscritti ebraici, latini, musicali, liturgici o scritti in altre lingue volgari come l’italiano, il provenzale, ecc. Quindi lo smembramento dei codici e il loro reimpiego per uno scopo secondario così umile sono avvenuti nelle varie città, dove notai e scribacchini andavano ad acquistare registri da tutto il contado, anche da località abbastanza distanti, come dimostra il fatto che ho trovato registri della stessa fattura, confezionati e rilegati con la stessa tecnica e con fogli appartenenti ad uno stesso manoscritto in località diverse e anche abbastanza distanti fra loro, come Imola e Bazzano, nell’area bolognese, o Faenza e Norcia per tre importantissimi frammenti di un manoscritto della Tosefta, il più antico finora scoperto in Italia, essendo stato copiato in grafia orientale nel sec. X.[4]
1.6 I circuiti commerciali del mercato dei codici in pergamena da riusare
Da dove provenivano i manoscritti ebraici che finivano nelle botteghe dei legatori di Bologna per essere riciclati? Penso che verosimilmente potevano anche essere appartenuti agli ebrei di Bologna, dove nel Rinascimento ci fu una grossa e importante comunità ebraica, la seconda per grandezza dopo quella di Roma. Ma potrebbero anche essere stati portati nel capoluogo emiliano da mercanti che li avevano acquistati in località distanti e che poi li vendevano a peso, seguendo i loro circuiti commerciali. I cartularii apprezzavano in modo particolare queste pergamene da riciclare, e se ne servivano per avvolgere come coperte registri di varia misura, o come rinforzi nella legatura di libri. Gli enti pubblici o privati che avevano bisogno di registri nuovi, si recavano nella bottega del legatore e ne acquistavano una certa quantità, secondo la loro necessità. A questo punto lo scribacchino o il notaio intestava il suo registro indicando a penna in alto nella prima di copertina il proprio nome, il tipo di atti contenuti e gli anni degli stessi. Ad esempio troviamo spesso la formula: Actorum anni … mei notarii … seguito dal nome del notaio che li rogava. Questa data o, nel caso sia indicata una serie di anni, quella del primo anno è per noi importante al fine di conoscere l’anno del riciclaggio del manoscritto ebraico. Ritengo, infatti, che la data del primo anno apposta da colui che compilava gli atti coincida con l’anno del riciclaggio.
1.7 Quando venivano rilegati i registri e i libri con fogli di manoscritti?
Una questione che si pone è se i registri erano rilegati dopo essere stati scritti o già da nuovi. Le prassi forse potevano essere diverse da zona a zona, ma nella mia ricerca condotta in Emilia Romagna – regione in cui abbiamo scoperto circa 6.000 frammenti ebraici, pari a oltre i tre quarti di tutti gli 10.000 finora censiti in Italia – ho la prova evidente che i registri venivano legati con le coperte ebraiche da nuovi, prima di essere compilati. Lo dimostra il fatto che nella pagina di intestazione del registro stesso il notaio ne scrive una descrizione materiale e, a volte, aggiunge che esso è rilegato da una pergamena ebraica; la descrizione è firmata e suggellata dal segno di tabellionato del notaio. Ho trovato diversi casi del genere in registri dell’Archivio di Stato di Bologna (=ASBO). Eccone qualche esempio:
- ASBO, Ufficio dei Vicariati, Argile, registro contenente atti del 1592, sempre nella prima c. si legge: “In Christi nomine amen. Hic est liber Vicariatus Argilis Comitatus Bonon. Ad acta civilia et mixta cartarum centum, de cartis bambacinis coopertus carta pecudina ab uno latere literis haebraicis scripta…”; la coperta contiene un testo della Bibbia ebraica (framm. ebr. 100 = B. LXXXVIII). [5]
- ASBO, Ufficio dei Vicariati, San Giorgio di Piano, registro recante il titolo: S.to Giorgio. Hic est liber vicariatus S.ti Giorgi et not.is ser Jo. Lud(ovi)cus Zanuttinus 1593, nella prima carta si legge la seguente informazione del notaio: “Hic est liber… cartarum centum… coopertus carta pecudina ab utroque latere scripta literis haebraicis, bullatus…”; la coperta contiene un testo della Bibbia ebraica (framm. ebr. 133 = B. II. 4).
- ASBO, Ufficio dei Vicariati, Argile, registro contenente atti del 1593; nella prima carta si legge: “liber… copertus carta pecudina ab uno latere litteris haebraicis scripta”; la coperta contiene un testo della Bibbia ebraica (framm. ebr. 101 = B. II. 5).
1.8 Lo studio delle date del riuso e la sua connessione con persecuzioni antiebraiche
Sembra dunque accertato, almeno per gran parte dei frammenti, che la confezione della coperta mediante il manoscritto ebraico reimpiegati sia precedente alla compilazione del registro, e che, conseguentemente, la prima data degli atti in esso contenuti coincida con la data del reimpiego del codice. Studiando le date del riciclaggio, ho potuto ricostruire l’andamento del medesimo nel corso di diversi anni e rilevare, mediante un grafico, i picchi in cui il riutilizzo di manoscritti ebraici si fa più intenso. Esaminando quasi un migliaio di registri avvolti con manoscritti ebraici rinvenuti a Bologna e nell’area bolognese, ho potuto rilevare che esistono due picchi i quali coincidono esattamente con gli anni immediatamente successivi alla prima espulsione degli ebrei dalla città avvenuta nel 1569 e alla seconda e definitiva, avvenuta nel 1593. Credo che questo fatto non sia casuale: probabilmente nel fuggi-fuggi che deve aver caratterizzato la partenza degli ebrei da Bologna, diversi loro manoscritti furono abbandonati o venduti, specialmente quelli di pergamena, e ci fu una notevole quantità di pergamene da riciclare disponibili, da immettere sul mercato del commercio delle pergamene usate, molto ricercate perché assai più economiche della pergamena nuova. Mercato che non riguarda solamente i manoscritti ebraici, ma ogni genere di manoscritto membranaceo. La conferma del fatto che esiste una certa relazione fra reimpiego dei manoscritti ebraici e vicende dell’Inquisizione e della persecuzione antiebraica in una determinata area, viene dallo studio comparato delle date del reimpiego dei manoscritti ebraici nelle legature di oltre tremila registri rinvenuti nella vicina area modenese. In essa il riciclaggio non è, come a Bologna, della seconda metà del Cinquecento, bensì nella prima metà del secolo successivo, concentrandosi in particolare negli anni Trenta e Quaranta del Seicento. Ora, è esattamente negli anni Trenta di questo secolo che l’Inquisizione modenese si fa più dura contro gli ebrei, che vengono rinchiusi nel ghetto nel 1638. In questi anni ci furono anche bolle di sequestro di libri ebraici e processi contro ebrei per possesso di libri proibiti. È verosimile che in occasione di una espulsione forzata, come quella da Bologna, diversi ebrei dovendo ridurre al minimo le cose da prendere con sé, si siano sbarazzati di vecchi manoscritti, forse anche per guadagnare qualche cosa dalla loro vendita ai mercanti di pergamena da riciclare. Lo stesso possono aver fatto alcuni ebrei di Modena per la paura di subire un processo a motivo di libri proibiti. Ora, è vero che la halakah, ossia la normativa religiosa ebraica, impedirebbe ciò, ma è anche vero che non tutti gli ebrei di tutte le epoche sono sempre stati rigorosamente ligi alle prescrizioni religiose, come dimostrano le esplicite prese di posizione di rabbini contro questa pratica, attestate già nel Duecento e nei secoli successivi. Se i rabbini condannano questo comportamento, significa che c’era chi lo praticava.
1.9 Il crollo del manoscritto sul mercato del libro alla metà del Cinquecento
Agli inizi della nostra ricerca, prevaleva la tesi della provenienza inquisitoria delle pergamene ebraiche riciclate in legature. In seguito Colette Sirat, con cui mi trovo in pieno accordo, ha giustamente ridimensionato questa convinzione, a favore di un’altra causa: il crollo del manoscritto determinato dal diffondersi del libro stampato. Gli esordi del libro a stampa si hanno, com’è noto, nelle ultime decadi del Quattrocento, quando furono stampati i primi incunaboli. Dal momento in cui la tipografia ebraica comincia a diffondersi su vasta scala e a mettere a disposizione le opere più ricercate dagli ebrei ad un prezzo assolutamente competitivo, rispetto a quello di un manoscritto, si determina sul mercato un vero e proprio crollo del manoscritto che non regge alla concorrenza della stampa; commissionare un manoscritto ad un copista che per mesi doveva lavorare per copiare un’opera, richiedeva una considerevole somma di denaro che pochi potevano permettersi. Improvvisamente è offerta a tutti la possibilità di acquistare l’opera che più interessava ad un costo accessibile: un’opera stampata in caratteri più chiari e leggibili, che costituiva un ambito oggetto à la mode, e per chi lo possedeva uno status symbol di modernità. Ci si sbarazza volentieri dei manoscritti, che paradossalmente valgono di più per i chili di pergamena che pesano che per l’opera letteraria in essi contenuta: vanno fuori mercato, non interessano più a nessuno e, specialmente quelli pergamenacei, sono molto ricercati come materiale da riciclare. Peraltro, a quest’epoca non esiste ancora la coscienza dell’importanza del manoscritto e, quindi, della necessità di raccogliere manoscritti nelle biblioteche; solo qualche illuminato, come Federico Borromeo a Milano, anticipa questa sensibilità; ma perché essa divenga generale dobbiamo attendere ancora un paio di secoli. Comunque sia, il riciclaggio c’è stato e per noi è stata una grande fortuna, perché le pergamene ebraiche, che altrimenti sarebbero andate irrimediabilmente perdute, si sono invece conservate intatte per quattro o cinque secoli e oggi le abbiamo riscoperte e recuperate.
1.10 Il recupero e la riscoperta di questi disiecta membra codicum
Grazie alla nostra ricerca sono state documentate migliaia di manoscritti ebraici di cui altrimenti non avremmo mai saputo niente. In questo senso dobbiamo dire veramente che anche solo un foglio di un manoscritto in qualche modo contiene il tutto – qui veramente si può dire che il tutto è nel frammento – perché in un foglio di manoscritto c’è virtualmente tutto il manoscritto a cui esso è appartenuto. Anche una sola pagina è in grado, infatti, di fornirci preziose indicazioni codicologiche e paleografiche sufficienti a farci immaginare l’intero codice.
1.11 Le caratteristiche della Genizah italiana
Una particolarità degli archivi italiani è che mentre i frammenti riciclati in legature che troviamo nell’area tedesca sono tutti scritti esclusivamente in grafie ashkenazite e quelli che troviamo nell’area sefardita – che comprende la penisola iberica, il Nord-Africa, la Sicilia, e la Francia meridionale – sono tutti scritti in grafia di tipo spagnolo o sefardita, al contrario i manoscritti che troviamo negli archivi dell’Italia centro-settentrionale, rappresentano i tre principali tipi di grafie ebraiche diffuse in Occidente, che sono appunto quella italiana, quella sefardita e quella ashkenazita. Ciò si spiega per motivi storici; infatti, nei due secoli precedenti all’epoca del riciclaggio, vennero a stanziarsi in Italia consistenti nuclei di popolazione ebraica proveniente da altri paesi dell’Europa – è il caso degli ebrei espulsi dalla Francia e dalla Germania alla fine del Trecento, e di quelli espulsi dai re cattolici nel 1492 dai domini della Corona Aragonese. Ciò fece si che una notevole quantità di ashkenaziti e di sefarditi (si computa che il numero degli espulsi dalla Spagna sia stato di circa mezzo milione) confluisse nei nostri territori scendendo dall’area franco-tedesca o provenendo dalla penisola iberica, o anche risalendo dal sud dell’Italia. Questi ebrei immigrando nelle regioni dell’Italia centro settentrionale, portarono con sé i loro manoscritti, finiti nelle collezioni ebraiche, bruciati nei roghi o, per nostra fortuna, smembrati e riciclati come copertine. Diversi dei manoscritti talmudici rinvenuti in Italia sono vergati in grafie sefardite databili ai secoli XII-XIV, per cui è certo che essi sono stati copiati in Spagna e, in seguito, portati in Italia. Se si trattasse di una data posteriore, potremmo anche pensare che siano stati copiati da uno scriba sefardita immigrato nelle nostre regioni. Normalmente, infatti, uno scriba spagnolo che si insediava in Italia continuava a scrivere nella sua grafia, appresa nella terra d’origine.
Un’altra caratteristica della cosiddetta “genizah italiana” – espressione con cui si indicano gli archivi della penisola in cui sono stati scoperti manoscritti ebraici riusati nelle legature – è che si tratta esclusivamente di codici pergamenacei. Il reimpiego di manoscritti cartacei è assai più raro, e eseguito in qualche caso per fare i cartoni delle legature. Questo anche in considerazione della enorme quantità di codici in pergamena prodotti in Italia tra il XIII e il XV secolo.[6] Come vedremo, è diversa la situazione che ho rilevato in Spagna.
In Italia il riciclaggio dei manoscritti – ebraici e non – si estende dalla metà del Cinquecento per circa un secolo e mezzo e oltre, con alcuni casi ancora rilevabili nel Settecento. Ma il periodo di maggior incremento del fenomeno si concentra fra il 1550 e il 1650. Rinvenimenti di frammenti ebraici riusati in legature nella prima metà del Cinquecento sono rarissimi, mentre con la fine del Seicento il fenomeno va scemando fino ad esaurirsi. Questo non può essere casuale: coincide con il diffondersi su larga scala del libro a stampa, che determina, come si è rilevato, il crollo del mercato del manoscritto.
1.12 La tipologia del riuso come legatura
Quanto alla tipologia del reimpiego medesimo, occorre dire che la prassi maggiormente diffusa è quella di utilizzare un foglio membranaceo di grande formato, oppure un bifoglio di formato più piccolo per ottenere una coperta che avvolga completamento un registro; la pergamena è ancorata alla costa del medesimo mediante i nervi, che dall’interno la passano all’esterno per poi rientrare nel lato interno. Spesso, quando il foglio o il bifoglio non sono sufficienti per ottenere anche Una ribalta avvolge il labbro del registro e si ancora mediante una fibbia di pelle allumata che si annoda ad un altro laccio fissato nel piatto anteriore esterno della coperta. Spesso, quando il foglio o il bifoglio non sono sufficienti per ottenere questa ribalta, si incolla una striscia di allungamento della pergamena al lato che avvolge il piatto posteriore; questa striscia nella maggioranza dei casi è ottenuta tagliando in senso verticale una parte di foglio smembrato dallo stesso manoscritto. I legatori dovevano procedere strappando il bifoglio interno di un fascicolo (che contiene quattro pagine consecutive di testo manoscritto), proseguendo poi con il secondo, il terzo e così via, fino ad esaurire il fascicolo quaternione, quinione ecc. Un fatto rilevato frequentemente, è che spesso un notaio o un ente, acquistavano dallo stesso cartolaio uno stock di registri già rilegati, che poi venivano utilizzati dallo stesso notaio o scribacchino in anni successivi. Questo fatto ci ha restituito anche decine di registri compilati dallo stesso notaio nel corso di 5-10 anni, tutti della stessa fattura e delle stesse dimensioni, confezionati con la stessa tecnica utilizzando fogli dello stesso manoscritto. In alcuni casi, come a Pesaro o ad Alessandria, è stato ricomposto quasi tutto il manoscritto, o buona parte di esso. A Modena, sparsi per i diversi archivi della città, in certi casi sono stati recuperati anche fino a sessanta o settanta fogli dello stesso codice. Essi sono finiti in archivi diversi, ma se si esaminano, spesso presentato le stesse caratteristiche, la stessa tecnica di confezione e, soprattutto, sono stati tutti riciclati negli stessi anni o nell’arco di pochi anni tutti vicini. Questi elementi sono divenuti nel corso della mia ricerca un vero elemento di conferma che si trattava di fogli appartenenti allo stesso manoscritto.
1.13 Una peculiarità dell’area modenese: l’abrasione del testo nei lati esterni della legatura
Una caratteristica dell’area modenese, per cui essa si differenzia dalle altre regioni italiane, è che il testo manoscritto – di qualsiasi codice si trattasse ebraico e non – veniva nella maggioranza dei casi completamente abraso nei lati esterni della coperta, verosimilmente per farla apparire più simile a quella nuova. Questa prassi risulta, invece, pressoché generalizzata nel caso in cui i manoscritti membranacei servano per rinforzare i cartoni delle legature di volumi a stampa – in genere cinquecentine o edizioni del Seicento – sui quali vengono incollati. Questo è stato il caso degli importanti frammenti di una copia del Talmud gerosolimitano scoperti nella biblioteca del Seminario Diocesano di Savona.[7] Diverso, invece, è stato il caso di 32 fogli dello stesso manoscritto contenente le Azharot per la festa di Shavu‘ot, per un totale di 62 pagine leggibili, recentemente scoperti nella Biblioteca Civica di Alessandria sempre incollati a rinforzo di volumi a stampa. In questo caso – abbastanza raro per uno stampato – il testo esterno, per nostra fortuna, non è stato cancellato.
1.14 Il riuso come legatura di cinquecentine
Sempre per quanto riguarda legature di stampati, la prassi era molto diffusa; basti pensare che ne abbiamo rinvenuto ben 385 solo presso la Biblioteca Estense e Universitaria di Modena, per un totale di oltre 1.300 frammenti, ossia per lo più fogli e bifogli, che costituiscono le legature ottenute smembrando gli stessi manoscritti che negli archivi della città avvolgono più di 3.000 registri manoscritti, e negli stessi anni in cui i legatori legavano con le coperte ebraiche (e non) tali registri. Ma nel caso degli stampati c’è qualche differenza. Innanzitutto ogni biblioteca chiedeva al legatore un tipo di legatura dello stampato standard e identica, secondo il gusto e le esigenze della biblioteca stessa. Così, ad es. le diverse centinaia di pergamene ebraiche che rilegano stampati nell’Estense, presentano la costola in mezza pelle con incisi a volte fregi, il testo delle pergamene ebraiche cancellato (anche se a volte rimangono tracce di lettere) e una colorazione giallognolo data alle membrane stesse. È ovvio che il distacco di una pergamena da uno stampato è molto più complesso di quello da un registro di cui essa fa da coperta. Spesso, nel secondo caso, la pergamena non è incollata ai cartoni, ma solo ancorata ai nervi del dorso, e il distacco è semplicissimo. Più complesso, invece, quando nei piatti interni è stata incollata una carta o un cartoncino; più semplice se sono stati incollati solo i bordi, più complesso se invece tutto il foglio è stato incollato. Negli stampati, al contrario, è normale che la membrana manoscritta sia tutta incollata ai cartoni della legatura, e il distacco risulta più complesso.
1.15 Il procedimento di distacco
Si deve immergere la pergamena in una soluzione idroalcolica; dopo che le colle si sono sciolte, si procede al distacco, facendo particolare attenzione all’inchiostro del lato interno (quello adeso al cartone) perché è l’unico lato del manoscritto che si è conservato. In genere, anche a detta del legatore con cui ho lavorato, gli inchiostri dei manoscritti ebraici sembrano essere più forti e idrostabili di quelli dei manoscritti latini.
Oltre a queste due tipologie principali, restano naturalmente da menzionare l’utilizzo di strisce di rinforzo, brachette e strisce per il rinforzo dell’indorsatura, e tutti i riutilizzi di ritagli di varie misure per rinforzare la legatura stessa. Questi piccoli pezzi hanno lo svantaggio di non essere il più delle volte visibili se non quando il dorso si lacera o si stacca, o quando la legatura è in cattivo stato di conservazione.
1.16 La recente scoperta della Genizah di Girona e le sue caratteristiche
La recente scoperta di un nuovo giacimento di decine di migliaia di frammenti ebraici in Spagna, negli archivi di Gerona, mi ha permesso di operare un confronto con una tipologia del tutto diversa. Le legature della cittadina catalana presentano, invece, reimpiego in massima parte di manoscritti cartacei incollati assieme a decine di fogli per ricavare i cartoni delle legature dei registri notarili. Non manca qualche esempio di frammento pergamenaceo, ma si tratta di pochissimi. Il riciclaggio, inoltre, inizia già dal primo Trecento e si estende per due secoli e mezzo, fino a dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna avvenuta nel 1492. Esso, dunque, precede di due, tre secoli il reimpiego in Italia e negli altri paesi europei, e sembra legato alla maggiore diffusione della carta in Spagna, dove essa giunse prima che in Italia. Pare che a Gerona fossero anche dei legatori ebrei a riciclare i manoscritti ebraici. La grande importanza di questo vero e proprio giacimento – una vera “genizah” spagnola – sta nel fatto che essa ci ha preservato decine di migliaia di pagine di manoscritti copiati dagli ebrei della penisola iberica anche due o tre secoli prima dell’espulsione, periodo del quale ci è giunto molto poco. Ancora, mentre i frammenti di codici ebraici scoperti in Italia e nel resto dell’Europa sono in gran parte membranacei, contengono quasi esclusivamente opere letterarie, e quelli italiani documentano le tre principali tradizioni scrittorie dell’occidente (italiana, sefardita e ashkenazita), i frammenti scoperti a Gerona oltre ad essere in larga misura cartacei, non contengono solo testi letterari, ma anche molti documenti come registri di prestatori e registri delle comunità ebraiche, o testamenti di privati; essi, inoltre, sono tutti vergati esclusivamente in grafie sefardite, sia quadrate, sia in maggior numero semicorsive e corsive.[8]
1. 17 Il contenuto dei frammenti scoperti in Italia e le opere più importanti
Quanto al contenuto dei frammenti scoperti in Italia, oltre ad opere che rappresentano la letteratura standard degli ebrei alla fine del medioevo, non mancano anche testi di estrema importanza per antichità, rarità o anche unicità.[9]
Certamente i frammenti di manoscritti talmudici rivestono una grande importanza perché, come ho detto, il Talmud è stata l’opera più sistematicamente perseguitata e bruciata dalla Chiesa cattolica, ritenendo essa che contenesse parti blasfeme contro il cristianesimo. Essendo stato questo libro sistematicamente distrutto, esiste una sola copia del Talmud babilonese, quasi completa, conservata nella Biblioteca Statale di Monaco e copiata nel 1342-43. Questo manoscritto è servito come base per la stampa dell’editio princeps di quest’opera il cui testo, dal momento della stampa in poi, si è standardizzato. Al contrario, nell’epoca dei manoscritti esistevano redazioni e versioni anche in parte diverse, che presentavano delle varianti testuali. L’importanza dei frammenti talmudici italiani sta, da un lato, nel fatto che ci hanno documentato diverse centinaia di codici altrimenti irrimediabilmente perduti; dall’altro nel fatto che essi ci conservano delle varianti testuali importanti al fine di preparare un’edizione critica di quest’opera.
1.18 Opere perdute o sconosciute scoperte nella Genizah italiana
Diversamente dai frammenti rinvenuti nella genizah del Cairo, fra quelli scoperti nella «genizah italiana» – che com’è noto è una genizah solo per analogia, essendo costituita da migliaia di pagine di manoscritti ebraici membranacei riusati come legature di registri e libri conservati negli archivi e nelle biblioteche della penisola – le opere sconosciute non sono così numerose. Tuttavia, un certo numero di testi ignoti è venuto alla luce, soprattutto nel campo della liturgia, della letteratura rabbinica e dell’esegesi biblica. Questo si spiega se si considera che la maggior parte dei commenti alle preci e alla Bibbia composti nei secoli XI e XII non ebbero fortuna e non vennero «canonizzati» dall’ebraismo rabbanita ufficiale; per questo ebbero poca diffusione, furono copiati in pochi esemplari manoscritti, insufficienti a garantire la sussistenza dell’opera, e caddero nell’oblio del tempo, andando irrimediabilmente perduti. Solo alcune pagine di questi manoscritti si sono salvate grazie al loro reimpiego per rilegare volumi d’archivio e libri, e oggi sono nuovamente in nostro possesso.
Nell’Archivio di Stato di Modena il frammento ebraico 624 contiene parte del commento di Abraham ibn Ezra ai Dodici profeti in una redazione diversa da quella finora in nostro possesso, mentre il frammento 2 contiene una redazione dei Pirqe de-Rabbi Eli‘ezer in cui l’ordine dei capitoli è diverso da quello attestato in tutti gli altri manoscritti.
A Pesaro si è avuto l’unico caso di ricostruzione quasi completa di un intero manoscritto, costituito da un Machazor di rito francese della metà del sec. XIII, opera di un discepolo di Yehi’el da Parigi. In esso sono contenuti dei piyyutim sconosciuti da recitarsi l’ultimo giorno di Pesach.
Nello stesso archivio pesarese è stato rinvenuto un commento a Giobbe contenente varie citazioni di quello perduto di Rabbenu Tam. Nell’Archivio di Stato di Cremona sono venute alla luce alcune Qinot per il nove di Av prima sconosciute.[10]
Frammenti di un commento sconosciuto ai Proverbi, in scrittura ashkenazita del sec. XIV, sono stati rinvenuti nell’Archivio di Stato di Imola (framm. ebr. 18.1):[11] nello stesso archivio ho rinvenuto un bifoglio intero, centrale di fascicolo, per complessive quattro pagine intere di testo contenente il commento sconosciuto di Yosef ben Shim‘on Qara (Francia settentrionale, ca. 1066-1135) ai Salmi, in una grafia semicorsiva ashkenazita del sec. XIII (framm. ebr. 17.1); il commento va dall’inizio del Salmo 1 fino al 17, con diverse glosse esplicative (le‘azim)in antico francese ed una spiccata attenzione al senso storico-letterale del testo[12]. Avraham Grossman, professore di Storia del popolo d’Israele alla Hebrew University, ha recentemente studiato, oltre a questo prezioso frammento, anche gli altri appartenenti allo stesso manoscritto che ho rinvenuto nell’Archivio di Stato di Bologna e di Imola: essi contengono parti del commento a Deuteronomio e a Esodo. Grossman hadimostrato, con argomenti accettati dalla generalità degli studiosi, che si tratta di parti del commento originale perduto di Yosef Qara alla Torah, mostrando in questo modo l’infondatezza della tesi sostenuta fino a qualche tempo fa dalla maggioranza degli studiosi, secondo la quale questo esegeta non avrebbe composto un vero e proprio commento alla Torah, ma si sarebbe limitato a glossare quello di Rashi.[13] Altri frammenti, sempre di questo manoscritto, sono stati da me ritrovati nell’Archivio Storico Comunale di Pieve di Cento: essi contengono parti del commento a Michea e Osea opera, se non dello stesso Yosef Qara, certamente dei suoi discepoli che hanno utilizzato molte sue interpretazioni, nelle quali egli menziona, tra l’altro, lo zio paterno e suo maestro Menachem ben Chelbo (Francia, tardo sec. XI).[14] Nei margini di una Bibbia ashkenazita del sec. XIV, rinvenuta sempre nell’Archivio di Stato di Bologna e contenente Daniele 3, 4-25, è stato aggiunto da una seconda mano, forse quella di un possessore, un commento al medesimo passo che risulta sconosciuto (framm. ebr. 529).
A volte accade anche che i frammenti scoperti costituiscano l’unico testimone rimasto di un’opera perduta, essendo andati distrutti gli unici manoscritti di cui si aveva notizia. È il caso di due frammenti bolognesi da un manoscritto italiano del sec. XII (Bologna, Archivio di Stato, framm. ebr. 425-426) che ci hanno restituito l’unica copia, seppur parziale, di un componimento poetico (Qerovah),inserito nella ‘Amidah da recitarsi nel sabato intermedio di Pesach, opera di Yehudah Zebidah e di suo fratello Yosef (sec. XI). Di esso esisteva una sola copia conservata presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, ma è andata distrutta nell’incendio del 1904 che ha gravemente danneggiato questa biblioteca.
Ancora nell’Archivio di Stato di Bologna due frammenti smembrati da un codice ashkenazita databile fra i secoli XIV e il XV sono gli unici testimoni giunti fino a noi della versione breve del Commento al Seder Tohorot della Mishnah composto dal tosafista e halakista Shimshon da Sens (Francia ca. 1150 – Terra d’Israele ca. 1230).
Di notevole importanza, per la rarità dei manoscritti in nostro possesso, sono anche alcuni frammenti dei Midrashim halakici Sifre e Sifra: si tratta di una dozzina di pagine in tutto, di cui sei scoperte a Nonantola (framm. ebr. 217-225), quattro presso l’Archivio Capitolare di Modena (framm. ebr. 49) e due presso l’Archivio Storico Comunale, tutti appartenenti allo stesso manoscritto in scrittura semicorsiva sefardita del sec. XIII.[15] Importanti sono anche sette pagine di un manoscritto in scrittura semicorsiva ashkenazita contenenti il Sefer Even ha-‘Ezer di Eli‘ezer ben Natan, opera conservata in altri due o tre manoscritti soltanto (Nonantola, frr. 234-238 e Modena, Archivio Storico Comunale frr. 17.1 e 17.2); lo stesso accade per quattro pagine del commento di Shelomoh ben ha-Yatom al trattato talmudico Mo‘ed Qatan, pure rinvenute a Nonantola (frr. 325-326) e altrimenti conservatoci solo in un manoscritto del Jewish Theological Seminary di New York.
Di notevole interesse sono anche otto pagine di un commento sconosciuto al trattato talmudico Nazir, recentemente rinvenute nell’Archivio di Stato di Bologna (framm. ebr. 268 e 443) e attribuite da Simcha Emmanuel a Rashi, o forse ad un suo discepolo.[16] Normalmente, nelle comuni edizioni del Talmud il commento marginale di Rashi per questo trattato veniva sostituito da quello di un altro autore, essendo il commento originale del maestro di Troyes andato perduto. Alcuni studiosi dello Institute Yad ha-Rav Herzog di Gerusalemme, che lavorano alla preparazione di un’edizione critica del trattato Nazir, dopo aver collazionato il testo dei framm. ebr. 268 e 269 con un manoscritto della collezione Firkovich della Biblioteca di San Pietroburgo, sono giunti alla conclusione che i frammenti di Bologna contengono il commento di Rashi, unico esemplare pervenutoci delle sue glosse originali a questo trattato talmudico, nel testo che era disponibile ai tosafisti medievali della generazione successiva al maestro. Dopo più di quattrocento anni, di questo commento perduto ci pervengono ora queste poche preziose pagine. Se tale attribuzione a Rashi fosse confermata, si trattarebbe di una scoperta tra le più importanti fatte nelle legature ebraiche degli archivi europei.
Alcuni frammenti di opere di medicina, astronomia e filosofia sono stati rinvenuti negli archivi di Bologna, Correggio, Modena, Nonantola e Imola. Non tutti sono stati identificati. Fra di essi appaiono quattro pagine di un’opera filosofica sconosciuta contenente un trattato di logica in cui sono formulate delle critiche alla traduzione ebraica del Moreh ha-Nevukim maimonideo compiuta da Shemu’el Ibn Tibbon, pure ritrovate a Nonantola (framm. ebr. 189-191) e studiate da Mauro Zonta.[17] Sempre nel campo delle opere scientifiche, l’archivio bolognese ha restituito anche più di venticinque pagine (frr. 30-33 e 215) smembrate da uno stesso manoscritto vergato in scrittura sefardita databile tra i secc. XIV e XV e contenenti parti dell’opera medica Kitab al-Tatzrif ossia «La compilazione (del sapere medico)» del massimo chirurgo musulmano Abu’l-Qasim az-Zahrawi (l’Albucasis del mondo latino) in una traduzione arabo-ebraica anonima e sconosciuta, diversa da tutte quelle note, con alcune affinità con il testo della stessa opera conservata in un manoscritto a Cincinnati.
Un interessante esempio di come anche solo una pagina o poche righe scoperte nella «genizah italiana» possano contribuire ad identificare manoscritti contenenti opere intere ritenute anonime si è avuto a Modena. Si tratta di sei pagine, contenenti il Sefer ha-Shorashim di Yonah ibn Gianach, esponente di rilievo della scuola linguistica di Cordova (ca. 990-1055) in una traduzione arabo-ebraica sconosciuta, rinvenute negli archivi storici dei comuni di Nonantola (framm. ebr. 171-172) e Modena (framm. ebr. 48-49). I bifogli, reimpiegati per avvolgere registri del Seicento, appartengono allo stesso manoscritto vergato in scrittura semicorsiva di tipo italiano databile al sec. XIII.[18] Sfortunatamente, in tutti i frammenti il testo che appariva nei lati esterni delle copertine è stato abraso, secondo una prassi invalsa fra i legatori modenesi, forse per far apparire le pergamene riciclate più simili a quelle nuove. La traduzione di Ibn Tibbon era la sola conosciuta prima di questa scoperta ed era conservata in due soli manoscritti. In una nota conclusiva che suggella la sua versione, Ibn Tibbon afferma di aver visto altre tre traduzioni di quest’opera lessicografica, due delle quali solo dalla lettera alef alla lamed. La traduzione contenuta nei frammenti di Modena è molto probabilmente quella del terzo traduttore menzionato da Ibn Tibbon, ossia Yishaq ben Yehudah Barceloni: in genere essa è più concisa di quella di Ibn Tibbon e segue passo passo l’ordine delle parole dell’originale arabo, senza omettere alcuna radice. Altre parti di questa traduzione sono state recentemente rinvenute da Benjamin Richler fra i manoscritti ebraici conservati nelle Biblioteche dell’ex-Unione Sovietica microfilmati all’inizio degli anni Novanta del Novecento dall’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts della Jewish National and University Library di Gerusalemme. La scoperta di questi frammenti ha reso possibile l’identificazione, attraverso il confronto di un’esigua parte contenente la lettera waw, dell’opera contenuta nel Ms. Vaticano Ebraico 417, catalogata da Assemani and Allony come un Sefer ha-Shorashim anonimo: si tratta, in realtà della stessa traduzione dei frammenti modenesi.
1.18.1 I testi talmudici
Fra i testi di maggiore importanza vanno annoverati i frammenti talmudici ossia quelli della Mishnah, della Tosefta, dei due Talmudim e dell’Alfasi, opere delle quali come è noto ci sono giunti pochissimi manoscritti e, nel caso dei due Talmudim, un unico manoscritto completo: quello di Leiden per lo Yerushalmi (copiato nel 1289) e quello di Monaco per il babilonese (copiato nel 1342). Ad oggi, fra i circa 10.000 frammenti rinvenuti nella “Genizah italiana” quelli talmudici sono ben 350[19]; essi hanno potuto essere ricomposti, grazie a un’accurata indagine paleografica e codicologica in 148 manoscritti diversi, databili fra il sec. X e il XV. Documentare l’esistenza di quasi 150 manoscritti talmudici altrimenti del tutto sconosciuti e irrimediabilmente scomparsi, è un risultato di grande soddisfazione. Di questi membra disiecta, preziose reliquie di tanti splendidi codici, 7 contengono il testo della Mishnah, 2 della Tosefta (dei quali uno costituisce il testimone manoscritto più antico dell’opera datando al sec. X e.v.), 114 del Talmud babilonese, 6 del Talmud yerushalmi e 21 del compendio di Alfasi. Decine e decine di pagine di manoscritti più antichi di due o tre secoli degli unici codici completi in nostro possesso, copiati in Spagna o in Italia o in area tedesca, sono di grandissima importanza per uno studio filologico del testo talmudico, di cui non esiste un’edizione critica.
Fra essi rivestono una particolare importanza i frammenti del Talmud Yerushalmi scoperti a Savona che gia abbiamo menzionato. Nella Biblioteca del Seminario Diocesano di questa città sono stati recentemente rinvenuti diversi frammenti di un manoscritto Sefardita contenente il Talmud Yerushalmi, databile su base paleografica al sec. XIII. Si tratta di 14 pagine (7 bifogli) e 18 mezze pagine (altrettanti bifogli tagliati orizzontalmente) che furono riusati per avvolgere i cartoni della legatura di sette volumi stampati a Lione nel 1555 e contenenti le opere giuridiche di Bartolo da Sassoferrato. La stampa dell’opera rilegata con i frammenti dello Yerushalmi è di soli due anni posteriore alla bolla emanata nel 1553 da papa Giulio III con la quale si ordinava la confisca e il rogo di tutti gli esemplari di Talmud, opera nella quale la Chiesa accusava la presenza di presunti passi anticristiani o blasfemi. Non si può, dunque escludere che le pagine di questo codice siano state sequestrate e sfuggite al rogo per essere riusate come legature. Purtroppo il testo che appariva all’esterno delle legature è stato completamente abraso, cosi che metà del testo contenuto nei frammenti è andato irrimediabilmente perduto. Le caratteristiche codicologiche e paleografiche dei frammenti confermano la datazione alla seconda metà del sec. XIII. I fogli di Savona provengono da un manoscritto che comprendeva tutto l’ordine Neziqin e forse anche altri trattati, se non lo Yerushalmi intero. Sono presenti parti da tutti i trattati di Neziqin ad eccezione di Bava Batra. La notevole importanza di questi frammenti sta nel fatto che essi, nelle Bavot, seguono da vicino il tipo testuale del manoscritto Escorial copiato nel secolo XV. Questo dimostra che la versione del Ms. Escorial non è, come ritenevano fino ad oggi diversi studiosi, un libero rifacimento di uno scriba creativo, ma una tradizione testuale ben attestata in Spagna già due secoli prima. È interessante notare anche che il Ms. di Savona scrive sempre la halakah della Mishnah al suo posto, e non raggruppata all’inizio di un capitolo, secondo un uso diffuso. La documentazione che va emergendo dalla “Genizah italiana” attesta una continuità nella trasmissione dei testi talmudici; come i frammenti di Norcia e di Bologna hanno documentato per la Tosefta, ora i frammenti di Savona attestano che anche lo Yerushalmi sembra aver avuto, ben prima della standardizzazione della stampa, un testo canonico chiaramente fissato, soggetto ai normali errori di copia. Pare, dunque, che il problema del Sefer Yerushalmi – ossia di una versione di questo Talmud citato dai maestri diversa dal textus receptus cioè una rielaborazione letteraria del testo che Yaaqov Sussmann crede di aver riscoperto nei fogli di Mo‘ed e Nashim trovati in biblioteche tedesche (Darmstadt, München, Trier)debba essere esaminato indipendentemente da quello del Talmud di Gerusalemme.[20]
1.18.2 Un importante Commento alle Azharot
Nella Biblioteca civica di Alessandria il 10 agosto 1999 sono stati scoperti molti fogli di un Commento alle Azharot di Eliyyahu ha-Zaqen bar Menachem da Le Mans, scritto probabilmente da un saggio della cerchia di Avraham e Aharon, figli del tosafista francese Chayyim bar Chanan’el ha-Kohen. Esso è anche uno dei più antichi, essendo stato copiato in area francese nel sec. XIII[21]. Fatto del tutto eccezionale nelle altre scoperte fatte nella “Genizah italiana”, di questo manoscritto, di formato abbastanza piccolo, ho potuto ricomporre ben 32 fogli, perfettamente leggibili nel recto e nel verso, per un totale di 64 pagine di testo, scritto fittamente in una bella grafia semicorsiva aškenazita. La parte recuperata dell’opera potrebbe essere il sessanta-settanta per cento dell’intero codice o anche di più. Il manoscritto di questo commento alle preghiere liturgiche per la festa di Shavu‘ot, riveste un’importanza particolare anche per un altro fatto: esso presenta un commento, molto simile ma non identico, alle stesse preghiere contenuto, prima di questa scoperta, in un’unica altra copia manoscritta conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Ms Vaticano Ebraico 306), un manoscritto più tardo del nostro, essendo stato copiato nel sec. XIV; il commento si trova ai ff. 1-45. Questa versione conservata nel Ms Vaticano è stata publicata da Efraim Kupper nel 1989, e a lui si deve l’attribuzione di questo commento a un membro della cerchia di Avraham e Aharon, figli del tosafista francese Chayyim bar Chanan’el ha-Kohen[22]. Ma il testo del Ms di Alessandria presenta molte varianti, aggiunte, citazioni diverse e più estese, un’ottima leggibilità e un testo più ampio, con commenti non presenti nell’altro testimone dell’opera conservato presso la Biblioteca Vaticana[23]. Chi scrive sta lavorando all’edizione del Ms di Alessandria in sinossi con il Ms Vaticano, al fine di evidenziare le parti presenti nel primo ma assenti nel secondo, e viceversa.
I nomi citati nel titolo di questo frammento si riferiscono a Eliyyahu ha-Zaqen bar MenaÊem da Le Mans (autore delle preci note come azharot), che pose le fondamenta della cultura ebraica nella Francia settentrionale agli inizi del secolo XI[24]. Secondo la tradizione, egli avrebbe sposato la sorella dell’ultima grande autorità rabbinica (gaon) delle accademie babilonesi ossia Chay Gaon, e sarebbe stato discepolo di Gershom ben Yehudah (c. 960-1028), noto con l’appellativo di Me’or ha-Golah ossia “Luce dell’esilio”, uno dei primi grandi studiosi del Talmud in Germania,i cui discepoli furono i maestri di Rashi.L’autore a cui Kupper – l’editore del commento simile contenuto nel Ms Vaticano – attribuisce questo commento è un maestro della cerchia dei figli di Chayyim bar Chanan’el ha-Kohen[25], che visse a Parigi verso il 1170, i cui figli Avraham e Aharon furono tosafisti[26]. Essendo il padre vissuto attorno all’ultimo quarto del sec. XII, i suoi figli molto verosimilmente furono attivi nella prima metà del XIII. Se alla cerchia di questi ultimi appartiene l’autore del commento contenuto nel nostro manoscritto, potrebbe trattarsi di una delle prime copie eseguite, se non si vuole pensare che possa trattarsi addirittura dell’autografo.
Un’altra considerazione rende questo manoscritto di particolare interesse. Nel 1182 gli ebrei furono espulsi una prima volta dalla Francia da Filippo Augusto (1268-1314), che tuttavia controllava solo l’Ile de France, e in seguito nel 1306 da Filippo IV (1268-1314). Richiamati da Luigi X (1368-1422), gli ebrei francesi furono nuovamente banditi nel 1394 da Carlo VI (1368-1422). Vivevano in Francia da più di mille anni. Dopo l’espulsione essi adottarono i riti liturgici (minhagim) delle regioni in cui si insediarono, il loro originario rito francese fu abbandonato e i documenti di esso andarono largamente perduti. Ciò rende di grande interesse la scoperta di questo commento liturgico, anche per la sua rarità. Questo importante manoscritto è stato vergato nel Duecento in una elegante grafia semicorsiva ashkenazita che lascia trasparire l’influsso esercitato dalla scrittura gotica su quella ebraica.
1.18.3 Il testimone più antico del Midrash Tanchuma
Le ultime scoperte fatte presso l’Archivio Arcivescovile di Ravenna hanno permesso di ricomporre un bifoglio centrale di fascicolo contenente una parte del Midrash Tanchuma vergato in una scrittura quadrata ashkenazita databile agli inizi del sec. XII. Il frammento è membranaceo e misura mm 367 x 240; è vergato in scrittura quadrata aëkenazita, datata insieme da Malachi Beit-Arié e Colette Sirat il 19 ottobre 2002 a Ravenna dove si trovavano per il conferimento della Laurea ad honorem in Conservazione dei Beni Culturali, agli inizi del XII secolo. Le quattro strisce del bifoglio sono state distaccate da due registri del «Fondo Catastri del Ferrarese», compilati e rilegati con il manoscritto a Ferrara nel XVI secolo, e confluiti nell’Archivio Arcivescovile di Ravenna nel corso del XIX secolo. Pare verosimile, conseguentemente, ritenere che il codice prima di essere smembrato, sia stato utilizzato a Ferrara o in Area ferrarese, dove è attestata un considerevole numero di ebrei provenienti dall’area ashkenazita. Il bifoglio contiene il Midrash Tanchuma, Levitico, Achare mot 12 – Qedoëim 18 secondo la redazione A, pubblicata da Shelomoh Buber a Vilna nel 1855 (la parte contenuta nel frammento corrisponde nell’edizione Buber alle pp. 70-79). Il testo contenuto nel bifoglio ravennate è di particolare importanza, oltre che per la sua antichità, anche a motivo della scarsità di manoscritti che ci hanno tramandato i testi midrashici, nonché per la presenza di alcune varianti rispetto al testo a stampa. Il manoscritto di Ravenna precede il più prezioso manoscritto del Tanchuma Buber di circa 200 anni. Esso contiene parte di questo Midrash a Levitico. Lo scriba del manoscritto ha copiato il testo con accuratezza, seguendo uno stile conciso, più breve delle altre versioni. In alcuni passi il ms. di Ravenna offre la versione più breve. Occorre anche sottolineare il fatto che il testo di Ravenna è quasi identico a quello del ms. Vaticano il ché dimostra che anche per un testo popolare come il Tanchuma la trasmissione del testo può essere stata estremamente esatta e letterale, rigettando la tesi diffusa di uno “scriba creativo” che modifica il testo[27].
1.19 La disputa fra gli archeologi del libro e gli archeologi del testo
Voglio accennare, da ultimo, ad una piccola discussione che in genere sorge, quando si fanno queste scoperte, tra chi è dell’avviso che la legatura antica confezionata con un manoscritto non può assolutamente essere toccata, e chi, invece, ritiene opportuno distaccare e recuperare le copertine ebraiche, nei casi in cui esse ci abbiano conservato testi rari o perduti.
Si tratta della disputa fra gli archeologi del libro e gli archeologi del testo. Personalmente ritengo che, quando ci si trova di fronte a opere rare o perdute, di cui avevamo testimonianza letteraria, ma che non ci sono giunte, o addirittura a parti di opere sconosciute, di cui quella copertina costituisce un unicum, si debba recuperare il manoscritto riciclato. E ciò sia che il registro si trovi in cattivo stato di conservazione sia in buono stato; infatti, anche in questo caso, se si tratta di un fondo molto consultato, come potrebbe essere un archivio notarile, venendo il registro spesso estratto e ricollocato fra gli altri, ciò determina un effetto di sfregamento contro le coperte dei registri contigui che abrade il testo manoscritto fino a cancellarlo completamente. Non è il modo migliore per conservare testi di notevole importanza.
Personalmente, anche su sollecitazione degli studiosi del Talmud che operano in Israele, ritengo che per la loro importanza almeno i manoscritti talmudici dovrebbero essere recuperati, restaurati e conservati in maniera adeguata.
1.20 La digitalizzazione dei frammenti scoperti e la loro fruizione in Internet
Da ultimo vorrei accennare al progetto a cui sto lavorando, finalizzato a mettere on line in rete tutti i frammenti rinvenuti, ricomponendo virtualmente parti di manoscritti, se non manoscritti interi. Questa realizzazione avrebbe in più rispetto ai cataloghi cartacei pubblicati, di essere centrata e di privilegiare i manoscritti, riunendo assieme in video decine se non centinaia di pagine di uno stesso codice, che ha sparso le sue membra non solo in archivi diversi della stessa città, ma a volte anche in città diverse e distanti fra loro. Certo si tratta di un progetto importante, che richiede molto impegno e molta collaborazione. Grazie ad esso diverse centinaia di manoscritti altrimenti irrimediabilmente perduti, potranno rivivere e documentare al mondo della rete la loro esistenza.
[1] M. Perani, La «Genizah italiana», edizione italiana ampliata ed aggiornata (70 pagine di nuove appendici) degli atti del convegno di Gerusalemme del 9 gennaio 1996, Il Mulino/Alfa Tape, Bologna 1999, pp. 334 con 32 tavole a colori; Id., Il “Progetto Frammenti Ebraici in Italia” promosso da Giuseppe Baruch Sermoneta: coperte recenti e aggiornamento bibliografico al 1998, in R. Bonfil (ed.), “In Memory of Giuseppe Sermoneta”, in “Italia” Vol. XIII-XV, Gerusalemme 2001, pp. 431-449.
[2] Per questa collezioni si veda B. Richler, Guide to Hebrew Manuscript Collections, The Israel Academy of Sciences and Humanities, Jerusalem 1994, rispettivamente pp. 149-151 e pp. 192-194.
[3] Per una disamina della fondatezza di questa accusa si veda J. Maier, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, trad. it. di M. Zonta, Paideia, Brescia 1994 (Brühl 1994); l’A. giunge alla conclusione che pochissimi dei passi ritenuti “anticristiani” reggano ad un esame critico delle fonti giudaiche. Le affermazioni anticristiane dei testi rabbinici sono frutto di interpolazioni e rielaborazioni posteriori compiute nel primo medioevo.
[4] Prima di rinvenire nel 1997 i frammenti di Norcia (un foglio ed una striscia di foglio pari a circa un quarto tagliato orizzontalmente, entrambi leggibili sia nel recto sia nel verso, avevo scoperto un piccolo frammento di questo codice a Faenza negli anni Ottanta del secolo scorso. Per questo si veda: M. Perani, Frammenti di manoscritti ebraici nell’Archivio di Stato di Faenza, in “Henoch”, 12 (1990) pp. 227-229: si tratta del fr. ebr. 7; il frammento faentino è stato da me pubblicato in un Addendum apparso alla fine dell’articolo Frammenti di manoscritti ebraici medievali nell’Archivio Storico Comunale di Corinaldo (Ancona), in “Henoch”, 14 (1992) pp. 301-306, in particolare p. 303s, con una riproduzione fotografica. Per i frammenti di Norcia vedi Id., Il più antico frammento della “Genizah italiana”: la Tosefta di Norcia (ca. 1000 e.v.). Rilievi codicologici e paleografici, in Perani (a cura di), La “Genizah italiana”, cit., pp. 261-265, nonché le schede curate dallo scrivente e relative ai frammenti ebraici nel volume: Colligere fragmenta ne pereant. Aspetti della liturgia medievale nei frammenti dell’archivio storico comunale, catalogo della mostra documentaria, Norcia, Rocca della Castellina, 15 luglio – 31 dicembre 1997, pp. 43-45. Per uno studio testuale dei frammenti vedi G. Stemberger I frammenti della Tosefta di Norcia e il loro contributo allo studio della tradizione testuale, in Perani (a cura di), La “Genizah italiana” cit., pp. 267-273.
[5] Per le segnature dei frammenti si veda il catalogo: M. Perani e S. Campanini, I frammenti ebraici di Bologna. Archivio di Stato e collezioni minori, “Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d’Italia”, Vol. CVIII, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1997, pp. 162, 200 tavole b/n fuori testo.
[6] Per l’unico caso di reimpiego di 32 carte di un registro compilato da un prestatore ebreo attivo a Bologna negli anni 1426-1431, si veda il mio studio: La “Genizah italiana”. Caratteri generali e stato della ricerca, in Perani (a cura di), La “Genizah italiana”, cit., pp. 65-102: 95-98.
[7] Per uno studio accurato di questi importanti frammenti, tutti contenenti parti del Seder Neziqin, si veda M. Perani e G. Stemberger,The Yerushalmi fragments discovered in the Diocesan Library of Savona, «Henoch» 23 (2001), pp. 267-303.
[8] Su questa recente scoperta vedi M. Perani (ed.), New Discoveries in the «European Genizah»: The Gerona Archives. Prolegomena to a Scientific Inquiry, Atti del convegno internazionale svoltosi a Gerusalemme il 13 dicembre 1999, in “Materia giudaica” VI/2 (2001), pp. 131-190; Id., The ‘Girona Genizah’, in EAJS newsletter, Issue 8, march – september 2000, pp. 21-22; Id., Un nuovo importante giacimento nella “Genizah europea”: gli archivi di Girona, in “Materiagiudaica”, 1999/5, pp. 45-49; Id., A new “Genizah” for the new century. Hebrew Manuscript Fragments in the European Archives: The New Findings of Girona in J. Targarona Borrás and A. Sáenz-Badillos (eds.), Jewish Studies at the Turn of the 20th Century, Proceedings of the 6th EAJS Congress, Toledo 1998, Leiden-Boston-Köln 1999, vol. I: Biblical, Rabbinical, and Medieval Studies, pp. 621-626.
[9] Per informazioni più dettagliate si veda M. Perani, Opere sconosciute o perdute dalla “Genizah italiana”, in “Materia giudaica” 1997/3, pp. 17-23; Id., Nuove importanti scoperte dalla “Genizah italiana” nell’ultimo anno (1997), in “Materiagiudaica”, 1998/4, pp. 48-53.
[10] Si veda il catalogo curato da P.F. Fumagalli e B. Richler, Manoscritti e frammenti ebraici nell’Archivio di stato di Cremona, C.R.I.G.I., IV, Roma 1995, in partic. pp. 107-108.
[11] Di questo frammento ho pubblicato una traduzione italiana e il testo ebraico. Si veda rispettivamente: M. Perani e A. Somekh, Frammenti ebraici di un commento medievale sconosciuto a Proverbi e Giobbe, in «Annali di storia dell’esegesi», 9/2 (1992), pp. 589-610 e M. Perani, Frammenti di un commento medievale sconosciuto a Proverbi e Giobbe nell’Archivio di Stato di Imola [testo ebraico], in «Henoch», 15 (1993) pp. 47-64.
[12] Ho recentemente pubblicato questo commento: M. Perani, Yosef ben Shim‘on Kara’s lost Commentary to the Psalms (1-17). The fragment of Imola from the “Italian Genizah”, in M. Perani (ed.), The Words of a Wise Man’s Mouth are Gracious – Divre Pi-Hakam Hen. Festschrift For Günter Stemberger on the Occasion of His 65th Birthday, collana “Studia Judaica”, Verlag Walter de Gruyter, Berlin-New York 2005, pp. 395-428.
[13] Si veda A. Grossman, Mi-«Genizat Italia». Śeridim mi-Perush Rabbi Yosef Qara la-Torah (in ebr.)[Dalla «Genizah italiana». Resti del Commento di Rabbi Yosef Qarah alla Torah], in «Pe‘amim», 52 (1992), pp. 16-36; Id., Genuze Italia u-ferushaw shel Rabbi Yosef Qara la-Miqra [I rinvenimenti della Genizah italiana ed i commenti alla Bibbia di Rabbi Yosef Qara], in S. Japhet (ed.), Ha-Miqra be-re’i mefareshaw. Sefer zikkaron le-Sarah Qamin [La Bibbia nel riflesso dei suoi commentatori. Studi in memoria di Sarah Qamin], Yerushalayim 1994, pp. 335-340.
[14] Per questo si veda M. Perani, Frammenti del commento originale di Yosef ben Shim‘on Qara a Osea e Michea, in «Annali di storia dell’esegesi», 10/2 (1993) pp. 615-625.
[15] Questi frammenti sono stati inclusi nella lista completa di tutti i manoscritti contenenti i Midrashim halakici recentemente pubblicata a Gerusalemme da M. Kahana, Manuscripts of the Halakhic Midrashim. An Annotated Catalogue, The Israel Academy of Sciences and Humanities – Yad Izhak ben-Zvi, Jerusalem 1995, pp. 100-101 (Hebrew); il loro testo è vicino a quello del Ms. di Berlino e del Midrash Hakamin.
[16] Si veda S. Emmanuel, La “Genizah europea” e il suo contributo agli studi giudaici, in Perani (a cura di.), La “Genizah italiana”, cit., pp. 21-64: 44., dove l’A. riteneva trattarsi del commento originale perduto di Rashi al trattato talmudico. In seguito, dopo aver potuto leggere anche le due pagine del lato interno grazie allo stacco del manoscritto, Emmanuel ha ritenuto più probabile che si tratti dell’opera di un contemporaneo di Rashi, forse un suo discepolo.
[17] Per questo si veda M. Zonta, I frammenti filosofici di Nonantola, in E. Fregni e M. Perani (a cura di), Vita e cultura ebraica nello stato estense, Archivio Storico Nonantolano 2, Nonantola-Bologna 1993, pp. 123-147.
[18] B. Richler, Targum nosaf shel Sefer ha-Shorashim me’et R. Yonah ibn Janach (in ebr.) [Una nuova traduzione del Libro delle radici di R. Yonah ibn Gianah], in «Kirjath Sepher», 63 (1990/91), pp. 993-995; Id., Qeta‘im mi-kitve-yad nosafim shel targum ha-bilti yadua‘ shel Sefer ha Shorashim le-R. Yonah ibn Janach (in ebr.) [Nuovi frammenti di manoscritti della traduzione sconosciuta del Libro delle radici di R. Yonah ibn Gianah], ibid., pp. 1327-1328. Ho pubblicato il testo ebraico di questi frammenti nello studio M. Perani, I manoscritti ebraici della “Genizah Italian”. Frammenti di una traduzione sconosciuta del Sefer ha-Šorašîm di Yônâ ibn Gianach, in «Sefarad», 53 (1993), pp. 103-142.
[19] In un mio primo inventario pubblicato undici anni fa riferivo della scoperta fino al 1993 di 241 frammenti di testi talmudici nella “Genizah italiana”, vedi M. Perani, Inventario dei frammenti di manoscritti medievali della Mišnah, della Tosefta e del Talmud rinvenuti negli archivi italiani, in G. Busi (a cura di), We-zo’t le-Angelo, Raccolta di studi giudaici in memoria di Angelo Vivian, Bologna 1993, pp. 369-394. Dati più aggiornati sono contenuti nel volume di E. Sagradini and M. Perani, Talmudic and Midrashic Fragments from the «Italian Genizah»: Reunification of the Manuscripts and Catalogue, Giuntina, (AISG «Quaderni di Materia giudaica, 1») Firenze, 2004, come pure in M. Perani, Nuovi inventari dei frammenti di manoscritti medievali della Mishnah, della Tosefta e del Talmud rinvenuti nella “Genizah italiana”, in Id. (cur.), Una manna buona per Mantova – Man Tov le Man Tovah, Studi in onore di Vittore Colorni per il suo 92° compleanno, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2004, pp. 333-363.
[20] Y. Sussmann, Śeride Yerushalmi – Ketav Yad ashkenazi. Liqrat pitron chidat “Sefer Yerushalmi“, Kovez al Yad 12 (1994), pp. 1-120; ID., The Askenazi Yerushalmi MS – ‘Sefer Yerushalmi’, in “Tarbiz” 65 (1995s), pp. 37-63
[21] Per questo si veda: Catalogo dei frammenti di manoscritti ebraici della Biblioteca Civica e dell’Archivio di Stato, in F. Quaglia, I libri ebraici nei fondi storici della Biblioteca Civica di Alessandria, prefazione di Mauro Perani (pp. VII-X), Città di Alessandria, Assessorato ai beni e alle attività culturali, BCA “Studi e ricerche” n. 4, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2004, pp. 51-76.
[22] E. Kupper, Perush azharot de-Rabbana Elyyahu ha-Zaqen bar Menachem me-Mans me’et chakam echad me-chug banaw shel rabbenu Chayyim bar Chanan’el ha-Kohen (in ebr.) [Il Commento alle Azharot di R. Elyyahu ha-Zaqen figlio di Menachem da Mans composto da un saggio della cerchia dei figli di R. Chayyim bar Chanan’el ha-Kohen], in “Kovetz ‘al Yad” 11, 2 (1989), pp. 109-207.
[23] M. Perani, Nuove e importanti scoperte nella “Genizah italiana”, in “Materia Giudaica”, 2000/6, pp. 24-25.
[24] A. Grossman, Chakme Ashkenaz ha-Risho’nim (in ebr.) [Gli antichi saggi di Ashkenaz], Jerusalem, 1981, p. 223, nota 60.
[25] Fu discepolo di uno dei principali tosafisti: Ya‘aqov ben Me’ir (1100-1171) più noto come Rabbenu Tam, nipote di Rashi.
[26] E.E. Urbach, Ba‘ale ha-Tosafot: Toldotehem, Hiburehem, Shitatam, [I Tosafisti] (in ebraico), Jerusalem 1986, pp. 128 e 462.
[27] Ho recentemente pubblicato con G. Stemberger questo frammento, per cui vedi: M. Perani and G. Stemberger, A New Early Tanhuma Manuscript From The Italian Genizah. The Fragments Of Ravenna And Their Textual Tradition, in “Materia giudaica” X/2 (2005), pp. 241-266.