Cosa vuoi fare da grande?” Questa era una volta la domanda standard che gli adulti rivolgevano ad ogni bambino dell’età di otto o nove anni quando si cercava di conversare con loro. In qualche modo, ogni bambino forniva una risposta, che variava dal voler diventare un “pompiere” un “calciatore” o, ad esempio, “infermiere”. Al giorno d’oggi non poniamo più così spesso questa domanda ai bambini, almeno non così spesso come una volta. Forse per evitare la possibilità di fare pressione su di loro, o forse perché un certo tipo di ambizione non è più vista come un valore positivo, come lo era una volta. Il fatto è che nella nostra tradizione l’ambizione è apprezzata, specialmente se porta ad un obiettivo positivo. Una carriera che aiuta una persona a sostenere se stessa e la sua famiglia è uno di questi obiettivi. Una carriera che sia utile nel servire la comunità è un altro.
Quali sono le carriere particolarmente apprezzate dalla Torà? La Parashà di questa settimana, Parashat Mishpatim (Shemot 21:1-25:18), ci offre l’occasione di riflettere su una carriera molto apprezzata, quella di giudice in un tribunale. La nostra Parashà inizia con il versetto “Queste sono le regole che porrai davanti a loro“. Rashi interpreta le parole “davanti a loro” sostenendo che il versetto sottintende che le questioni riguardanti queste regole devono essere giudicate da giudici ebrei che hanno familiarità con le regole che sono delineate nei successivi capitoli della Parashà. Già nella Parashà che abbiamo letto la scorsa settimana, Yitro, abbiamo appreso che Moshè vedeva il ruolo di giudice come una delle sue responsabilità di leadership. Solo su consiglio del suocero, Yitrò, Moshe accettò di assegnare il ruolo di giudice a una gerarchia di altri saggi. La carica di giudice è quindi una delle prime carriere descritte nei dettagli dalla Torà.
Il Talmud ha qualcosa di preciso da dire su quanto sia nobile la carriera di giudice e nel farlo raccomanda diversi altri eccellenti percorsi di carriera per “bravi ragazzi ebrei”. Il riferimento è al seguente passaggio del trattato Bava Batra 8b, che a sua volta interpreta due versetti: “I sapienti saranno raggianti come la distesa luminosa del cielo, e coloro che condurranno i molti alla giustizia saranno come le stelle per sempre e in eterno” (Daniel 12:3). “I sapienti” sono i giudici che giudicano ed applicano la legge con assoluta veridicità, così come coloro che lavorano al servizio della comunità come fiduciari che distribuiscono la carità (gabbaé tzedakò). “Coloro che conducono i molti” sono gli insegnanti di scuola dei bambini a partire da quelli più piccoli. E per quanto riguarda gli studiosi della Torà? A loro si applica il seguente versetto: “Possa il suo amato essere come il sole che sorge in potenza!” (Giudici 5:31).
Questo passo del Talmud, quindi, stabilisce quattro carriere che considera essere degne di ammirazione: la magistratura, il coinvolgimento nella distribuzione della carità, l’istruzione primaria e l’approfondimento nello studio della Torà Le Tosafot, la raccolta di commenti a margine di ogni pagina del Talmud, suggerisce che esista un ordine di preferenza, una sorta di rango per queste carriere. La luce delle stelle è meno luminosa della luminosa distesa del cielo. Ciò implica che l’insegnamento scolastico sia, in qualche modo, meno degno di lode dell’agire come giudice o gabbai tzedakà, mentre lo studioso della Torà, che è paragonato al sole, è al primo posto.
Altri commentatori, tuttavia, interpretano il testo talmudico in modo diverso. Un approccio interessante è quello adottato dal rabbino di Lyssa del XIX secolo, Rabbi Yaakov Loberbaum, noto per la sua opera sul diritto civile, Netivot HaMishpat. Egli si oppone all’approccio adottato da Tosafot. Dopo tutto, si chiede: “I nostri occhi possono vedere che le stelle sono più luminose della distesa del cielo: inoltre quale collegamento c’è tra giudici e gabbaé tzedakà che ci consente di paragonarli entrambi alla distesa celeste?” La risposta che ci viene fornita è molto istruttiva: “Ci sono materiali che sono per loro stessa natura incolori, ma che riflettono qualsiasi colore brilli su di loro. Un esempio è il vetro che non ha un colore proprio. Se lo illuminiamo con una luce rossa otterremo un riflesso di colore colore, se lo Illuminiamo con una luce verde otterremo un riflesso di colore verde. La distesa del cielo è essa stessa incolore come il vetro. Questo è ciò che un giudice ha in comune con un fiduciario di beneficenza. Entrambi devono essere assolutamente neutrali, senza alcun colore proprio. Il giudice deve essere totalmente imparziale, e così deve essere la persona che determina come deve essere distribuita la beneficenza. Non deve favorire una persona bisognosa rispetto a un’altra, ma deve distribuire i fondi della comunità “senza colore”. Gli insegnanti, a differenza dei giudici e dei gabbaé tzedakà, sono paragonati alle stelle, che brillano equamente su tutti, perché l’insegnante deve “brillare” su tutti i suoi alunni equamente, senza discriminazioni, senza assumere colori”. Sebbene Rav Loberbaum non menziona nel suo commento gli studiosi della Torà e la loro somiglianza con il sole, possiamo provare a fornire una spiegazione su quel paragone. Il sole è la fonte di luce e calore per eccellenza. Allo stesso modo anche la Torà è la fonte ultima di luce intellettuale e di calore spirituale. Lo studio della Torà, ci insegna la nostra tradizione, supera tutti gli altri valori nella sua importanza.
La verità è che ognuno di noi individualmente deve sforzarsi di incorporare nel proprio comportamento e di fare proprio ognuno di questi quattro questi ruoli ed ognuna delle caratteristiche di queste carriere. Questo perché, in realtà, siamo tutti in qualche modo “giudici”, anche se non indossiamo alcuna toga e anche se non siamo seduti in aule di tribunali. Sentiamo costantemente il richiamo a giudicare gli altri in tutti i modi possibili e dobbiamo sempre cercare di giudicare onestamente noi stessi, anche se spesso evitiamo di farlo. Siamo tutti chiamati a decidere come distribuire le nostre risorse per fare la tzedakà, una delle mitzvot più importanti da osservare, siamo tutti chiamati a cercare parte del nostro tempo che alla comunità . Che lo desideriamo o meno, siamo tutti degli insegnanti, se non in una classe, in una scuola, lo siamo in famiglia, al Bet haKeneeset, al lavoro o al centro commerciale. E certamente dobbiamo tutti, a seconda delle nostre specifiche capacità intellettuali e cercando di superare le restrizioni che il tempo ci impone, soprattutto nella società moderna, essere diligenti nello studio della Torà e diventare il più possibile esperti nella Torà e nelle mitzvot.
Data questa prospettiva, ognuno di noi è chiamato a svolgere il proprio dovere per raggiungere gli obiettivi della nostra “carriera” personale, per quanto difficile sia raggiungere questi obiettivi: giudicare il prossimo senza pregiudizi e distribuire le nostre risorse in modo compassionevole ed equo attraverso la tzedakà mantenendo un colore neutro come la distesa del cielo; insegnare Torà ai bambini fin dalla loro tenera età, a partire dalle nostre famiglie e dai nostri stessi figli in modo appropriato, brillando come le stelle del cielo e, soprattutto, dedicare tempo allo studio la Torà, illuminando il mondo come il sole di giorno. Se lo facciamo, ognuno di noi potrà essere degno di ricevere le berachot che Hashem ci invia quotidianamente, potremo diventare persone migliori, sviluppando la versione migliore di noi stessi, e potremo diventare fonte di ispirazione per i nostri figli e per il prossimo, creando in questo modo un circolo virtuoso positivo e contribuendo nel nostro piccolo a creare un mondo migliore, un mondo del quale si sente sempre più la necessità.