Nella parashà che leggeremo questo shabbat sono riportate tutte quelle che nei “Dieci Comandamenti” sono chiamate mizvot ben adam le chaverò – le regole fra l’uomo e il suo prossimo.
Esse sono numerose e sono alla base del rapporto sociale fra tutti gli uomini; per questo, i Maestri del Talmud hanno dedicato ad esse la maggior parte dei trattati talmudici, considerati fra i più
voluminosi: Nezikin, Sanedrin, Maccot, Bavà Kammà, Bavà Mezzi’à, Bavà Batrà ecc. essi si basano
tutti sulla parashà di Mishpatim.
Dicevamo la scorsa settimana, nel commentare i secondi cinque Comandamenti che, essi sono quelli più crudi, in quanto sono elencati in ordine dei danni, fisici e morali che un uomo può provocare al suo amico.
Verso la fine del capitolo 22 dell’Esodo (alla fine della 3° chiamata della parashà in questione), troviamo queste parole che debbono assolutamente provocarci una profonda riflessione, su quello che deve essere il nostro comportamento verso gli altri e quello che realmente è: “ Quando presterai danaro a qualcuno del Mio popolo, al povero che è presso di te, non comportarti con lui come un vessatore e non esigere da lui alcun interesse. Se poi prenderai come pegno da lui la sua coperta, al calare del sole dovrai restituirgliela, poiché in essa consiste la sua unica copertura; è il vestito del suo corpo, con essa si coricherebbe? Quindi se si rivolgesse a Me gridando (di dolore) Io lo ascolterei, poiché Sono misericordioso”.
Purtroppo più nessuno si preoccupa della sofferenza dell’altro, anzi, si pone verso di essa come se non lo riguardasse affatto, come se per lui fosse una cosa lontana.
La mizvà “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (levitico 19 v.18) è espressa in tutta la Torà una sola volta; eppure è considerata dai Maestri, la parte essenziale di essa.
Nel Talmud, trattato di Shabbat 31°, troviamo scritto che:
Hillel il vecchio era il capo del Sinedrio e una volta si presentò a lui uno straniero che voleva convertirsi a condizione che gli avesse insegnato tutta la Torà, nel tempo in cui si resiste astare in piedi su un solo piede.
Il grande Maestro gli rispose: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te! Tutto il resto è commento, va e studia”. Rabbì Akivà sosteneva, sempre a proposito di questa mizvà (Amerai il prossimo tuo come te stesso)
che questa è la grande regola della Torà. Su di essa poggia tutto il concetto della Torà stessa.
Rabbì Shimon figlio di El’azar, sosteneva che essa, fu pronunciata nel momento di un importante giuramento da parte di D-o al popolo: Anì berativ – Io l’ho creato!(l’uomo) Se tu lo amerai e lo rispetterai, Io ti ricompenserò con una grande cosa, viceversa Io ti giudicherò per distruggerti.
Nel midrash invece viene riportata una supplica da parte del Signore D-o al popolo;
“Il Signore rivolgendosi al popolo disse: figli miei cosa è che voglio da voi? Io voglio che voi vi amiate e vi rispettiate l’un l’altro.
Quali sono le strade del Cielo? Quelle in cui il Signore è misericordioso e usa questo attributo persino con i malvagi, Egli accetta la loro teshuvà e li alimenta abbondantemente come tutte le Sue creature.
Così dovete essere voi, che vi amiate l’un l’altro e vi rispettiate l’un l’altro e vi aiutiate nel caso del bisogno l’uno verso l’altro, affinché l’uno possa usare bontà nei confronti del suo prossimo”
Così come sono Io!
Shabbat shalom