Alessandro Luna
Roma. Mentre sulla tela, pennellata dopo pennellata, prende forma il viso della ragazza che le ha commissionato il quadro, la proprietaria di uno degli atelier caratteristici di via della Reginella, al Ghetto, ci racconta la storia di questo piccolo ma curioso “miracolo economico”, lungo appena 90 metri e nel pieno centro di Roma. Fino a vent’anni fa chi percorreva questa stradina, che collega il Portico d’Ottavia con piazza Mattei, si trovava a superare una lunga schiera di serrande chiuse e magazzini, con l’unica eccezione della bottega di un falegname e null’altro. Abbandonata e sporca, era uno dei luoghi del “degrado” del Ghetto e tale è rimasta fino a che, a metà degli anni Novanta, un ragazzo, Giuseppe, che abitava in un palazzo che affaccia sulla via, ha aperto la sua prima boutique in uno dei negozi abbandonati e inutilizzati.
Ne ha aperti poi negli anni altri e oggi chiacchiera con qualche amico seduto su una sedia fuori dal suo negozio in cui vende foto, riviste e oggetti d’epoca. Ci racconta che il primo negozio lo aprì nel 1994, in una via della Reginella vuota e sporca. Un vero peccato, ci spiega, siccome la strada fa parte di un percorso archeologico, riportato in quasi tutte le guide turistiche, che collega Torre Argentina al Teatro Marcello ed è quindi sempre stata una zona di passaggio per i gruppi di turisti. La sua boutique fu una scommessa vinta, visto che il flusso di turisti, incuriosito e attirato dai quadri e dagli oggetti che Giuseppe esponeva, gli permise di investire sulla sua attività incoraggiando eventi, presentazioni e mostre tematiche durante le quali la via veniva trasformata in una galleria d’arte dove pas¬ seggiare, godersi qualche opera d’arte alla fine, perché no, comprarne una. L’impegno di Giuseppe, nel giro di tre anni, non era più isolato: cominciarono una dopo l’altra, ingolosite dalla nuova anima di via della Reginella, ad aprire attività che in un modo o nell’altro avevano a che fare con l’arte: atelier, gallerie, anche una scuola di scultura. I commercianti d’arte di quella via, senza aiuti pubblici o finanziamenti da parte delia comunità ebraica, impegnati dal comune interesse di riqualificare della zona, cominciarono a prendersi cura della strada, a decorarla con delle piante e a tenerla pulita. Nel giro di dieci anni è diventata una delle vie che un amante dell’arte a Roma non può non conoscere.
Negli ultimi tempi qualche attività ha chiuso e ne hanno aperte anche un paio che non hanno molto a che vedere con l’arte, ma che non sono di alcun fastidio per i commercianti. Il lato interessante della storia di questa via è la spontaneità con cui l’iniziativa economica di alcuni commercianti ha dimostrato di poter riqualificare una zona senza aiuti pubblici, anche se un ruolo, a dire la verità, il comune lo ha avuto: l’esplosione di queste attività nei primi anni 2000 è anche da attribuirsi, come spiegano alcuni commercianti, alla pedonalizzazione che ha interessato la via e che, superati i primi timori dei residenti, ha potuto rendere via della Reginella una strada dedicata al passeggio, permettendo a molte più persone di affacciarsi sulle vetrine e perdere qualche minuto dentro i negozi. In più, a rendere la via quello che è oggi, è stata anche un’azione comune dei commercianti che, in maniera un po’ incoraggiata, un po’ spontanea, hanno avuto l’intuizione di riqualificare la via attribuendole un carattere e un indirizzo specifico, quello artistico.
In sostanza, il modello vincente di via della Reginella è questo: la pedonalizzazione e la specializzazione delle attività commerciali. Questa ricetta ricorda abbastanza i casi del Pigneto e di Monti: zone che erano considerate “degradate” fino a non troppo tempo fa, ma che ora sono nel pieno di una rinascita, certo contrastata ma che pure ha portato investimenti, pulizia (a volte) e lavoro. E sono entrambe zone pedonali che si sono specializzate in un particolare tipo di attività: a Monti i ristoranti e i cocktail bar, al Pigneto i baretti per gli aperitivi sulla falsariga della rambla spagnola. A Roma esistono molti esempi di questo tipo, ed è la dimostrazione che viviamo in una città che nella quotidianità ci lascia spesso scoraggiati, ma che ha gli strumenti e la voglia di riprendersi.
Il Foglio 19.9.2019