Rav Giuseppe Momigliano
La Parashà di Mikketz narra l’ascesa di Yosef in Egitto, di come, avendo spiegato i sogni del faraone, egli ne diventi ministro con il compito di assicurare il benessere del paese negli anni dell’abbondanza, prima, e successivamente in quelli della carestia, di come poi, nell’esercizio di questo ruolo strategico egli abbia occasione di rivedere i fratelli, scesi in Egitto per acquistare provviste di cibo.
Al momento dell’incontro, Yosef riconosce i suoi fratelli mentre questi non lo riconoscono, egli adotta un atteggiamento molto particolare, li accusa di essere delle spie, trattiene in ostaggio Simeone e minaccia di non liberarlo se non quando avranno condotto in Egitto al suo cospetto il fratello più piccolo, Beniamino di cui hanno parlato. Una delle possibili interpretazioni di questo atteggiamento, è che Yosef, sottoponendo i fratelli ad una situazione molto difficile prima di farsi riconoscere, volesse sincerarsi dei loro sentimenti, specialmente del loro pentimento per come avevano agito contro di lui.
Al loro ritorno in terra di Kenaan, i figli di Giacobbe riferiscono al padre l’accaduto e la necessità di condurre in Egitto Beniamino; il patriarca è contrario a lasciar partire il figlio più giovane che, dopo la scomparsa di Yosef, creduto morto, era l’ultimo figlio superstite dell’amata moglie Rachel. Due figli, Reuven e Yehudà, cercano di convincere il padre a lasciar partire Beniamino, alla fine l’esaurimento delle provviste e la garanzia personale di totale responsabilità da parte di Yehudà convincono Giacobbe ad affidare Beniamino alle cure di Yehudà. La proposta di Reuven contiene un’affermazione sorprendente, apparentemente insensata che però si presta ad una suggestiva interpretazione; il senso letterale è questo “Ruben disse al padre: fa morire i miei figli se non te lo ricondurrò (Beniamino), consegnalo a me, io te lo riporterò”.
L’espressione “fa morire i miei figli”, presa alla lettera, sembra un’affermazione priva di senso, in generale, tanto più per Giacobbe, sembra difficile che Reuven potesse avere un’idea simile e che la Torà ce la riporti in questo senso; pertanto vengono proposte altre interpretazioni, tra queste è suggestiva l’idea che qui “far morire” significhi privare i figli di Reuven della loro parte nella Terra che il Signore aveva già promesso dai tempi di Abramo. In una più ampia prospettiva, questa spiegazione ci dice che per l’ebreo perdere il legame con la terra promessa è già un po’ come morire, in senso spirituale, la pienezza della vita per noi comprende necessariamente il sentimento intenso del nostro legame con la terra promessa da D.O. Anche per questo è detto nel Salmo116 ( che recitiamo nell’Hallel delle feste) “ Camminerò davanti al Signore nelle terre della vita”.
Shabbat Shalom