In una delle più incredibili trasformazioni che incontriamo nella storia della letteratura Yosef da prigioniero diviene primo ministro del Faraone. Com’è possibile che uno straniero digiuno della cultura egiziana come Yosef divenga un leader del più grande impero dell’antichità? Yosef aveva tre doni, che molti posseggono individualmente, ma pochissimi assieme. Il primo è quello di essere un sognatore. Inizialmente non sappiamo se i suoi sogni adolescenziali che leggiamo all’inizio della parashah di Wayeshev siano un presentimento della sua grandezza futura, o semplicemente il frutto della eccessiva immaginazione di un bambino viziato con deliri di grandezza.
Solamente nella parashah di Miqqetz scopriamo alcune informazioni che sino ad allora ci erano rimaste nascoste. Sulla ripetizione dei sogni del Faraone, contraddicendo i sapienti egiziani, Yosef spiega che il Signore è fermamente deciso e li realizzerà rapidamente. Vedendoci indietro comprendiamo che la ripetizione del sogno di Yosef prelude alla sua realizzazione. Altro aspetto fondamentale è che Yosef interpreta i sogni degli altri. Lo fa prima per il panettiere ed il coppiere, poi per il Faraone. Le sue interpretazioni non erano ne’ magiche ne’ miracolose. Nel primo caso Yosef ricorda che di lì a tre giorni sarebbe stato il compleanno del Faraone, ed era risaputo che quello sarebbe stato il giorno in cui sarebbe stato deciso il destino di molti individui. Si poteva quindi supporre che i sogni dei sottoposti si riferissero a questo momento che evidentemente alimentava le loro paure. Sia Ibn ‘Ezrà che Bekhor Shor nei loro commenti fanno riferimento a queste circostanze. Anche l’immagine richiamata nei Sogni del Faraone, dei sette anni di carestia, era in realtà abbastanza comune nella letteratura egiziana.
La grandezza di Yosef tuttavia risiede nel terzo punto, quello di trovare una soluzione efficace per il problema evidenziato dal sogno. Non appena accenna alla carestia, propone già una soluzione. Yosef aveva già dato saggio della sua abilità come amministratore nella casa di Potifar, e anche in questo caso sfrutta l’occasione a proprio vantaggio. Da Yosef impariamo quindi tre cose: a) anzitutto sognare, e non avere paura dei propri sogni. I sogni rivelano le nostre passioni, e seguire la nostra passione dà l’opportunità di avere una vita gratificante. Molti considerano il sogno una perdita di tempo, ma molto spesso è vero il contrario. Molti perdono dei mesi per programmare una vacanza, ma si dedicano molto meno alla pianificazione della propria vita quotidiana. Questi individui si lasciano trasportare dalle circostanze, e sbagliano. I chakhamim ritengono che tutte le volte in cui è scritto wayhì – e avvenne nella Torah, sta per succedere qualcosa di brutto. Non dobbiamo subire passivamente gli eventi, ma dare loro un indirizzo cercando di realizzare i nostri sogni. Elie Wiesel racconta che Sigmund Freud e Theodor Herzl vivevano nello stesso quartiere di Vienna. Per fortuna non si sono mai incontrati. Immaginate cosa sarebbe successo se si fossero incontrati? Freud avrebbe psicoanalizzato Herzl e quest’ultimo sarebbe guarito dal sogno di avere uno stato ebraico. b) In secondo luogo i leader interpretano i sogni degli altri. Trovano il modo di articolare le speranze e le paure di una generazione.
Quando Martin Luther King diceva I have a dream non faceva altro che dar vooce alle speranze degli afroamericani. Non sono i sogni del Faraone a tramutare Yosef in un capo, ma il Faraone stesso. c) Il terzo punto è comprendere che il sogno evidenzia un problema, ma la soluzione dobbiamo fornirla noi. I buoni dirigenti sono in prima persona o si circondano di risolutori di problemi. E’ facile rendersi conto quello che non va. Quello che rende un leader è la capacità di reindirizzare le cose lungo i giusti binari. Yosef non prevede solo che l’abbondanza sarà seguita dalla carestia, ma elabora un sistema di stoccaggio che permetterà di affrontare la fame. Attraverso questi tre elementi Yosef fornisce un potente modello di leadership.