Tempio di via Eupili – MIlano
Una delle più grandi insegnanti di Tanach di questa generazione, Nechama Leibowitz, ci ha insegnato a cercare le “parole principali” nelle Parashot del Chumash. Nella sezione centrale di Parashat Miketz, quella radice è quella che compone la parola shever. Questo vocabolo non è solo usato molte volte, ma viene anche usato in contesti e con significati diversi. Dando un’occhiata a questi diversi contesti possiamo imparare di più su questa radice importante e versatile.
In Bereshit 42:1-3, apprendiamo che Yaakov vide shever (che significa cibo) in Egitto, e disse quindi ai suoi figli di aver sentito parlare del cibo. La Torà usa la radice shever come verbo per comprare il cibo, in particolare il grano. Mashber, vocabolo che deriva dalla stessa radice, significa anche, sia nell’ebraico biblico che in quello moderno, crisi, vocabolo che viene usato riguardo alla carestia che aveva investito tutta la regione.
Rabbenu Bachaye mostra altri esempi di contesti nei quali la parola shever viene utilizzata come verbo per riferirsi all’acquisto di cibo: Ciò che mangi lo otterrai da loro per denaro: Anche l’acqua che bevi te la procurerai da loro per denaro (Devarim 2:6), qui riferito alla mitzvà data da D-o di acquistare il cibo dagli eredi di Esav e di non muovere contro di loro guerra, in quanto anch’essi eredi di Avraham. Rabbenu Bechaye ipotizza che la Torà abbia usato di proposito questa radice, mentre se ne sarebbero potute scegliere altre, perché questo vocabolo è correlato sia al grano che al suo acquisto.
Nel novero dello studio di questa Parashà, dovremmo considerare anche l’apparente contraddizione su come Yaakov fosse a conoscenza delle risorse alimentari disponibili in Egitto. Dai pesukim di questa Parashà, infatti, emerge che Yaakov ha prima visto, e poi ha sentito, con quest’ultima che sembra essere la descrizione accurata e letterale. Rav Ovadia di Bartinoro dice che vedere, qui si riferisce alla speranza che nasce dalla consapevolezza che il cibo è disponibile. Il Chizkuni, in contraddizione a quanto spiegato, si riferisce al fenomeno del vedere come a qualcosa che non si vede fisicamente. Non si sarebbe trattato quindi di una rivelazione spirituale. Yaakov aveva sentito dire da persone che tornavano dall’Egitto che lì c’era disponibilità di cibo. Il pasuk andrebbe letto, quindi, interpretando che quando ne parlò ai suoi figli, Yaakov usò le parole: “Ho sentito dire che c’è del grano in Egitto”. L’uso del vocabolo vedere (Vayar) al posto di udire, in realtà non è un caso unico; Un esempio lo troviamo in Shemot 20,15, dove la Torà scrive: Tutto il popolo vide il tuono e i suoni, riguardo al dono della Torà. Sebbene il fenomeno letterario esista, non spiega perché in questo caso sia stata fatta quell’insolita scelta di parole.
Potremmo quindi supporre che lo shever visto da Yaakov in Egitto fosse una questione di rivelazione profetica, rivelazione per la quale vengono in genere usati i vocaboli mar’è o chazon, che derivano dalle radici che significano vedere. Il midrash Bereshit Rabba (91:6) dice che dal giorno in cui Yosef fu venduto, Yaakov perse i suoi pieni poteri profetici e ne conservò solo alcuni scorci sfocati. In questo caso, dice il midrash, ha visto più chiaramente non shever, ma sever, che significa speranza. La speranza che vedeva in Egitto, che non identificava chiaramente, era che Yosef fosse lì, vivo. Mentre il cambiamento tra shever e sever nell’ebraico mishnaico è caratterizzato dalla sostituzione della lettera shin con la lettera samech, nell’ebraico biblico, è sufficiente cambiare un puntino spostandolo dalla parte destra della lettera shin alla parte sinistra della stessa lettera. Troviamo un esempio nel salmo recitato quotidianamente (Tehillim 146:5): “sivrò al Hashem Elokav” (la sua speranza è in Hashem, il suo D-o). Il midrash Bereshit Rabba (91:1) basandosi su questa possibilità di leggere la parola diversamente a seconda di dove si pone il punto, interpreta che shever può riferirsi alla carestia (essere distrutto dalla mancanza di cibo) mentre sever implica abbondanza. Lo stesso vocabolo può quindi riferirsi alla tragedia di Yosef venduto come schiavo o al successo ottenuto con la sua ascesa come vicerè nella terra d’Egitto, oppure può riferirsi alla tragedia del lungo periodo di schiavitù in Egitto o all’uscita da lì con grande ricchezza.
La conclusione è chiara: la vendita di Yosef è la radice di una grande tragedia, e il suo antidoto è l’unità tra i figli di Yaakov. Non a caso, Yaakov dice ai figli lama titrau, perchè vi guardate l’un l’altro? Rabbenu Chananel ci fa notare che questa parola costituisce un ammonimento di Yaakov ai suoi figli “perché siete conflittuali l’uno con l’altro?” A sostegno di questa interpretazione porta il libro dei Re II 14,8 “affrontiamoci!” Il versetto 11 nello stesso capitolo conferma il significato di questa parola come confronto quando leggiamo “lui e il re Amatziah di Yehudah si affrontarono”. Questi versetti ci insegnano che in ogni tragedia c’è la speranza del successo, e chi ha una visione può vedere ciò che l’occhio non può vedere. Per riuscire a raggiungere questo obiettivo è sufficiente spostare l’attenzione, spostare il puntino sopra la lettera shin per trasformare un periodo buio in una speranza. Questo concetto è ben rappresentato durante i giorni di Channukkà dove uno degli scopi è accendere una luce per squarciare il buio. Per ottenere questo risultato è necessario accendere la luce, riuscire a vedere una speranza nel buio e vedere una prospettiva nel futuro. Questo si può ottenere rimanendo uniti, ognuno nelle proprie peculiarità e nelle proprie differenze, per raggiungere un obiettivo comune, per il bene di tutti.