Questo è uno shabbat quasi unico poiché non tutti gli anni il sabato in cui cade la festa di Chanuccà, coincide anche con rosh chodesh.
Infatti questo shabbat sarà l’unico di tutto l’anno in cui leggeremo tre sifrè Torà.
La parashà di mikkez che leggeremo nel sefer che si estrarrà per primo continua a raccontarci la storia di Giuseppe che, venduto dai fratelli, viene condotto in Egitto e qui con l’aiuto di D-o, trova successo in ogni cosa che fa; viene raccontato del suo grande successo a corte del faraone, il quale lo nomina viceré e supervisore all’economia di quel ricco Paese.
Nonostante ciò però, Giuseppe non rinnega mai la sua identità di ebreo e non si ritrae mai dall’osservanza di quelle tradizioni famigliari che fortemente contrastano con quelle degli abitanti del luogo.
Nell’ultima parte della parashà, quando Giuseppe ospita i fratelli (ai quali non aveva ancora rivelato la sua vera identità) a pranzo, la Torà ci racconta qualcosa che per gli usi egiziani era impensabile:
“E li portò a mangiare; si sedettero da una parte perché per gli egiziani era considerato proibito mangiare insieme agli ebrei “.
Giuseppe e i fratelli mangiano kasher e quindi non vogliono mescolare le proprie tradizioni con quelle di altri popoli.
Nonostante il suo alto incarico, alla corte della massima autorità egiziana, Giuseppe non nasconde i suoi usi e costumi e non rinuncia ad essi.
Un piccolo gruppo di ebrei riesce a mantenere invariate le proprie tradizioni, persino nel luogo più pagano in assoluto come l’Egitto, persino quando verranno considerati schiavi.
Tanto più quando si vive nella propria terra, come avvenne al tempo dei Maccabei, che vivevano in Israele e il Paese era sotto l’assedio di un popolo straniero.
Oggi che possiamo finalmente e fortunatamente considerarci liberi di osservare le nostre tradizioni, abbiamo il forte dovere dell’osservanza di quelle tradizioni che fanno del nostro popolo un popolo distinto e degno del nome che portiamo.
Shabbat shalom, chodesh tov e Chag sameach