Tamar Sebok / Yedioth Ahronoth
Lo scrittore parla agli israeliani dopo gli attacchi del 7 ottobre da Gaza: «Mi aspettavo un grande movimento di simpatia e di solidarietà verso gli ebrei, è successo il contrario. Sono passati due mesi e stento ancora a crederci». Il dialogo è un estratto della lunga intervista concessa a Yedioth Ahronoth
«Dopo il 7 ottobre, come prima reazione sono rimasto attonito, stupefatto. Per gli orrori commessi, per le conseguenze in Francia. Faccio fatica a superare lo choc, ma so che dovrei provarci», confessa lo scrittore francese Michel Houellebecq.
Che cosa pensa della reazione in Europa? È stata lenta, inadeguata?
«Sono considerato uno scrittore depresso, deprimente, disilluso, diciamo che l’ho letto spesso negli articoli su di me e ho finito per dirmi che dev’essere vero. Ma in questo caso mi ero fatto delle dolci illusioni. Ero convinto che anche i peggiori gauchisti, quelli che di solito appoggiano senza riflettere tutte le azioni palestinesi, che trovano sempre da ridire sulla politica di Israele, avrebbero detto che no, non si poteva davvero fare passare una cosa del genere. Mi aspettavo un grande movimento di simpatia e di solidarietà con gli ebrei. È successo esattamente il contrario, gli atti antisemiti si sono moltiplicati. Sono passati oltre due mesi e stento ancora a crederci».
Pensa che il governo avrebbe dovuto fare di più per sostenere Israele, o è soprattutto l’opinione pubblica a sorprenderla? Il presidente Emmanuel Macron ha aspettato molti giorni prima di andare a Tel Aviv, e ci sono comunque 40 francesi tra le vittime, una cifra enorme nella scala degli attentati.
«Quel che dice Macron non ha più troppa importanza. E quanto agli attentati c’abbiamo fatto l’abitudine, un prete sgozzato non desta più grande emozione. La migliore metafora quanto agli ebrei, non so chi l’abbia trovata, è quella del canarino».
Il canarino nella miniera.
«Sì, quando un ebreo è perseguitato in quanto ebreo, il cristiano ha buone ragioni per preoccuparsi: è il prossimo sulla lista. Un’altra cosa che mi ha infastidito è stata la narrazione globale offerta dai media: i palestinesi buoni e i cattivi di Hamas che usano i primi come scudi umani. Non riesco a crederci, in fondo è sempre lo stesso ritornello che sentiamo in Francia sul fatto che non bisogna generalizzare, è stancante».
Quel giorno tremila palestinesi hanno attraversato la frontiera di Gaza, sono tanti.
«Sì, sono tanti».
Ma allo stesso tempo il nord di Gaza non esiste quasi più.
«Voi israeliani siete esperti negli attacchi mirati, è vero, ma a Gaza è estremamente difficile portarli a buon fine, quindi sì, ci sono molte vittime innocenti. Ma, per me, state facendo quel che è necessario. Non vedo come potreste fare altrimenti».
In questi giorni abbiamo assistito anche a una fusione tra antisemitismo e critiche anti-Israele che prima non era completa.
«Ho un vero problema di comprensione con l’antisemitismo».
Che cosa non capisce?
«Il razzismo è facile da capire. Vedi un nero, ti dici: non mi piacciono i neri. Vedi un bianco, ti dici: non mi piacciono i bianchi. È basico, animale, immediato. L’antisemitismo è più strano. Si ricorda del film Monsieur Klein ?»
Quello con Alain Delon.
«Sì. L’ho visto quando avevo 18 anni, ma ancora mi ricordo una scena. I nazisti avevano teorie pseudo-biologiche, e in quella scena prendono le misure del cranio e misurano gli angoli del viso per dire: questo è ebreo, questo no.
Sulla base di una serie di parametri poco evidenti bisognerebbe provare o no odio per una persona. Va detto che è piuttosto bizzarro e contorto. L’odio, di solito, è più semplice. Non sono la prima persona ad avere difficoltà di comprensione al riguardo. Quando Sartre dice: Céline era antisemita perché veniva pagato, dimostra di non credere veramente all’antisemitismo di Céline. In pratica, Sartre commette un errore di dettaglio: Céline non era pagato in denaro ma in prestigio, era felice di essere invitato a cene che riunivano i protagonisti più prestigiosi della collaborazione con gli occupanti, organizzate da dignitari nazisti che erano a loro volta felici di essere distaccati a Parigi. Céline ne approfittava per ripetere il suo solito numero del mendicante di genio, era soddisfatto di sé. In fondo, anche Sartre aveva difficoltà a comprendere l’antisemitismo».
Eppure l’antisemitismo esiste da così tanto tempo.
«È vero, si possono elencare tanti tipi di antisemitismo. Dell’antisemitismo cattolico tradizionale rimangono poche tracce, anche i cattolici di mentalità più ristretta hanno capito quel che la loro religione deve all’ebraismo e che cosa la separa da esso. Anche l’antisemitismo diciamo aristocratico (disprezzo per il commercio, esaltazione delle virtù militari) è più o meno scomparso, e gli aristocratici ora lavorano nella finanza senza problemi. L’antisemitismo di sinistra, invece, ha ripreso vigore».
Lei oggi dice di sentirsi sconnesso, fuori dal mondo. Ma è noto per sapere interpretare e spesso anticipare lo spirito del tempo. Pensa di riuscirci ancora?
«Dovrei riuscirci, sono noto per questo, ma ci sono cose che vanno oltre la mia comprensione e che suscitano in me paura e disgusto. Altro esempio, l’atteggiamento woke. Non esiste odio tra bianchi e neri in Francia. Le persone che cercano di fomentarlo, di creare odio dove non esisteva, se ci riuscissero, compirebbero un’opera criminale. I neri francesi non credono a queste sciocchezze, non ci incolpano per il nostro passato coloniale. Negli Stati Uniti, sì, la schiavitù e la segregazione hanno lasciato il segno, lì c’è un problema reale».
La marcia in memoria di Thomas, un adolescente morto il 19 novembre 2023 a Crepol dopo essere stato ferito con un coltello durante un ballo nel piccolo villaggio della regione della Drôme
Il punto sensibile degli israeliani sono gli ostaggi, le donne e i bambini catturati, anche i giovani soldati. In Israele esiste un particolare concetto di democrazia, mentre dall’altra parte ci sono persone che non seguono le regole. Questa è una delle cose che ci sfuggono.
«Nel caso in questione, voi israeliani seguite le decisioni del vostro leader. Ricordo di aver letto un’intervista ad Ariel Sharon che mi aveva colpito, in cui diceva: “Essere primo ministro di Israele è il lavoro più difficile del mondo”. Nel momento in cui l’ho letta ho sentito che era vero, che non potevo immaginare un lavoro più difficile. Perché spesso si è obbligati a combattere guerre, con tutto ciò che ne consegue: abbandoniamo gli ostaggi o siamo pronti a tutto pur di salvarli? Sono scelte morali orribili, e ogni decisione è sbagliata, sotto la pressione costante di una democrazia attiva. Mentre in Francia, e a dire il vero in tutti i Paesi che conosco, quando c’è una guerra la democrazia va in letargo. Il premier di Israele è sottoposto a pressioni che non riesco nemmeno a immaginare. Non voglio dire che approvo tutto ciò che Benjamin Netanyahu ha fatto. Continuare a costruire insediamenti in Cisgiordania è una cattiva idea. Non ho nulla contro i coloni, ma l’espansione degli insediamenti deve finire. Se non ci sono confini stabili è impossibile negoziare la pace. Mi sembra un’impossibilità logica, è banale buon senso: per la pace servono frontiere stabili e un’esistenza stabile».
Israele non le ha mai avute.
«Ma bisognerà arrivare a questo risultato, in un modo o nell’altro. Anche se al momento il problema non è questo. I Paesi vicini devono capire che Israele esiste e continuerà ad esistere. Diversi Paesi arabi sembrano giunti alla conclusione che non potranno mai eliminare Israele».
Questo è uno dei motivi per cui Hamas ha attaccato Israele.
«Sono d’accordo. Anche Hamas ormai deve convincersi che non riuscirà a eliminare Israele. Quindi bisogna punirli in modo sufficientemente duro. Mi dispiace dirlo così brutalmente, ma la base della guerra è il rapporto di forze».
La religione ebraica le interessa dal punto di vista filosofico?
«Non ne so nulla, i monoteismi non mi interessano granché. Per quanto ne so, non sono ebreo. Sostengo gli ebrei per ragioni morali. C’è una differenza morale tra una bomba piazzata indiscriminatamente in un luogo pubblico e un attacco mirato in cui un assassino viene giustiziato (caso tipico: i terroristi di Monaco nel 1972, eliminati uno per uno dal Mossad). In definitiva, sono i mezzi impiegati che ci permettono di dare un giudizio morale sul fine perseguito, e quindi di scegliere da che parte stare».
In Israele c’è stata molta sorpresa nel vedere che tutta la mobilitazione internazionale per le donne, il movimento #MeToo e così via, abbia completamente ignorato le violenze sessuali commesse il 7 ottobre.
«Sì, qualcosa del genere è già successa in Europa. C’è stato il caso celebre e molto significativo delle molestie di massa a Colonia la notte di Capodanno. In linea di principio, in Francia, in Europa, lo stupro è un crimine assoluto. Bene, però c’è un gruppo di individui di origine extraeuropea che molesta centinaia di donne a Colonia, ma poiché sono extraeuropei, vengono più o meno perdonati. Lo stesso vale per i palestinesi».