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Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Capitolo 14 – Tipi di astinenza
Vi sono tre categorie principali di astinenza: l’astinenza dai piaceri, l’astinenza nelle leggi e l’astinenza nelle abitudini. L’astinenza dai piaceri è ciò che abbiamo discusso nel capitolo precedente, cioè limitarsi a utilizzare tra le cose di questo mondo solo quelle necessarie. Questa definizione include da una parte tutto ciò che è indispensabile; e dall’altra include anche tutto ciò che procura piacere a uno dei sensi, come i cibi, i rapporti coniugali, i vestiti, le passeggiate, ascoltare buone parole e tutto questo genere di cose, ma limitatamente ai giorni in cui vige l’obbligo di farsi piacere 1.
L’astinenza nelle leggi implica scegliere sempre il modo più esigente di compiere le Mitzvot, dando importanza anche alle opinioni di un singolo rabbino che non è d’accordo con la maggioranza 2, se la sua motivazione è sensata e malgrado la Halachà non segua il suo parere[1]; questo, a condizione che la sua opinione sia più restrittiva senza comportare aspetti più permissivi. [L’astinenza nelle leggi implica] anche trattare i casi dubbi secondo l’interpretazione più severa, perfino laddove sarebbe permesso scegliere la via più facile. E infatti i nostri Maestri di benedetta memoria ci hanno già spiegato l’affermazione del [profeta] Ezechiele (Ezechiele 4, 14): “Ecco, il mio spirito non si è contaminato, fin dalla mia giovinezza non ho mai mangiato carni vietate 3 e mai carne di Pigul 4 è entrata nella mia bocca” e l’hanno spiegato così (Talmud Bavli, trattato Chulin 37b): “Non ho mai mangiato carne che non sia stata esplicitamente permessa da un esperto[2] e non ho mangiato carne macellata in gran fretta”. E in effetti tutto ciò sarebbe certamente permesso secondo le regole, ma [il profeta Ezechiele] scelse per sé le modalità di applicazione più intransigenti.
E ho già ricordato in precedenza che coloro che praticano l’astinenza, i quali devono allontanarsi da ciò che è male, da ciò che gli assomiglia e da ciò che assomiglia a ciò che gli assomiglia, non devono prendere come punto di riferimento ciò che è permesso a tutti gli Ebrei.
E disse anche Mar Ukva (Talmud Bavli, trattato Chulin, 105a): “Rispetto a mio padre, io sono come l’aceto rispetto al vino: infatti mentre mio padre, se mangia carne adesso, non mangerà formaggio fino a domani alla stessa ora, io invece non ne mangerò in questo pasto, ma ne mangerò in quello successivo 5[3].” Ed è ovvio che la Halachà normativa non è conforme alla pratica di suo padre, perché se così fosse Mar Ukva non se ne sarebbe scostato. Piuttosto, suo padre era più esigente riguardo all’astinenza ed è per questo che Mar Ukva si definiva come “aceto figlio del vino”, perché il suo livello di astinenza era inferiore a quello di suo padre[4].
L’astinenza nelle abitudini consiste nell’isolarsi e nel separarsi dalla società per dedicarsi al servizio di D-o e a riflettere su come servirlo correttamente; a condizione di non eccedere nell’estremo opposto, poiché già dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Ketuvot, 17a): “La mente dell’uomo deve sempre essere associata alle altre persone 6[5].” E inoltre, riguardo al versetto (Geremia 50, 36) “Guerra agli impostori! E perderanno il senno” [i Maestri] dissero anche (Talmud Bavli, trattato Makkot 10a): “Guerra ai nemici dei Saggi che si isolano solitari 7 per studiare la Torà.” Invece, l’uomo deve associarsi con le migliori persone durante il tempo necessario al proprio studio e al proprio sostentamento[6]; e in seguito isolarsi per unirsi al Signore e acquisire le vie della rettitudine e del vero servizio divino. E ciò significa anche parlare poco, evitare le chiacchiere inutili[7], astenersi dal guardare al di là del proprio spazio 8[8] e tutte le cose di questo tipo, alle quali l’uomo si abitua fino a che diventano per lui un comportamento naturale[9].
Ed è ora evidente che questi tre tipi [di astinenza], benché esposti qui in regole generali, includono molte delle attività umane. E ho già detto che i dettagli possono essere affidati unicamente al giudizio personale, con il quale si dedurrà la loro corretta applicazione valutandoli secondo la regola esatta nella sua vera accezione.
Note del traduttore:
[1] Il santo giorno dello Shabbat e gli altri giorni di festività sono giorni di delizia. Se ci si allieta non per il proprio piacere bensì in onore di Hashem e in onore dello Shabbat e della festa, non si incorre nel peccato (Rav Eliahu Rot).
[2] La maggioranza dei rabbini Poskim è quella che decide, ma se l’opinione di un singolo è più restrittiva, è bene tenerne conto. L’ebreo timoroso di D-o vuole spesso compiere le Mitzvot rispettando anche i pareri più stringenti.
[3] Il testo cita la Nevelà, bestia morta senza avere subìto la macellazione rituale; e la Trefà, bestia nella quale è stato individuato un difetto mortale durante o dopo la macellazione. Ambedue questi tipi di carne sono vietati agli Ebrei.
[4] Il Talmud spiega che in questo versetto del profeta Ezechiele il termine Pigul indica carne macellata che ha dovuto subire una verifica rabbinica per via di un dubbio sorto al suo riguardo (si veda anche Rashi sul versetto); chi si comporta secondo i dettami dell’astinenza evita anche la carne che ha causato un dubbio, perfino qualora essa venisse in seguito giudicata propria al consumo.
[5] Abbiamo tradotto questa affermazione di Mar Ukva seguendo l’opinione di Tossefot.
[6] Sembra che il Ramchal si riferisca qui al significato letterale di questo passaggio del Talmud (riportato anche nel trattato Derech Eretz). Ci sembra però che i commentatori lo interpretino piuttosto come un invito generale a essere gradevoli con il prossimo.
[7] Il Talmud discute qui l’intraducibile omofonia dei termini “impostore” e “solitario”. Ci basti capire che i Maestri deplorano il fatto che alcuni studino la Torà da soli invece di studiare con gli altri.
[8] Il testo originale menziona lo spazio personale di ciascuno, fissato tradizionalmente a quattro cubiti, circa due metri (si veda il Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 10a).
Capitolo 15 – Acquisire l’Astinenza
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Il miglior modo per l’uomo di conseguire l’astinenza è quello di osservare i difetti dei piaceri di questo mondo[10]: la loro mancanza di consistenza reale e i grandi guai che essi hanno tendenza ad arrecare. Poiché ciò che provoca l’attrazione naturale verso quei piaceri, al punto che ci vogliono tanta forza e numerosi stratagemmi per riuscire a staccarsene, è la tentazione degli occhi, i quali si lasciano tentare dall’ aspetto di ciò che a priori appare buono e gradevole, la stessa tentazione che ha provocato il primo peccato commesso, come testimonia la Torà (Genesi 3, 6): “E la donna 1 vide che l’albero era buono da mangiare 2 e bello da vedere […] e prese uno dei frutti e mangiò”. Ma quando l’uomo capisce che quel bene è del tutto ingannevole, immaginario e privo di qualsiasi validità permanente, mentre invece il male che esso racchiude è reale o comunque veramente prossimo a manifestarsi, certamente egli ne prova disgusto e non lo vuole assolutamente più. Perciò, questa è la lezione che l’uomo deve inculcare nella sua mente: rendersi conto della vanità e della fallacia di quei piaceri fino a provare per loro una repulsione spontanea e respingerli senza nessun rammarico[11].
Per esempio, il piacere della gola è quello più sentito e percepito, eppure c’è forse qualcosa di più effimero e passeggero? Poiché la dimensione di questo piacere è solamente quella della propria capacità di ingestione: appena [il boccone] è deglutito e penetra negli intestini, se ne perde il ricordo, dimenticandolo come se non fosse mai esistito. E l’uomo che mangiasse a sazietà sarebbe ugualmente sazio mangiando cigni ingrassati o pane di farina inferiore. E a maggior ragione, se pensa alle numerose malattie che il cibo può procurargli[12], o quantomeno alla pesantezza che prova dopo il pasto e ai vapori che offuscano la sua mente, certamente per tutti questi motivi egli non può desiderare questa cosa, perché il piacere che prova è fittizio, mentre invece il danno è concreto.
Allo stesso modo, se rifletterà anche agli altri piaceri del mondo scoprirà che perfino il vantaggio immaginario che essi procurano dura poco, mentre il danno che possono causare è grave e duraturo, cosicché non conviene a nessuna persona dotata di raziocinio incorrere in quei gravi pericoli per ottenere in cambio un beneficio minimo. E questo è ovvio.
E quando si abituerà a osservare costantemente questa verità[13], poco a poco si libererà dalla prigione dell’ignoranza in cui è stato rinchiuso dall’oscurità materiale: non si lascerà più tentare da quei piaceri fallaci e anzi ne proverà disgusto e avrà piena coscienza di dover cogliere in questo mondo solo ciò che è indispensabile, come esposto in precedenza. E così come lo studio di questa materia procura la virtù dell’astinenza, allo stesso modo l’ignoranza e la frequentazione costante di persone potenti e altolocate, che rincorrono gli onori e si prodigano in futilità, ne causano la perdita; perché la vista di quegli onori e di quel successo non può non suscitare la tentazione di desiderarli per sé. E perfino se non si permette al proprio istinto di prendere il sopravvento, in ogni caso non si sfugge a questo conflitto e già questo è un pericolo. E il re Salomone si espresse in modo simile (Kohelet 7, 2): “È meglio recarsi alla casa del luttopiuttosto che alla casa del banchetto 3.”
Ma di tutti [i metodi per acquisire l’astinenza] la solitudine è il più prezioso, perché sottraendo alla propria vista le questioni mondane si evita al proprio cuore la tentazione di desiderarle[14]. E il re David già tessé l’elogio della solitudine, dicendo (Salmi 55, 7): “Se avessi le ali come un uccello […], volerei lontano, cercherei rifugio nel deserto[15]“. E sappiamo che i profeti Eliahu e Elisha privilegiavano la permanenza sui monti per potersi isolare 4. E i primi saggi e devoti di benedetta memoria seguirono le loro orme, perché consideravano che questo fosse il miglior modo di acquisire la perfezione nell’astinenza e di impedire alle futilità degli altri di compromettere anche loro.
E ciò a cui bisogna fare attenzione quando si rincorre l’astinenza è di non pretendere di raggiungere con un unico balzo il livello più elevato, perché ovviamente non ci si riesce[16]. Invece, bisogna incrementare la propria astinenza un po’ per volta: oggi se ne acquisisce un po’, domani se ne aggiungerà ancora un po’ di più, finché ci si abitua completamente all’astinenza, poiché essa diventa proprio come un istinto naturale.
Note del traduttore:
[1] Si tratta di Eva, la prima donna dell’umanità. Per una visione più approfondita dell’episodio, si veda il commento di Rabbi Shmuel di Sochotchov.
[2] Si tratta dei frutti di quell’albero, ovviamente.
[3] Perché andando in un luogo di bagordi si è tentati dai piaceri effimeri e illusori: invece in una casa di lutto si riflette al senso della vita e ai suoi veri valori. [4] Si veda per esempio il Primo Libro dei Re
Commento
[1] Il Beur halakhah ( su Shulchan ‘arukh, Orach Chayim 656,1) scrive che per etrog e lulav, per i quali ci sono discussioni che prevedono la possibilità di invalidità secondo l’opinione di grandi chakhamim, anche se secondo la halakhah sono kesherim, secondo tutti bisogna perseguire l’abbellimento della mitzwah (hiddur mitzwah) sino ad un terzo del valore per uscire d’obbligo secondo tutte le opinioni.
[2] Il Ramà (Yoreh de’ah 116,7) scrive che una persona scrupolosa deve astenersi dal mangiare un animale che un chakham ha permesso in base al solo ragionamento e non attenendosi a norme esplicite. In una teshuvah il Chatam sofer si interroga sull’estensibilità di questo principio all’ambito coniugale, visto che nel rigore è celata una penalizzazione nei confronti della donna, e scrive che, visto che questa è felice che il marito sia progredito nel servizio divino, si può essere rigorosi.
[3] Mar ‘Uqva non si asteneva per via della difficoltà di tenere un certo atteggiamento, ma perché riteneva di non avere ancora raggiunto quel livello nella perishut, ed è necessario procedere per gradi. Come il Ramchal scriverà al termine del capitolo successivo, nella perishut è indispensabile non effettuare balzi affrettati.
[4] Mar ‘Uqva non era rigoroso come il padre perché riguardo l’astinenza ciascuno deve misurare il proprio livello, e se non si è raggiunto un certo livello non è bene assumere certi comportamenti. Tuttavia il non aver raggiunto un certo livello di per sé non è una cosa positiva, e per questo Mar ‘Uqva si definiva aceto rispetto al padre, che veniva definito vino.
[5] Anche se un individuo ha la possibilità di ottenere il proprio sostentamento isolandosi dal resto delle creature, deve evitare di fare così.
[6] Come scrive Chovot ha-levavot (cheshbon 17) l’unirsi a chakhamim che conoscono la Torah non costituisce una contraddizione della hitbodedut, perché questa non è l’allontanamento indiscriminato dagli esseri umani, ma l’allontanamento dalla materialità, che distoglie dal servizio divino. E ciò non riguarda solo lo studio, ma anche l’ambito lavorativo. Come scrive il Rambam in Hilkhot de’ot 6,1 è mitzwah unirsi ai chakhamim anche nel commercio, anche al fine di favorirli.
[7] Schive Chovot ha-levavot (perishut cap. 5) che ci si deve allontanare dalle cose futili a tal punto da considerare il movimento della parte del corpo più pesante più semplice del movimento della lingua, che fra le membra del corpo umano è la più veloce e reattiva.
[8] Nell’Iggheret ha-Ramban è scritto “i tuoi occhi vedano in basso verso terra e il tuo cuore in cielo”.
[9] Varie volte il Talmud loda dei chakhamim perché non avevano mai pronunciato discorsi futili. Questo non è da intendersi solo come middat chasidut, ma più in generale come l’applicazione del comandamento qedoshim tiihù.
[10] Dopo aver parlato nel capitolo precedente di tre ambiti differenti nella perishut (dai piaceri, nella halakhah e nei comportamenti), il Ramchal sembra tornare ad affrontare in questo capitolo solamente la persihut nei piaceri.
[11] L’acquisizione della perishut porta ad una ripulsa spontanea e senza alcuno sforzo dei piaceri materiali.
[12] Già Rambam nelle Hilkhot de’ot (4,15) aveva spiegato che esagerare con il cibo, anche se sano, e tanto più se non lo è, è la base di tutte le malattie.
[13] Anche se un uomo ha affrontato un percorso che lo ha portato ad acquisire la zehirut e la neqiut, nonostante ciò, per acquisire anche la perishut, deve fare questo semplice ragionamento sempre, perché uno degli stratagemmi dello yetzer ha-rà è quello di far dimenticare all’uomo delle semplici verità. Già Rambam nel primo capitolo delle hilkhot de’ot aveva spiegato che il modo per acquisire una certa middah è quello di reiterare un certo comportamento secondo il livello desiderato all’interno della middah stessa (nella maggior parte dei casi quello mediano).
[14] Secondo il Talmud in massekhet Sotah (8a) “l’istinto malvagio non domina altro che su ciò che gli occhi vedono”.
[15] Il Rambam (Hilkhot de’ot 6,1) scrive che ci si deve allontanare dai malvagi che vanno nel buio, per non apprendere dalle loro azioni, e si deve andare in un luogo in cui risiedono tzadiqim che tengono buoni comportamenti. E se si conoscono solo luoghi i cui abitanti non hanno un comportamento adatto, si rimanga soli. E se gli altri abitanti non gli permettono di rimanere se non adattandosi ai loro usi, si rechi nelle grotte e nei deserti, piuttosto che comportarsi come quei peccatori.
[16] Quanto Ramchal scrive qui è vero per ciascuna delle middot, solo che per la perishut la caduta è più rovinosa ed è molto più difficile rialzarsi, per questo bisogna avere la massima prudenza.