Gli indirizzi dove mangiare al Ghetto di Roma, dal ristorante di cucina giudaico-romanesca a quello mediorientale. E qualche spiegazione in più su cosa significa kasher, secondo la chef Laura Ravaioli, volto del Gambero Rosso
Alessandra Tibollo
“Nella città simbolo del cattolicesimo batte un cuore ebraico”, comincia con queste parole l’ultimo programma di Laura Ravaioli sul Gambero Rosso, dal titolo “Kasher”. Neanche a dirlo, è dedicato alla cucina giudaico-romanesca e si dipana come un viaggio fra i luoghi della comunità ebraica più estesa d’Italia, passando attraverso i suoi piatti, frutto di un lontano melting pot di culture diverse. Una globalizzazione ante-litteram che si è sviluppata in cucina, per via delle tante migrazioni degli ebrei, fra le deportazioni subite e la costante ricerca della terra promessa.
L’abbiamo incontrata per saperne di più sulle regole della kasherut, per scoprire qualche indirizzo “giusto” nella capitale (scorri sotto), e per la sua ricetta di Carciofo alla Giudia, passo a passo.
Dove bisogna andare per capire qualcosa di più della comunità ebraica a Roma?
Naturalmente in quello che a Roma è conosciuto come Ghetto, anche se in realtà non si può più definire tale dalla Breccia di Porta Pia, nel 1870, quando Roma venne annessa al Regno d’Italia e cadde il potere temporale del Papa. È lì, vicino al Portico d’Ottavia che ci sono i simboli della comunità, come il Tempio Maggiore, il Museo ebraico che consiglio di visitare, la scuola che affaccia su quella che gli ebrei romani chiamano “La Piazza”. E poi tutt’intorno ci sono le piazzette nascoste ma deliziose, come quella della fontana della Tartarughe, Piazza Costaguti, Piazza Mattei. Ci tengo a specificare che sono posti sicuri, anche di questi tempi, perché oltre ad essere area pedonale, c’è un doppio controllo, sia delle forze dell’ordine che della comunità stessa. Per girare il programma ci sono stata per due mesi giorno e notte e posso confermarlo.
E poi ovviamente si mangia.
Certamente, anzi lo si fa sempre di più a tutte le ore, grazie al fatto che è diventata una zona turistica. L’ex Ghetto è il quartiere dove si può trovare la vera cucina kasher in città, a meno che non si abbia la fortuna di essere invitati a casa dai membri della comunità per un vero pranzo kasher.
A proposito, una volta per tutte, kosher o kasher?
Il significato è lo stesso e comporta l’adesione alle regole della Kasherut. “Kosher” è il termine più comune, quello utilizzato in tutto il mondo, la cui radice proviene dall’Est Europa. “Kasher” è la versione italiana.
Il piatto simbolo della cucina giudaico-romanesca?
Agli occhi del mondo è il carciofo alla giudia, che fra l’altro essendo verdura può essere servito sia nei ristoranti di carne che in quelli di latte. Ma se si chiede a un ebreo romano probabilmente risponderà lo stracotto, o la concia, oppure il tortino di indivia e alici.
Che vuol dire che ci sono ristoranti di carne e ristoranti di latte?
Tra le numerose regole della kasherut c’è il rigidissimo divieto di consumare insieme carne e latte e questo vuol dire che non ci deve essere contaminazione di nessun genere in cucina. Sarebbe difficile per un ristorante gestire le due cose contemporaneamente e i locali del centro storico sono tutti piccolissimi, ricavati nei locali dei vecchi negozi. Un tempo erano le mercerie dove si compravano i “pedalini”, come si dice a Roma, cioè i calzini. Oggi, complice il fenomeno cucina, sono stati quasi tutti riconvertiti.
È un fiorire di nuovi locali nell’ex Ghetto, quindi?
Esatto, ma attenzione, non sono tutti kasher. Per esserlo devono possedere la Teudà, ovvero la certificazione di adesione alla Kasherut e sono sottoposti alla supervisione del mashgiach, che effettua sia di controllo delle materie prime che di tutte le procedure. Solo in quelli si cucina effettivamente kasher.
Il posto in cui mangiare qualcosa di tipico?
Ristoranti ce ne sono molti e non mi sento di consigliare l’uno o l’altro, perché sono tutti buoni. Quello che sicuramente non faccio fatica a nominare è il forno Boccione, una vera e propria istituzione. È il forno del Ghetto da più di trecento anni ed è gestito da sole donne, tutte della stessa famiglia. È famoso in tutta Roma per la sua crostata di ricotta e visciole e poi perché vende da sempre i bruscolini caldi, appena tostati, oltre ai pistacchi. Ma io consiglio di assaggiare la pizza di Berid.
Il consumo dei prodotti kasher sta crescendo, come mai?
Il marchio “K”, quello che distingue il kosher food, è una vera e propria certificazione di qualità. Solo per fare degli esempi: conservanti e additivi sono pressoché vietati, gli animali macellati sono venduti solo se assolutamente in perfetta salute. Se viene trovata anche solo una cisti la carne non può essere venduta come kosher. L’assenza totale di maiale rende sicuri gli alimenti, che potrebbero contenerne tracce, anche per i musulmani e i vegetariani. Idem per gli intolleranti al lattosio, che se acquistano ad esempio una margarina kosher sono sicuri che c’è non traccia di latte. Ecco perché i consumi del kosher food nel mondo sono in aumento, interessano fasce diverse di popolazione oltre gli ebrei stessi.
E il vino?
È un capitolo importante e delicato da trattare. Negli ultimi anni sono sempre più di qualità e anche molti produttori fuori da Israele hanno cominciato a produrre vini kosher. Questo implica che l’uva, dalla vigna alla bottiglia, viene costantemente seguita da una squadra di “controllori”, qualificatissimi ed ebrei osservanti. Ma l’argomento vino è vasto e sottoposto a tante di quelle regole che preferisco sempre far parlare gli esperti del settore.
A chi dovesse programmare un viaggio per visitare Roma e il Ghetto in particolare, quando consiglierebbe di andare?
A me piace molto in inverno quando si celebra la festa di Hannukkah, che cade pressappoco nel periodo di Natale, è la festa delle luci e ricorda a tutti gli ebrei che un grande miracolo è avvenuto: l’olio che doveva bastare per un solo giorno illuminò il Tempio per 8 giorni. Per l’occasione si accende il grande candelabro a nove bracci che è davanti al Tempio Maggiore e anche nelle case dietro i vetri delle finestre si scorgono i candelabri accesi. È un momento molto intenso ed emozionante. Tutto questo in cucina si traduce in 8 giorni di festa del fritto. Che dire di più?
Dove mangiare al Ghetto secondo La Cucina Italiana
Bellacarne – ristorante di carne. Il proprietario Alberto Ouazana è figlio dello shoket, il rabbino che si occupa dalle macellazione della carne secondo il rituale ebraico. Inoltre è proprietario di uno dei punti di riferimento degli ebrei romani per la spesa, Kosher Delight.
Yotvatà – ristorante di latte. Marco Sed, il proprietario, da anni produce formaggi kasher. Il suo ristorante è il posto giusto in cui assaggiare un tagliere con le sue produzioni casearie, oltre ai più famosi piatti kasher, come la concia e il carciofo alla giudia.
Ba’ Ghetto – ristorante di carne o ristorante di latte. Sono due gli indirizzi di questo ristorante kasher con origini tripoline al Portico d’Ottavia, dove la versione Milky serve solo piatti di latte e la versione tradizionale quelli di carne. Da loro si possono trovare i piatti mediorientali come i burik e la baklava.
Fonzie – ristorante di carne. Si vanta di essere il primo hamburger kasher della Capitale. Il posto giusto per una sosta veloce, dove gli hamburger si distinguono per il peso della carne (da 120, 150 o 240 per i più affamati.
http://www.lacucinaitaliana.it/storie/chef-cuochi/mangiare-ghetto-ebraico-roma-ravaioli-kasher/