Proposta bomba del ministro Neeman. Non è il caso di riformare prima i tribunali religiosi che non riescono a gestire correttamente nemmeno conversioni e divorzi? DP
R.A. Segre
Non è un caso che Yaakov Neeman, illustre avvocato e ministro della Giustizia del governo Netanyahu, abbia scelto la conferenza sulla Halakha (legge religiosa ebraica) tenutasi recentemente a Gerusalemme per sostenere che sia necessario gradatamente sostituire la Legge (biblica e talmudica) a quella attualmente in vigore in Israele. Il ministro, uomo religioso, ha probabilmente voluto rinforzare la compagine della coalizione governativa scossa dalla decisione del premier di sospendere per dieci mesi le costruzioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania (lasciando libera quella in Gerusalemme).
Oltre al luogo, ha scelto anche un momento adatto per lanciare la sua “bomba”. Siamo alla vigilia della festa di Hanukkah, la festa delle Luci che inizia venerdì sera e dura otto giorni. Essa ricorda la vittoria riportata sul regime ellenista nel 165 prima dell’Era volgare in Palestina. Guidata dalla famiglia sacerdotale dei Maccabei contro Antioco IV Epifane, iniziata come una rivolta contro la tassazione, riprese possesso del tempio di Gerusalemme purificandolo con una piccola boccetta di olio sacro che miracolosamente durò per otto giorni, ma creando in seguito il regno ebraico degli Asmonei alleato e poi nemico di Roma. La rivolta dei Maccabei fu adottata dal movimento sionista come simbolo di liberazione politica dal dominio straniero (donde la Maccabiade, versione ebraica delle Olimpiadi) senza tener conto del fatto che si trattò essenzialmente di una rivolta dei tradizionalisti religiosi contro l’ellenizzazione (oggi si direbbe occidentalizzazione). «Se tornassero i Maccabei – ebbe a dire scherzosamente un famoso rabbino – metà della popolazione israeliana dovrebbe essere punita, a partire dai primi ministri, per violazione alla Halakha». Non è certo quello che il signor Neeman intende fare. Ma ha dimostrato di voler dare un colpo al sistema legislativo laico e democratico attualmente in vigore in Israele, a cominciare dalla riduzione dell’autorità della Corte suprema ritenuta troppo laica.
Naturalmente gli ostacoli all’introduzione della legge religiosa in Israele sono enormi, primo fra tutti la sostituzione della sovranità divina a quella popolare espressa attraverso partiti incluso quello nazionalistalaico, il Likud di Netanyahu) e il Parlamento. In secondo luogo l’assenza del Tempio di Gerusalemme, che secondo gli ortodossi deve attendere la venuta del Messia per essere ricostruito, pone il problema della ricostruzione del Sinedrio, il tribunale supremo, interpretativo della volontà (legislativa ed esecutiva) divina e della scelta dei suoi membri proprio all’interno del mondo ortodosso. I rabbini, contrariamente a quello che spesso si crede, non sono sacerdoti, ma Maestri – come il termine di rabbino indica – con autorità uguale. Infine il ripristino della legge religiosa in Israele potrebbe rappresentare una rottura profonda non solo nel Paese, ma con la Diaspora dove la corrente ortodossa (forte in Israele perché incarnata in partiti politici) è minoritaria nei confronti della corrente conservativa e di quella liberale.
Ciò detto (e si tratta solo della punta dell’iceberg) il problema della legittimità del potere è sempre stato presente in Israele. Riconoscendone l’importanza esplosiva, Ben Gurion si oppose da un lato all’adozione di una Costituzione inaccettabile per gli ortodossi (che consideranola Legge divina – quella scritta della Bibbia e quella orale elaborata nel Talmud – come la sola valevole per gli ebrei). Dall’altro cercò negli anni Cinquanta con l’aiuto del rabbino Ben Maimon, una delle autorità della Halakha, di ricostruire il Sinedrio, sola istituzione collettiva autorizzata a portare cambiamenti alla tradizione religiosa, adattandola alle nuove esigenze di uno Stato sovrano moderno. Il tentativo fallì soprattutto per le rivalità nel mondo ortodosso, che allora si trovava in minoranza. Oggi che è in crescita di potere in Israele è naturale che cerchi di affermarsi imitando, paradossalmente, quello che avviene nel mondo islamico. Anche questo è il risultato di un conflitto che da un lato non mostra speranze di soluzione politica e dall’altro trasforma, per il meglio o per il peggio, Israele e molti Paesi islamici (Gaza con Hamas inclusa) in laboratori per l’elaborazione del problema centrale emergente nella società internazionale di questo secolo: il significato e la struttura dello Stato – ebraico o non ebraico – che si proclama al tempo stesso sacro e moderno.
Il Giornale, 9 dicembre 2009