Vivere e raccontare Israele ed il popolo ebraico non possono prescindere dal conoscere a fondo il significato dello Shabbat.
Carlo Paris
Punto gli occhi verso lo specchietto retrovisore che mi appare come un quadro: le palme del piazzale, la porta di Damasco, in lontananza la cupola di Al Aqsa. Il tramonto e le luci calde dei lampioni rendono l’atmosfera incantevole e seducente. Uno sguardo al navigatore Waze (peraltro brevetto israeliano) e mi appare all’improvviso sullo schermo un dedalo di strade tutte segnate in rosso: passaggio vietato. Proprio nella zona che dovrei attraversare per raggiungere più facilmente la casa degli amici che mi hanno invitato per cena.
Dunque anche Waze sa che è sconsigliato guidare per le strade del quartiere Mea Shearim durante lo Shabbat. Sconsigliato anche per una forma di rispetto nei confronti della comunità degli ebrei haredi che dalla fine del 1800 si è insediata in questo quartiere fuori della città vecchia di Gerusalemme. Qui le regole, compresa ovviamente quella dello Shabbat, vengono rispettate ancor più rigorosamente. È accaduto anche che contro qualche auto siano state lanciate pietre o invettive verbali nei confronti del conducente.
Non posso fare altro che cambiare percorso. D’altro canto anche scoprire nuovi luoghi di Gerusalemme fa parte del mio incarico da poco cominciato in Terra Santa e Medio Oriente.
“Se non sei curioso non fare il giornalista”, un concetto che ritengo fondamentale per questo lavoro.
Vivere e raccontare Israele ed il popolo ebraico non possono prescindere dal conoscere a fondo il significato dello Shabbat.
Ero stato preventivamente avvisato, con un messaggio rigorosamente inviato prima dell’inizio dello Shabbat, che avrei trovato aperto il portone di casa di Sergio e che l’appartamento è situato al sesto piano. Facendo sempre le scale a piedi per mia scelta personale, non ho potuto provare quello che viene chiamato “l’ascensore Shabbat” fornito di un meccanismo che ferma automaticamente ad ogni piano evitando di dover premere i pulsanti.
In questo giorno santo per gli ebrei non si accendono luci, non si guida l’auto né si usa il telefono, è la festa del riposo.
Vivere questa esperienza, e proprio a Gerusalemme, mi stava dando un’emozione incredibile. Tanto forte che in oltre quattro anni lo Shabbat è entrato nelle mie abitudini, come del resto altre festività di religioni fortemente professate in questa Terra compresa quella islamica, oltre ovviamente a quella cristiana e cattolica.
Non i si può limitare solo a tradizioni, usi e costumi. Una festa religiosa ha significati ben più profondi, intimi, spirituali.
A casa di Renata e Sergio, assieme ai loro parenti, stavo condividendo proprio questo momento di gioia, di riflessione interiore.
“Iddio, avendo terminata nel giorno settimo l’opera che aveva fatto, smise nel settimo giorno tutta l’opera che aveva compiuta. Iddio benedisse il settimo giorno e lo santificò, poichéin questo terminò l’opera che aveva compiuta.
Col permesso dei presenti (Ti sia per la vita). Benedetto sii Tu, Signore Dio nostro, che creasti il frutto della vite.”
Comincia così, con queste parole, la preghiera della benedizione del vino, recitata da tutti in ebraico. I miei ospiti molto gentilmente mi hanno fornito di alcuni fogli con la traduzione in italiano.
Il primo impatto con uno Shabbat nella terra d’Israele, non poteva essere diversamente, è stato caratterizzato dal paragone, dal confronto tra questi riti ebraici e quelli a me più vicini della religione cattolica. Soprattutto il raffronto tra chi ha mantenuto regole e cerimonie del culto nel corso dei secoli, come gli ebrei, e chi, cristiani e cattolici in particolare, ha invece modificato e “modernizzato” il proprio modo di pregare e di santificare le feste.
Ma questo non riguarda soltanto lo Shabbat: ogni ricorrenza religiosa viene vissuta dagli ebrei, almeno sotto l’aspetto della pratica, delle cerimonie e delle tradizioni, in maniera molto intensa, ancestrale, tanto da coinvolgere, condizionare se non addirittura stravolgere, la vita del popolo, dei fedeli.
Tutto questo nel mondo degli ebrei ortodossi ed ultraortodossi è ancor più evidente.
Girare per le strade del quartiere di Mea Shearim in particolare nei giorni di festa, Shabbat compreso, è un po’ come entrare in un mondo dove tutto si è fermato, come vivere nella scena di un film ambientato nell’Europa dell’est di quasi un secolo fa. Uno stile di vita che ha come principio fondamentale quello del “non cambiare nulla”.
È un’esperienza affascinante che mi ha più volte portato in quelle strade con una forte attrazione magnetica motivata dalla curiosità di scoprire una realtà rigidamente scandita da un ciclo di regole ed eventi religiosi inusuali per gli occidentali non ebrei.
Queste tradizioni sopravvivono intatte anche in altre latitudini: lo Shabbat di Mea Shearim è praticamente lo stesso di Williamsburg a New York o di altre parti del mondo.
La serie televisiva “Unhortodox” ce lo descrive molto fedelmente.
Nel corso dei miei anni in Israele ho voluto vivere lo Shabbat in ogni sua forma, realtà, l’ho trascorso con persone dalle più disparate estrazioni sociali e culturali.
Col passare del tempo sono riuscito a percepire l’avvicinarsi della “festa del riposo” a prescindere dal fatto che mi trovassi nella ultramoderna e “laica” Tel Aviv, in un piccolo villaggio nel centro del Paese o nella più spirituale e religiosa Gerusalemme, lungo le eleganti strade di German Colony o al popolare mercato di Mahne Yeuda.
È il suono della sirena ad annunciare l’inizio e la fine dello Shabbat, quasi lo stesso segnale, ma con un significato totalmente diverso, che mette in allarme per l’arrivo di razzi o missili nei momenti di guerra e tensione. Una sirena che ogni settimana ti ricorda gioiosa l’arrivo della “festa del riposo”, un’altra minacciosa e piena di terrore, che ti mette in guardia da un imminente pericolo.
Nel periodo del Covid è cambiato anche lo Shabbat: il brulicare festoso nelle strade per gli ultimi acquisti è stato ridotto al minimo tanto da rendere impercettibile la differenza tra la vigilia e il giorno stesso della festa.
Nelle case o nei forni non si è comunque mai fermata la produzione della “challah”, il pane bianco, delicato e soffice, a forma di treccia, sempre presente nella tavola ebraica durante lo Shabbat e che il capofamiglia spezza prima di offrirlo ai commensali.
Una scena questa che ho visto ripetersi in tutte le case dove mi è stato offerto il piacere di vivere e condividere la “festa del riposo”.
Dopo la mia prima cena di Shabbat da Sergio e Renata nelle settimane successive ho voluto anche vedere cosa accade a Gerusalemme al tramonto del venerdì e per tutte le 24 ore successive al Muro del pianto o Muro occidentale o Kotel, meta religiosa dal valore simbolico ed evocativo.
In particolare dalla porta di Damasco la più vicina delle porte di Gerusalemme al quartiere di Mea Shearim, si assiste ad una vera e propria processione di ultraortodossi che con i loro vestiti neri ed i cappelli a tesa larga, affluiscono verso il luogo più santo degli Ebrei, il Muro del Pianto, dove danno vita ad una grande preghiera di popolo che segna l’inizio dello Shabbat.
“Iddio, avendo terminata nel giorno settimo l’opera che aveva fatto, smise nel settimo giorno tutta l’opera che aveva compiuta. Iddio benedisse il settimo giorno e lo santificò, poiché in questo terminò l’opera che aveva compiuta. Col permesso dei presenti (Ti sia per la vita). Benedetto sii Tu, Signore Dio nostro, che creasti il frutto della vite.”
Tel Aviv con la sua vita veloce e incontenibile, sembra invece lontana migliaia di chilometri dalla Città Santa.
Credo non ci sia altro posto al mondo dove si possano vivere e respirare esperienze ed emozioni così diverse in due luoghi così vicini, come Gerusalemme e Tel Aviv. In particolare nel giorno dello Shabbat. In neppure un’ora di auto o mezz’ora di treno puoi entrare ed uscire da due mondi, due realtà, una fortemente laica, l’altra profondamente religiosa.
Quattro anni vissuti intensamente in Terra Santa mi hanno dato l’opportunità di rendermi conto di quanto sia complessa la realtà di questi luoghi e di queste genti. In un’area geografica molto limitata, non solo ci sono alcuni tra i luoghi più sacri per le tre religioni monoteiste, ma ciascuna di queste, al suo interno, si differenzia, e anche notevolmente.
Conoscere lo Shabbat mi ha dunque aiutato a comprendere almeno una parte del mondo nel quale per anni mi sono immerso e che ho provato a raccontare.