Gerusalemme è stata divisa solo per diciannove anni. Ecco che cosa accadde dal 1948 al ’67. Per la prima volta in un millennio di storia non rimase un solo ebreo nella Città vecchia. Fu un Isis ante litteram.
Giulio Meotti
Nel gennaio 1964, quando Papa Paolo VI vi arrivò per la prima, storica visita di un pontefice nella moderna Gerusalemme, la città era divisa dal filo spinato. Si chiamava “kav ironi”, la linea arbitraria di divisione della città. I cecchini giordani erano piazzati sui tetti, mentre i campi minati erano ovunque nella “no man’s land”, in ebraico “shetah hahefker”, lunga sette chilometri. L’unico passaggio fra le due parti della città, quella israeliana e quella giordana, era attraverso la celebre Porta di Mandelbaum, dal nome dei coniugi Esther e Simcha Mandelbaum, proprietari della casa dove passava il confine. C’erano quartieri, come Abu Tor, con case che avevano un ingresso nella sezione giordana e uno in quella israeliana. I muri dividevano la città anche dentro le abitazioni. Ma mentre Paolo VI e il suo entourage furono in grado di attraversare liberamente Gerusalemme per pregare nei luoghi religiosi cristiani, israeliani ed ebrei potevano solo guardare dall’altra parte del filo spinato le mura della Città vecchia e, là sotto, sognare il Muro del pianto, il luogo più sacro al mondo per l’ebraismo.
Allora, quando la Città vecchia era Judenrein, nessun Papa o Palazzo di vetro ha mai chiesto “l’internazionalizzazione di Gerusalemme”. Quando altri tre pontefici (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) sono tornati a far visita a Gerusalemme, hanno trovato una città aperta a tutte le tre religioni, senza barriere, né fili spinati, né cecchini, né campi minati o discriminazioni su base religiosa. Una città dove chiunque può venire a pregare e omaggiare il proprio Dio. E’ facile imbattersi oggi in musulmani salafiti arrivati dall’Arabia Saudita per visitare la Spianata delle moschee.
Orache gli Stati Uniti si sono decisi a riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele, da più parti si riscopre un’ansia di ridividere quella città. La città santa è stata conquistata da Gebusiti, Ebrei, Babilonesi, Assiri, Persiani, Romani, Bizantini, Arabi, Crociati, Mamelucchi, Ottomani, Inglesi, Giordani… Ma in migliaia di anni, Gerusalemme è stata divisa soltanto per diciannove anni, dal 1948 al 1967.
E fu davvero un incubo. Fu un regime asimmetrico di divisione: mentre per Israele Gerusalemme ovest divenne la capitale, Gerusalemme est fu sempre una città di confine, un fortilizio. Gerusalemme occidentale era moderna, fiorente di attività politica e culturale, ricca e in costante crescita, mentre Gerusalemme est era un villaggio sonnolento, sottosviluppato e trascurato. Un anno fa, tre lettere spedite nel febbraio 1948 dalla Città Vecchia di Gerusalemme, in quel periodo assediata dalle forze arabe, furono rivelate dalla casa d’asta Kedem Auction House. Sono scritte dai residenti del quartiere ebraico durante l’assedio di Gerusalemme da parte delle forze arabe nella prima fase della guerra di indipendenza israeliana. Le lettere vennero scritte tre mesi prima che le forze inglesi lasciassero la città, allo scadere del Mandato britannico, e la Città Vecchia venisse conquistata dalle truppe giordane. Una delle lettere è una richiesta di aiuto firmata da Yitzchak Avigdor Orenstein, primo rabbino del Muro occidentale (“del pianto”), destinato a rimanere ucciso tre mesi dopo quando la Città vecchia verrà bombardata. “Abbiate pietà di uomini, donne e bambini e prendete misure drastiche, ove necessario, affinché noi non moriamo“, si legge nella lettera del rabbino Orenstein. “La vita degli abitanti della Città vecchia è in grave pericolo, le truppe britanniche hanno bombardato il quartiere ebraico nelle notti scorse danneggiando la santità della sinagoga“, scriveva Orenstein.
La Gerusalemme ebraica fu il principale bersaglio dell’attacco giordano durante la guerra che accompagnò la fondazione di Israele. Il comandante della Legione, Abdallah el Tal, ricordò che “solo quattro giorni dopo il nostro ingresso a Gerusalemme, il quartiere ebraico era diventato un cimitero. Il ritorno degli ebrei è impossibile“.
Il 27 maggio del 1948, 108 dei 150 difensori del Quartiere ebraico della Città vecchia cadevano in difesa della popolazione di 1.700 persone, piegate dalla fame e dalla sete. Se l’assedio fosse continuato, gli arabi avrebbero costretto gli ebrei alla resa o alla fame. Tutta la città rischiava di essere conquistata dagli arabi. Dopo la fine delle ostilità e con la divisione della città, a tutti gli israeliani – ebrei, musulmani e cristiani – fu impedito l’accesso alla Città vecchia, in flagrante violazione dell’armistizio fra Israele e la Giordania, firmato nel marzo 1949. Ai turisti stranieri in visita a Gerusalemme fu richiesto di presentare un certificato di battesimo. Anche se i cristiani, a differenza degli ebrei, avevano accesso ai loro luoghi santi, anch’essi furono soggetti a restrizioni secondo la legge giordana. C’erano dei limiti sul numero di pellegrini cristiani ammessi nella Città vecchia e a Betlemme durante Natale e Pasqua. Le organizzazioni di beneficenza e le istituzioni religiose cristiane non potevano acquistare proprietà immobiliari a Gerusalemme o possedere proprietà vicino ai luoghi santi. E le scuole cristiane erano soggette a severi controlli. Dovevano insegnare in arabo, chiudere di venerdì, il giorno santo musulmano, e insegnare a tutti gli studenti il Corano. Allo stesso tempo, non fu permesso di insegnare materiale religioso ai non cristiani. Nel corso degli anni sotto il dominio giordano, ogni vestigia della presenza ebraica nella città fu sistematicamente cancellata. Durante quei diciannove anni di occupazione illegale e non riconosciuta dal resto del mondo, agli ebrei non venne mai permesso di visitare i loro luoghi santi nella parte occupata della città, in spregio del diritto internazionale e in violazione degli accordi armistiziali.
Il plurisecolare cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi venne sistematicamente profanato; le antiche sinagoghe, come la celebre Hurva, e la maggior parte degli edifici dell’antico quartiere ebraico della Città vecchia, vennero scientificamente distrutti dagli occupanti illegali. Centinaia di pergamene della Torah e migliaia di libri sacri furono saccheggiati e ridotti in cenere. Per la prima volta in mille anni non rimase un solo ebreo o una sinagoga nella Città vecchia. Fu una sorta di Isis ante litteram. La popolazione cristiana della città scese da trentamila a prima del 1948 a undicimila nel 1967.
In ogni storia di Gerusalemme questi sono gli anni perduti della città, in cui pare non sia successo nulla. Un periodo morto e in cui i bunker giordani dominavano la città. Come a Mutzav Hapa’amon, una delle 36 postazioni giordane, che dominava tutto, da Gilo all’Herodion. Nel 1955, un gruppo di archeologi prese parte a una conferenza al kibbutz Ramat Rachel. I cecchini giordani fecero strage di archeologi. Quattro i morti. Dopo la conquista da parte giordana, gli ebrei furono costretti a lasciare le loro case. Sinagoghe, biblioteche e centri di studi religiosi furono distrutti, saccheggiati, utilizzati per alloggiamenti o come stalle per gli animali. Agli ebrei venne proibito anche di suonare lo shofar, il piccolo corno di montone.
Furono fatti appelli alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale per dichiarare la parte antica come una “città aperta” e fermare questa distruzione, ma non ci fu risposta. Migliaia di pietre tombali provenienti dal cimitero sul Monte degli Ulivi furono utilizzate come pietre da pavimentazione per le strade e come materiale da costruzione nei campi militari giordani. Parti del cimitero furono trasformate in parcheggi, fu allestita una pompa di benzina e fu costruita una strada asfaltata. L’Intercontinental Hotel venne edificato nella parte superiore del cimitero. Il più antico cimitero ebraico del mondo si ritrovò così devastato. Delle 150 mila tombe, alcune risalenti ai tempi biblici di Assalonne e Zaccaria, ne furono distrutte 70 mila.
L’Onu, che oggi si dice allarmato per il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale, non approvò mai alcuna risoluzione contro questa distruzione della zona ebraica. Non appena la Città vecchia cadde nelle mani degli arabi musulmani, la libertà religiosa a Gerusalemme venne cancellata. Gerusalemme antica divenne di fatto, sia pure conservando la presenza cristiana, una città islamica. Gli ebrei furono cacciati e l’ebraismo cancellato. Mishkenot Sha’ananim, oggi uno dei luoghi più belli e trendy di Gerusalemme, luogo di ritrovo degli scrittori e degli intellettuali, divenne un insieme di baracche dove si viveva in costante paura dei colpi dei giordani. Mamilla, oggi fitta di ristoranti e boutique, era la linea di attacco, la “Sderot del 1948”, dal nome della piccola cittadina israeliana affacciata su Gaza e per anni bersagliata dal lancio dei missili di Hamas. Gli ebrei nella Gerusalemme divisa vivevano in case protette da sacchi di sabbia e strisciavano contro i muri. A memoria, ci sono le fotografie dei bambini e delle donne che sfollano dagli incendi delle loro case nella Città vecchia, il Muro del pianto che versa in rovina, spoglio, abbandonato, convertito all’islam come al Buraq Wall, e la città più bella del mondo trasformata in un grande Checkpoint Charlie mediorientale. Nei cinquant’anni successivi alla liberazione del 1967, Gerusalemme sarebbe riesplosa a livello urbanistico, religioso, demografico, economico. E’ successo sotto Israele, mai prima. Israele è l’unico custode di Gerusalemme che si sia dimostrato affidabile e responsabile.
Dopo la liberazione, il governo israeliano varò la Legge per la Protezione dei Luoghi Santi, che garantiva libertà di accesso e di culto a tutte le religioni e autonomia ai vari gruppi religiosi nella gestione delle loro rispettive proprietà e dei loro luoghi santi. La Knesset estese la legislazione israeliana a Gerusalemme est, unificando così la città sotto il governo israeliano e mettendo fine alle leggi islamiche discriminatorie. Gli israeliani ripristinarono subito il diritto dei musulmani di pregare sul Monte del Tempio, malgrado il fatto che fosse anche il luogo più sacro all’ebraismo. Oggi il Wakf musulmano (consiglio religioso), a cui è affidata l’amministrazione del Monte del Tempio, impedisce agli ebrei di pregare su questo luogo. La storia dimostra non soltanto che una grande città divisa non funziona (Nicosia, Berlino, Belfast per citarne alcune). Ma soprattutto che il migliore destino di una città mista come Gerusalemme è quello di essere garantito soltanto dagli ebrei, per due motivi.
Il primo è che il pluralismo funziona soltanto in una democrazia e Israele è l’unico paese democratico in una mezzaluna che va dal Nord Africa fino all’Asia minore. La seconda è che il rispetto delle minoranze non esiste nel mondo arabo-islamico. Adesso si vorrebbero riportare le lancette della storia a quel terribile periodo, i diciannove anni perduti di una Gerusalemme atterrita e buia. E che divisa non deve tornare a esserlo più.