Un articolo ben informato del quotidiano Europa che però ricade nei soliti pregiudizi di chi non capisce. Anni luce dall’eccellente episodio della serie “A Good Wife” trasmesso da RaiDue il 20 novembre (clicca qui) e ambientato nel mondo ultra-ortodosso americano. DP
Lucia Stella
Gli studenti universitari israeliani sono sul piede di guerra. Da settimane scendono in piazza per protestare contro le sovvenzioni per gli studenti delle yeshiva, le scuole religiose in cui ci si dedica esclusivamente allo studio dei testi sacri. La Corte suprema israeliana aveva giudicato questo tipo di finanziamento discriminatorio nei confronti delle istituzioni non religiose, ma la pressione dei partiti ultraortodossi nella coalizione di governo ha fatto si che esso riapparisse nella legge finanziaria.
Si tratta solo dell’ultimo esempio di come gli haredi abbiano acquistato peso nel dibattito politico oltre che nel contesto sociale israeliano. Marginale agli albori dello stato, la comunità ultraortodossa, in tutte le sue “declinazioni”, ammonta oggi a quasi il dieci per cento della popolazione. Si tratta di un vero e proprio mondo parallelo, che vive anteponendo la Torah alle leggi dello stato, che pratica la segregazione di genere e un codice vestimentario che riproduce quello degli ebrei dell’Europa centrale nel XVIII secolo.
Televisione e giornali sono spesso banditi, per non parlare di internet, e le notizie importanti per la comunità diffuse attraverso manifesti murali.
Pochi sanno, per esempio, che in Israele circolano attualmente 63 linee di autobus “mehadrin” in cui gli uomini siedono davanti e le donne sono obbligate a prendere posto sul retro. Code separate per uomini e donne anche alle casse di alcuni supermercati dei quartieri ultraortodossi, fino ad arrivare alla barriera che, a Gerusalemme, durante le festività di Sukkot, separa i due sessi nelle strade principali del quartiere di Mea She’arim. Interi quartieri della capitale sono chiusi al traffico durante lo Shabbat per assicurare l’osservanza del divieto religioso di guidare.
Proprio il quartiere gerosolimitano di Mea She’arim è considerato la roccaforte degli ultraortodossi, dominato dal movimento estremista Eda Haredit, e scena di veri e propri episodi di guerriglia urbana quando si tratta di protestare contro l’apertura di un parcheggio durante lo Shabbat, di impedire l’arresto di membri della comunità o protestare per episodi di “immodesty”.
Nella cittadina di Safed, particolarmente cara agli ultraortodossi, il rabbino Shmuel Eliyahu ha recentemente emesso un psak din (decisione in base alla legge religiosa ebraica) che invita a non affittare appartamenti agli arabi. Vi sono poi gli insediamenti ultraortodossi nella Cisgiordania, come la piccola comunità di Ytzhar, vicino a Nablus, i cui due rabbini oltranzisti sono gli autori del controverso testo Torat Hamelech, un commento alla Torah accusato di istigare al razzismo. O il più popolato Emmanuel, assurto agli onori della cronaca per la sua scuola che separava le bambine askenazite da quelle Sefardite. Fino alla cittadina ultraortodossa di Beitar Illit, 35.000 abitanti, dove è nata l’idea dei bus “puri”.
Il 56 per cento degli Haredi vive sotto la soglia di povertà. La popolazione ultraortodossa è infatti quasi totalmente esclusa dal mercato del lavoro (gli haredi si dedicano prevalentemente allo studio dei testi sacri e le loro scuole hanno un curriculum sui generis) ed è estremamente prolifica. Per alcuni analisti una vera bomba demografica che rischia di trasformare profondamente la società israeliana negli anni a venire. Le statistiche dello State of the Nation Report del centro di ricerca Taub sono esplicite al riguardo: negli ultimi trent’anni il tasso di disoccupazione tra gli uomini della comunità ultraortodossa è più che triplicato, passando dal 21 per cento del 1979 al 65 per cento del 2008.
Ma le cifre più significative riguardano il sistema scolastico dove, alle elementari, la frequenza delle scuole del settore ultraortodosso è aumentata del 51 per cento nell’ultimo decennio, contro un declino del tre per cento delle scuole statali e una crescita solo dell’otto per cento nelle scuole statali-religiose. Attualmente il venti per cento degli alunni delle elementari israeliani frequenta una istituzione haredi. Alla base di queste cifre vi è essenzialmente il trend demografico, con la popolazione ultraortodossa che cresce a ritmi serrati (una media di 8,8 figli a famiglia). E sulla base di questo trend le proiezioni delineano una società in cui aumenta il peso di un settore economicamente parassitario, privo del tipo di formazione necessario in una società moderna.
Un peso alla lunga insostenibile per il sistema di welfare israeliano. A ciò si aggiunge un altro elemento di tensione: l’esenzione della comunità ultraortodossa dal servizio militare, normalmente obbligatorio per i ragazzi e le ragazze israeliani. Questa eccezione è stata garantita dal primo ministro Ben Gurion nel 1948 e riguardava all’epoca circa 400 studenti delle yeshiva.
Oggi il numero di questi studenti è salito a 60.000.
Il governo israeliano tenta da anni di integrare gli haredi nel mercato del lavoro e nell’esercito, adattando ambienti di lavoro e di studio al particolare stile di vita ultraortodosso ma anche tentando di imporre nei curricula scolastici delle scuole ultraortodosse delle materie obbligatorie quali la matematica, le scienze e l’inglese.
Le resistenze sono però forti dato che, parallelamente al suo crescere in seno alla società israeliana, la comunità ultraortodossa ha acquistato un innegabile peso politico. In primo luogo grazie al potere dei suoi partiti di riferimento, Shas, the Jewish Home e United Torah Judaism che fanno parte della coalizione governativa e agiscono attivamente per difendere gli interessi degli haredi e per diffondere stili di vita conformi alla loro interpretazione della Halacha. Lo stato di indigenza della popolazione ultraortodossa la rende dipendente dai leader della comunità e dalla loro capacità di far passare sovvenzioni statali e esenzioni a loro favore, fornendo un consistente bacino elettorale a questi gruppi politici.
I partiti ultraortodossi hanno un potere negoziale importante e saranno decisivi per la questione dell’eventuale rinnovo del congelamento degli insediamenti. Ma il vero potere dell’establishment ultraortodosso sta nella sua capacità di influenzare le nomine delle corti rabbiniche. Infatti, altra concessione di Ben Gurion ai “guardiani dell’ebraismo”, il sistema giuridico di Israele, malgrado la sua origine secolare, fin dalla nascita dello stato, ha affidato alle corti rabbiniche la gestione di una parte del diritto di famiglia. La legge religiosa ebraica regola molti degli atti giuridici attinenti alla sfera familiare, in particolar modo quelli riguardanti i matrimoni e i divorzi. Così si può arrivare al paradosso di cittadini israeliani che non possono sposarsi in Israele perché la corte competente non li considera “abbastanza” ebrei o non riconosce la conversione effettuata da ministri di correnti più liberali dell’ebraismo. Una situazione che esclude interi settori della popolazione (gli immigrati russi, ma anche molti ebrei di origine americana) dal godimento di alcuni diritti essenziali.. E che alimenta la preoccupazione, nei settori più liberali della società, di una strisciante presa di potere degli ultraortodossi sulla definizione dell’identità ebraica in Israele.
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/122734/lipoteca_degli_ultraortodossi_su_israele