Gianluca Mercuri
Otto Skorzeny, l’agente scelto di Hitler per le missioni più spericolate (nonché l’uomo che liberò Mussolini dalla prigionia del Gran Sasso) divenne, dopo la guerra, un agente del Mossad. E compì, per Israele, una missione segreta e decisiva
C’erano due tipi di nazisti, nei tredici anni di Terzo Reich e durante la guerra: i volenterosi carnefici del regime — la massa enorme di burocrati che mandavano avanti la macchina totalitaria con la diligente apposizione di firme e timbri, la meccanica applicazione degli ordini e la robotica efficienza degli apparati — e i professionisti dello sterminio e delle operazioni speciali. Questa seconda categoria, dopo la guerra, si differenziò in alcuni sottogruppi le cui vicende hanno continuato a segnare la storia ovunque: nella contrapposizione tra blocchi, nei conflitti mediorentali, nell’evoluzione a destra del Sudamerica.
Questa massa di nazisti vip sopravvissuti alle punizioni postbelliche si divise a seconda delle inclinazioni ideologiche prevalenti o della tendenza al pragmatismo. Alcuni abbandonarono la lotta al comunismo ma conservarono l’attitudine antidemocratica e antisemita, e fu in questo gruppo che pescarono i sovietici. Altri, tra i quali l’anticomunismo prevaleva sui sentimenti antidemocratici e antisemiti, si arruolarono invece con gli americani. Altri ancora mantennero l’odio antiebraico come ossessione principale, e si schierarono con la parte di mondo che si ribellava al colonialismo dei vecchi nemici della Germania, e in particolare col mondo arabo che aveva appena avviato il conflitto con Israele.
Di loro si occupa uno storico israeliano di 41 anni, Danny Orbach (ci sono tantissimi storici israeliani bravi che è ora di scoprire anche in Italia, anziché ricorrere pigramente all’abusato sicuro di Benny Morris), nel libro Fugitives: A History of Nazi Mercenaries during the Cold War, uscito l’anno scorso per Pegasus Books, e appena pubblicato nella traduzione in ebraico. Orbach — che un paio di anni fa si è visto recapitare a casa un pacco del Mossad con i file desecretati che cercava da anni e che sono diventati la spina dorsale del suo libro: già questa è una storia avvincente — si sofferma però soprattutto su un gruppo particolare. Ovvero quelli, ha raccontato a Haaretz, che continuavano a «odiare tutti» e, nella loro apparente neutralità, «istigavano le parti coinvolte nella Guerra Fredda — americani, tedeschi, russi, arabi, persino israeliani — con l’obiettivo di arricchirsi il più possibile senza impegnarsi in nessuna di esse». Tedeschi fuggitivi descritti ora come avidi avventurieri, ora come truffatori professionisti: una flessibilità ideologica, riassume il giornale israeliano, che «spiega la presenza di mercenari nazisti in ogni angolo dell’arena globale in cui le superpotenze si sono affrontate negli anni ’50 e ‘60».
Nel libro ci sono naturalmente i nazisti ossessionati dagli ebrei e intenzionati a proseguire la guerra contro di loro sotto altre bandiere: tra loro spicca la figura di Alois Brunner, che negli anni ‘50 si installò a Damasco ed entrò nei servizi segreti siriani. «Come aiutante principale di Eichmann — racconta Orbach — fu responsabile di molteplici crimini genocidiari. Risolveva i problemi che sorgevano durante le deportazioni ed era responsabile di un apparato sistematico di caccia alle persone, di saccheggio e di trasporto verso i campi». Era talmente fanatico da voler convincere i siriani a tentare un blitz per liberare Eichmann prima del processo di Gerusalemme. Gli israeliani provarono per decenni ad ammazzarlo con i pacchi bomba: il primo fu spedito, nel 1961, dall’agente Yitzhak Shamir, il futuro primo ministro, e l’esplosione lasciò Brunner cieco all’occhio destro e semi-paralizzato al braccio sinistro. Diciannove anni dopo, nel 1980, un’altra busta esplosiva lo ustionò gravemente e gli fece perdere diverse dita. Il Mossad non riuscì ad assassinarlo, ma Brunner cadde in disgrazia e fece una brutta fine, in una minuscola cella siriana senza luce, dove morì nel 2001. Il suo file è nel palazzo di Assad e Orbach darebbe chissà cosa per averlo in mano.
Ancora più interessanti sono però i racconti dei nazisti arruolati dal Mossad, un apparente testacoda storico ed etico che non tradisce l’Olocausto ma ne applica la tragica lezione, secondo cui i peggiori nemici degli ebrei sono gli ultimi. Il caso più controverso è quello di Walter Rauff, un criminale di guerra tedesco del tipo peggiore. Fu tra gli inventori dei furgoni a gas in cui morirono centinaia di migliaia di ebrei, e perfino tra gli incaricati di creare un’unità — poi abortita — che doveva annientare gli ebrei anche in Palestina. In ogni missione — Tunisia, Grecia e Italia — ebbe come obiettivi partigiani ed ebrei. Dopo la guerra fuggì anche lui in Siria, al servizio di Husni Za’im, il militare che guidò la prima guerra contro Israele e che subito dopo prese il potere con un golpe.
Fu Rauff, in pochi mesi, a dare ai servizi segreti siriani l’impronta della Gestapo che mantengono tuttora, e fu lui a progettare personalmente «dispositivi di tortura per interrogare e terrorizzare gli ebrei siriani», scrive Orbach. Ma nel 1949, il controgolpe che eliminò Za’im lo costrinse a scappare. Fu nella tappa italiana della fuga che incontrò gli israeliani.
Si può immaginare il sangue freddo degli agenti del Mossad che, sapendo perfettamente chi fosse quell’uomo, portarono a termine la missione di arruolarlo. Lui accettò sia perché l’alternativa era la morte sia per vendicarsi dei siriani che l’avevano cacciato. Per due anni, diede prima — da Roma — informazioni dettagliate sulla situazione in Siria, e poi accettò di diventare un agente israeliano in Egitto, finché nel 1951 decise di trasferirsi in Ecuador.
A gestirlo in quel periodo fu Shalhevet Freier, un funzionario del ministero degli Esteri che è nella storia di Israele perché fu poi tra i promotori del suo programma nucleare. All’inizio fu una sua iniziativa autonoma, ma quando ne informò il quartier generale di Tel Aviv scoprì che non c’erano remore riguardo all’arruolamento di nazisti. Che comunque non avevano la garanzia di sfuggire un giorno alla vendetta. Nel 1980, una squadra del Mossad andò in Cile, dove si era stabilito Rauff, per regolare i conti. Il nazista riuscì a salvarsi ma morì un anno dopo di cancro.
Chi sfuggì al paradosso letale di essere sia un agente del Mossad sia nella sua lista di obiettivi fu un nome che è entrato — dalla parte sbagliata — nella parte più affascinante della storia: la leggenda. La figura di Otto Skorzeny è scolpita nella vicenda italiana come una maledizione: se l’ufficiale delle Waffen-SS non fosse riuscito a liberare Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso, nel settembre 1943, forse non avremmo avuto Salò. D’altronde, era l’agente scelto di Hitler per le missioni più spericolate: un anno dopo, nel settembre del ‘44, rapì il figlio del reggente ungherese, l’ammiraglio Miklós Horthy, che stava per concludere una pace separata con i sovietici e per salvarlo accettò di cedere il potere alle Croci Frecciate. Non è un caso, insomma, se Skorzeny fu definito per anni dai servizi americani e inglesi «l’uomo più pericoloso d’Europa», data la sua capacità di sopravvivere a tutto: i processi postbellici — in cui fu misteriosamente perseguito solo per l’uso di uniformi nemiche — come l’inevitabile caccia degli israeliani. Caccia dal doppio risvolto.
Che Skorzeny fu un agente assai operativo del Mossad, è stato rivelato sette anni fa dai giornalisti Dan Raviv e Yossi Melman in un articolo sul giornale The Forward, ma le loro fonti restarono anonime. Ora Orbach, nei suoi documenti, ha ricevuto la conferma ufficiale dell’intelligence israeliana.
Dopo la guerra Skorzeny fu per anni trafficante d’armi e mercenario «costantemente alla ricerca di avventure per superare la noia», scrive lo storico. Aiutò sia i siriani, reclutando consiglieri militari, sia gli egiziani, facendo affari con consulenti tedeschi del programma missilistico del Cairo. Per questo il Mossad oscillò a lungo tra l’ammazzarlo e l’arruolarlo: stava da sempre coi nemici ma era una delle migliori spie del mondo e sapeva tantissime cose. Non a caso, a farlo cadere nella rete, nel 1962, fu Rafi Meidan, ex comandante dell’Amal, l’unità di caccia ai nazisti del servizio segreto israeliano. A Madrid, dove l’ex ufficiale viennese si era stabilito, Meidan si tolse lo sfizio di diventare amante di sua moglie Ilse: fu lei a presentarlo al marito, col quale, svela il rapporto del Mossad, aveva una «relazione aperta»,. Skorzeny fu poi «assunto» da Avraham Ahituv, futuro direttore dello Shin Bet. Una volta capito che gli israeliani non volevano eliminarlo, l’ex SS chiese loro una polizza sulla vita definitiva: essere cancellato dalla lista di ricercati del cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal. Gli israeliani fecero finta di accontentarlo, ma è un dato di fatto che Skorzeny morì di cancro nella capitale spagnola, nel 1975.
Prima però, per Israele, fece qualcosa di clamoroso. Come spesso gli capitava era settembre, stavolta 1962, 19 anni dopo il blitz sul Gran Sasso. Heinz Krug, uno scienziato tedesco che lavorava a Monaco di Baviera, era stato vent’anni prima tra gli inventori dei missili che avevano quasi messo in ginocchio l’Inghilterra. Ora era pagato dagli egiziani per rendere lo stesso servizio a Israele, e per questo era finito in cima alla lista del Mossad. Lui lo sapeva, si sentiva in pericolo, ma non pensava che il pericolo potesse arrivare da Skorzeny quando andò a incontrarlo. Era stato lui stesso a chiederglielo, convinto che quell’uomo leggendario avrebbe protetto lui e altri scienziati tedeschi nella sua situazione.
Skorzeny salì sulla Mercedes bianca di Krug e gli disse di andare nella foresta per parlare in modo riservato. La macchina che li seguiva, lo assicurò, aveva a bordo tre sue guardie del corpo. Arrivati nella foresta, Otto Skorzeny uccise Heinz Krug e i tre agenti israeliani che lo accompagnavano sciolsero il suo corpo nell’acido per impedire ai cani di trovarlo.
Alla fine, fu l’atto di guerra perfetto: difensivo ma pure punitivo, e fatto compiere da un nemico.
Le vie del Mossad sono infinite ed è la spiegazione del suo fascino, terribile e inesorabile.