I ribelli: «I carri armati di Gheddafi sono costruiti in Israele». E «Iehud» è l’offesa che si fa a Gheddafi
Lorenzo Cremonesi
La Nato sbaglia obbiettivi e colpisce le camionette del rivoluzionari? Niente paura, loro hanno una spiegazione. «Sono piloti ebrei. Il Mossad aiuta Gheddafi», affermano quasi fosse un fatto assodato, indiscutibile. Come del resto è evidente che Gheddafi sia figlio di una donna ebrea e per giunta prostituta, elemento questo che in se stesso spiegherebbe la sua perfidia, il suo desiderio di derubare il popolo libico, la sua doppiezza. I più fantasiosi aggiungono che il padre sarebbe stato un «fascista italiano».
Sulla linea del fronte tra la cittadina petrolifera di Brega e quella sul nodo stradale di Ajdabya quando le bombe nemiche cadono più fitte e il rischio di una nuova ritirata si fa imminente, i soldatini in erba giustificano la superiorità avversaria dicendosi a vicenda che «i carri armati di Gheddafi sono costruiti in Israele, persino le tavolette di cioccolato dei suoi carristi vengono da Tel Aviv». Ma non si scoraggiano. «Dopo Brega, Sirte e Tripoli libereremo Gaza e Gerusalemme», sostenevano venerdì tra i gipponi fermi ai lati della strada, una decina di chilometri dalle pattuglie avanzate di Gheddafi.
ANITSEMITISMO SENZA EBREI – Curioso questo antisemitismo senza ebrei. Gli slogan della rivoluzione libica ne sono uno specchio fedele. Sui muri di Bengasi la parola “Iehud”, ebreo in arabo, si spreca. I bambini disegnano dovunque la matematica del disprezzo: stella di Davide più croce uncinata uguale Gheddafi. Oppure una sola, grande stella, con nel cuore marcata di odio la parola “Mohammar”. Al Cairo l’immagine di Mubarak era stata distorta con corna e denti aguzzi in quella di diavolo sovrastato dall’immancabile “Iehud”. Qui lo stesso avviene con quella del Colonnello. Troneggia nella vie del centro di Bengasi, di fronte alle vecchie basi militari, sui muraglioni attorno al porto, soprattutto nei corridoi del tribunale, diventato uno delle sedi del governo rivoluzionario temporaneo. E’ talmente diffusa che occorre uno sforzo di concentrazione per farci caso. “Iehud” sta sugli edifici-simbolo più odiati della dittatura: la sede della polizia, le celle dove si torturava, le ville di Gheddafi, le abitazioni dei suoi fedelissimi. Nelle librerie “Mein Kampf” resta il testo più diffuso. Ma sin qui nulla di nuovo. E’ dall’epoca di Nasser che il libello hitleriano accompagna nel mondo arabo la vulgata composta da antisionismo laico, pregiudizio razziale e odio religioso.
LA CONVIVENZA – Da molti decenni ormai l’antica tradizione di convivenza tollerante tra ebraismo sefardita e civiltà islamica ha cessato di esistere in Medio Oriente. La novità è che il tradizionale atteggiamento anti-sionista, in voga sin dagli anni Trenta ed esploso dopo il 1948, resta invariato anche tra i ranghi della rivolta che chiede libertà, democrazia e guarda ai modelli di vita occidentali come obiettivi da raggiungere. «E’ tutta colpa della propaganda anti-isrealiana che è stata martellante durante i 42 anni della dittatura», minimizzano all’università di Bengasi. In realtà il fenomeno appare fortemente radicato nella cultura e nei modi di pensare del Paese. Molto più profondo degli slogan di Gheddafi. Vi si trova un misto di pregiudizio religioso anti-giudaico e odio per Israele che proprio la nuova libertà imperante nelle regioni della rivoluzione fa proliferare ulteriormente. «E’ il Mossad che con la Cia detta gli equilibri del Medio Oriente. Lo stesso Gheddafi venne sostenuto da loro ai tempi del golpe contro re Idris nel 1969», afferma sicuro tra i tanti e in perfetto italiano Sadik al Ghallal, noto commerciante locale i cui figli hanno ruoli dirigenziali nel nuovo governo a Bengasi. Curioso, perché la pur antichissima comunità ebraica libica (se ne trovano le prime tracce tra le Pentapolis nella Cirenaica del terzo secolo Avanti Cristo) iniziò a lasciare il Paese appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tra il 1948 e il 1951, circa 31.000 ebrei libici immigrarono in Israele sotto la minaccia dei pogrom. Appena dopo la guerra del 1967 ne partirono altri 7.000, con l’assenso di re Idris e la collaborazione della marina militare italiana. Due anni dopo, appena salito al potere Gheddafi ordinò la confisca dei beni ebraici. Nel 1974 solo 20 ebrei erano segnalati a Tripoli. Dal 2003 sembra non se sia rimasto neppure uno.
http://www.corriere.it/esteri/11_aprile_09/libia_antisemitismo_cremonesi_3a99f8ba-629d-11e0-9ac7-6bfe8e040bf1.shtml?fr=box_primopiano