Sherif El Sebaie
Carissimi fratelli,
Alcuni giorni fa, ho visitato la storica sinagoga di Torino, nell’ambito della Giornata Mondiale della Cultura Ebraica. E sull’onda di questa visita ospitale e coinvolgente, mi permetto di rivolgermi a voi come fratelli, perché sono fermamente convinto che lo siate. Lo faccio anche perché solo i membri della vostra comunità, specie le vittime e i sopravissuti alla barbarie nazi-fascista, i loro figli e i loro nipoti, saranno in grado di recepire il mio stato d’animo in questo momento, la mia paura e la mia preoccupazione come musulmano, sentimenti che – agli occhi di altri – specie i cittadini di questo bellissimo paese, tra cui anche voi, potrebbero apparire esagerati e persino offensivi.
La mia intenzione non è questa: io non temo il paese che mi ospita né i suoi abitanti, temo solo quella minoranza rumorosa che rischia di diventare maggioranza, se lasciata prosperare indisturbata, ammesso che non lo sia di già. Io so, io sento che la comunità ebraica e quella islamica sono accomunate dalle tragedie della vita, e che – in quanto tali – debbano allearsi e sostenersi vicendevolmente nei periodi bui della storia, e solo Dio sa se quello che stiamo vivendo ora non lo sia. Un concetto di solidarietà, questo, che Moni Ovadia sintetizzò brillantemente in una breve metafora pubblicata sul suo “Contro l’Idolatria”: il racconto di una madre palestinese che si reca, in nome di una supposta parentela, da un israeliano per chiedergli di aiutarla a far rilasciare il proprio figlio. Parentela prima negata ma che il protagonista, ebreo – incamminandosi con la palestinese verso la prigione – svelerà all’amico, tutto sconvolto: “Un giorno suo padre uccise il mio”. Sono consapevole di quanto le premesse del dialogo fra le nostre comunità siano pregiudicate dal conflitto decennale che si consuma in Terra Santa. Ma è proprio per questo che mi rivolgo a voi, confidando in una vostra analoga capacità di superare decenni di ostilità, per guardare assieme ad un futuro più giusto.
Cari fratelli, dall’11 settembre del 2001, la minoranza islamica in Europa è sottoposta ad uno stillicidio quotidiano di accuse mediatiche generalizzanti, simile a quello che ha subito la vostra comunità durante la seconda guerra mondiale, ma questa volta a causa di una minoranza fondamentalista, interna alla società islamica, che compie purtroppo in nome del credo musulmano, attentati nei confronti dei civili in tutto il mondo – paesi arabi inclusi -, che non riconosce ai musulmani o ai non musulmani la facoltà di poter vivere senza essere soffocati da una versione integralista e distorta della Sharia e ancor meno il diritto all’esistenza di Israele. In Italia queste manifestazioni di razzismo, di discriminazione su base puramente religiosa ed etnica, hanno avuto come maggiori esponenti individui che si sono accattivati la simpatia delle comunità ebraiche con l’ostentazione acritica di solidarietà ad Eretz Israel e al suo governo. Oriana Fallaci, tanto per incominciare, l’anziana scrittrice fiorentina residente a New York, e una schiera di giornalisti più o meno autorevoli sui quotidiani diffusi in tutta Italia. Dal punto di vista politico, capisco quanto sia importante, per la sopravvivenza di Israele, rivolgersi all’Europa, cercare rifugio nelle dichiarazioni politiche decise e negli editoriali tranquillizzanti dell’ Occidente. Capisco anche quanto sia conveniente, in questo momento storico, ritenere che il “nemico del mio nemico è mio amico”, anche se Israele è immerso in un mare di milioni e milioni di arabi, che dovrebbero essere i suoi alleati più immediati e naturali. Ma questi signori che in Occidente si sbracciano, si affannano, si sgolano per Israele, sono davvero filo-ebrei? Questa è la domanda che pongo agli ebrei residenti in Italia, in Europa e nel mondo occidentale.
Ritenete che una scrittrice come la sig.a Oriana Fallaci, che nel suo articolo “Il nemico che trattiamo da amico”, quella che imbarbarisce il Dio del “buon Abramo” e cioè quello dei musulmani – nostro ma che è anche vostro – il Dio di tutti gli esseri umani, dicendo che “per ubbidire stava per sgozzare il suo bambino come un agnello”, mettendolo su un piano inferiore rispetto al “Dio padre, il Dio buono, il Dio affettuoso che predica l’amore e il perdono” del Cristianesimo, sia la persona più adatta per dirsi indignata dell’antisemitismo dilagante in Europa? Sinceramente, non può che venirmi in mente un’altra citazione di Ovadia: “Il Dio di Abramo, il Patriarca che fonda l’Essere umano libero, santo, universale, fratello di ogni essere, è trascinato nel fango della peggiore idolatria nel modo più subdolo e sinistro”. Non vi sembra che la sig.a Fallaci abbia volutamente e implicitamente accusato anche gli ebrei di adorare un Dio infanticida? Non ritenete che un giorno questa frase possa essere quantomeno interpretata in quest’ottica da un movimento neonazista che ora milita contro i musulmani ma che un giorno, prima o poi, si rivolgerà di nuovo verso i nemici di sempre, e cioè la comunità ebraica che ancora oggi sente la Shoah come una ferita viva? Ritenete davvero che un individuo come Gaetano Saya, fondatore della polizia parallela DSSA in Italia e di un movimento che si dichiarava – come lui, d’altronde – “fascista, puro, duro e conservatore”, un signore che, una volta arrestato, è venuto fuori che custodiva la foto di Goering in alta uniforme, uno dei peggiori criminali nazisti, uno che si è imbrattato le mani con il sangue di milioni di ebrei, vicino alla bottiglia di Cynar nella propria casa, lo ritenete davvero la persona più degna per distribuire circolari in cui denuncia l’antisemitismo, gli episodi antiebraici e che si indigna addirittura per la profanazione delle tombe ebraiche? Ritenete davvero che simili figure siano quelle più adatte per difendere l’immagine e il buon nome di Eretz Israel, la sopravvivenza e i diritti degli ebrei che vivono in Occidente? Fratelli e amici, in realtà queste sono figure che dimostrano che non basta andare a Gerusalemme con la Kippà ad irrorare con lacrime di coccodrillo un albero sacro e indegno di loro, per soffocare nelle sue radici un odio mai sopito.
Mi rifiuto di credere che le comunità ebraiche in Italia e in Europa abbiano dimenticato gli sputi mentre venivano cacciati dalle proprie case, che abbiano dimenticato i treni da deportazione, il famigerato cancello di Auschwitz, il numero tatuato sul braccio, le camere a gas. Che siano inconsapevoli del mostro antiebraico che ora è accontentato e distratto dal gingillo dell’odio antislamico. E sono sicuro che non avete dimenticato tutto questo perché ogni anno il mondo celebra la Giornata dalla Memoria, giornata indetta affinché nessuno si scordi quanto è successo e nessuno osi pensarci di nuovo. Ma la memoria, ci insegna l’Ebraismo, è ciclica e perpetua ed oggi la storia non fa che ripetersi. Nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al suo popolo: “Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno….”. “Una memoria attiva, scrive Roberto della Rocca, come ci ha insegnato Primo Levi, che significa per ognuno, e non solo per l’ebreo, assumere i crimini della storia come male fatto a ciascuno di noi, appartenenti tutti alla grande famiglia dell’umanità”. I “fantasmi del passato”, la vergognosa propaganda nazifascista che dipingeva ebrei barbuti, con il cappellino in testa e il naso adunco, bramosi di conquistare il mondo, fratelli miei, è tornata – seppur sotto un’altra veste, tra un reality show e la pubblicità di una carta igienica – nei confronti dei musulmani. Ma, come avete avuto modo di constatare voi stessi, anche nei vostri confronti. Forse è troppo chiedervi di esserci vicini?
Sono fermamente convinto che il clima odierno sia identico, in tutto e per tutto, a quello creatosi durante la II guerra mondiale. I perfidi musulmani, descritti dai media, quelli che si dissimulano e complottano, che non vogliono integrarsi bensì mantenere la propria specificità e conquistare il mondo, sono i degni eredi dei milioni di ebrei trucidati mediaticamente dai ministeri di Goebbels e Preziosi, prima ancora della Shoah. Oggi – e spero che ve ne siate accorti – i media, i giornalisti e i politici usano un linguaggio identico a quello della propaganda nazista: basta sostituire alla parola “razza” quella di “cultura” e a “ebrei” quella di “musulmani” e il risultato è a dir poco sconvolgente. Ma anche premonitore. Dopo la fase della propaganda si arriva sempre a quella delle leggi speciali: domani i musulmani, come voi in passato, potrebbero essere esclusi dalle scuole o dagli uffici pubblici, se non addirittura dai mezzi di trasporto, in nome della “sicurezza”. E se staremo zitti, noi e voi, dopodomani passeranno alle deportazioni, e chissà, forse quella minoranza criminale tenterà di portare a termine ciò che non è riuscita a concludere negli anni 40. Magari non si arriverà alla Shoah vera e propria, con tanto di camere a gas, ma do’ comunque per scontato che si verifichino pogrom estesi e che questi rimangano impuniti e vengano persino incoraggiati. I frequentissimi roghi dei dormitori degli immigrati in Francia e Germania, di cui abbiamo avuto già un precedente in Italia con l’eurodeputato leghista Borghezio e un’aperta incitazione nei libri della Fallaci (la quale ha affermato di aver voluto appiccare il fuoco alla tenda dei somali di Firenze, ndr) sono un chiaro indice del punto d’arrivo che questi individui si sono prefissati. Solo il sangue e le grida atterrite dei musulmani, come quelle degli ebrei in passato, li appagheranno.
Lo scenario che dipingo probabilmente suonerà come una grave allucinazione ad alcuni di voi. La stessa prospettiva suonava esattamente tale anche ai vostri correligionari tedeschi, viennesi, polacchi e italiani nei primi anni del Nazismo, quando Hitler garantiva ancora nei suoi discorsi “libertà di culto” e Mussolini dichiarava formalmente “che il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita”. In quegli anni, i pochi ebrei che intuivano il pensiero di Hitler, che avevano visto i teppisti in camicia bruna girare per le strade, e assistito alle prime offese e sputi, avevano subito percepito che era in atto qualcosa di grave, che si prospettavano tempi ancora più bui e difficili, ma venivano zittiti se non addirittura derisi dai loro stessi correligionari, così come gli unici cinque accademici ebrei a rifiutare il giuramento di fedeltà al Fascismo furono derisi e biasimati dal centinaio e più che vi aderirono, prima di essere sbattuti fuori, a loro volta, dalle università con le leggi razziali. Molti di loro pensavano che fosse ancora possibile ricavarsi una nicchia e vivere in tranquillità, nell’anonimato, anche con le leggi razziali di Norimberga del 1935. Ancora nel 1938, e perfino dopo la Kristallnacht (di cui abbiamo avuto un precedente attuale in Italia nella provincia di Varese ad opera di estremisti di destra, con tanto di pestaggi di innocenti, vetrine rotte e scritte sui muri), nessuno di loro poteva immaginare cosa sarebbe successo negli anni successivi. “Non potevamo immaginare” è la risposta che molti superstiti danno agli storici e cronisti moderni per giustificare la propria inazione, la mancata resistenza, il ritardo nei piani di salvezza. “Non potevamo immaginare” è la risposta che davano i tedeschi portati dai militari americani per vedere con i propri occhi le fosse comuni dei lager. “Non sapevamo nemmeno che stesse succedendo una cosa simile” affermarono molti di loro. Di fatti, nessuno comprese la portata della tragedia se non dopo la fine della guerra. “Non potevamo immaginare” è la risposta che gli anziani sopravvissuti della vostra comunità, con il numero tatuato sul braccio, danno ai loro nipoti quando chiedono loro perché non si sono mossi, perché non hanno alzato la voce, perché non hanno denunciato al mondo intero il massacro in corso.
Oggi, però, noi questo lo possiamo immaginare eccome, perché abbiamo un precedente: il vostro. E quale precedente! Saremmo stolti se non lo facessimo, pensando che ciò che è successo negli anni 30-40 sia oggi, in questo paese, in queste condizioni di “civiltà, democrazia e libertà”, paragonabili alla Repubblica di Weimar, un’ipotesi improbabile e impossibile. Ancora più stupidi se non lo facessimo mentre abbiamo davanti agli occhi Tv e giornali che strombazzano dei musulmani che “stanno comprando i nostri quartieri, che occupano le nostre città, che praticano l’arte della dissimulazione”, davanti ai manifesti della Lega che dipingono i musulmani con i tratti caricaturali dell’ebreo di vecchia memoria nazista, davanti ai libelli della Fallaci che spiega quanto perfida è la religione degli islamici che già in passato spegnevano i ceri con le teste dei neonati cristiani. Primo Levi scriveva, ne “I sommersi e i salvati” che parlare della Shoah “Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. (…) È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”. Amos Luzzatto, capo della Comunità Ebraiche in Italia, alla domanda “Secondo Lei ci sono pericoli effettivi di un ritorno di questa ombra del passato?” rispose, con grandissima onestà – e sarebbe auspicabile che tutti i fratelli ebrei facessero altrettanto – “Cosa volete che Vi dica? L’unica cosa che posso dirVi è che in questo momento, nell’occhio del ciclone non ci sono particolarmente gli ebrei. Ma questo non vuol dire. Il razzismo o c’è o non c’è. Quando c’è, è un pericolo per tutti, per tutte le minoranze. Oggi, sono colpiti in Europa da razzismo, soprattutto extracomunitari, musulmani, popolazioni che arrivano profughe da lontano, i cosiddetti clandestini, che saranno anche clandestini, ma sono per prima cosa dei poveri infelici. Oggi sono questi. La cosa non mi consola affatto. Anzi, se lo pensassi: “Mi consola”, mi vergognerei di dirVelo, ecco.” Concetto ripreso anche da Gad Lerner nella sua indignata ed accorata risposta alle affermazioni del Presidente del Senato italiano sul meticciato.
Davanti alla prospettiva di una nuova Shoah – tutt’altro che lontana, anche se diversa nelle modalità – i musulmani hanno un imperativo morale, ed è quello di difendersi ricorrendo alla Legge, fin quando questa funziona. Era il 19 ottobre del 2004 quando scrissi l’articolo intitolato “Le nuove frontiere dell’antisemitismo”. Il titolo riprendeva una mia proposta, contenuta nel testo stesso, ovvero quella “di estendere le frontiere della persecuzione legale di crimini o offese antisemite, nell’immaginario comune e soprattutto nelle aule dei tribunali, alla fiorente industria letteraria o alla sua trasmissione orale che qualifica gli arabi con i peggiori epiteti e luoghi comuni”. Questa idea, subito recepita e apprezzata da molti cittadini di questo paese, e che necessita anche della vostra collaborazione, è ovviamente finita nel mirino dei quotidiani dell’Odio e dei giornalisti dell’Odio, a cominciare da La Padania, Libero, L’Opinione. Certo, alcuni di loro esibiscono orgogliosamente sui propri siti la bandiera di Eretz Israel, ma chi ci garantisce che domani non faranno con il Talmud e l’Ebraismo ciò che oggi fanno con il Corano e l’Islam, estrapolando versi, manipolando eventi e muovendo accuse in nome della “libertà d’espressione”, diventata la foglia di fico per ogni forma di razzismo e xenofobia? Cari fratelli… non sono solo i musulmani a dover agire come una squadra, né tantomeno voi, tornati oggi in scena con la rievocazione della “massoneria ebraica”. E’ tutta la società civile, degna di questo nome, ad avere il compito di denunciare l’odio dell’ uomo contro l’ Uomo, di avvertire del pericolo incombente, di fare in modo che la gente resista e che chi promuove l’odio abbia una vita difficile, molto difficile, e non la strada spianata. Questa era la convinzione di Primo Levi, espressa in “Se questo è un uomo”, quando scrisse «I savi antichi invece di ammonirci: “Ricordati che devi morire”, meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia. Se dall’interno dei lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: “Fate di non subire, nelle vostre case, ciò che a noi viene inflitto qui”». Questa lettera è un appello anche a voi, perché sinceramente sono indignato – e ve lo dico da fratello – del vostro assordante silenzio, della vostra mancata reazione, o meglio della reazione che arriva solo quando si scopre il ritorno del fantasma dei “banchieri giudei” e che invece passa sotto silenzio o quasi un articolo a firma della sedicente antropologa Ida Magli che afferma che i musulmani possiedono enormi ricchezze “con le quali comprano le nostre aziende, le nostre case, i nostri negozi, i nostri territori, le nostre banche, i nostri giornali” e una miriade di scritti e di dichiarazioni dello stesso tenore. E voi sapete benissimo che la Shoah è cominciata proprio cosi. Voi, Santo Cielo, che avete provato sulla vostra pelle cosa ha portato la propaganda dell’Odio, come potete stare zitti, come potete non proferire parola contro il linciaggio mediatico in atto e alcuni di voi addirittura parteciparvi? Forse gli interessi strategici e politici valgono più dell’onore e della sopravvivenza di chi, come me, non si riconosce nell’odio fanatico? Mi auguro che queste mie parole non cadano nel nulla. Vi scongiuro, almeno, di riflettere sulla vostra, nostra, responsabilità morale. Fate che non subiamo nelle nostre case, ciò che a voi è stato inflitto un giorno e che, probabilmente, una cricca di criminali vorrà infliggere a tutti noi un domani.
Sherif El Sebaie
September 19th, 2005
http://salamelik.blogspot.com/2005/09/lettera-aperta.html