Alfred Dreyfus diventa un eroe moderno. La Francia ha scoperto che dietro “l’affaire” c’è anche un uomo e lo celebra con tutti i mezzi disponibili – mostra, conferenze, pubblicazioni – ricordando che per lui si è levata la prima volta contro lo Stato la voce degli intellettuali in nome di una causa “giusta”. Il famoso “J’accuse” di Emile Zola sulla prima pagina de “l’Aurore” il 13 gennaio 1898 suonò come un grido di richiamo per gli intellettuali come Anatole France o Marcel Proust che si schierarono a favore del capitano Dreyfus, arrestato e condannato ingiustamente per alto tradimento quattro anni prima. Per 12 anni – tra il primo processo e la riabilitazione – la Francia fu divisa in due. E come la popolazione, anche la chiesa cattolica non si trovò d’accordo.
Mentre l’episcopato restava prudente, il vecchio papa Leone XIII prendeva le difese del capitano ebreo. La prima mobilitazione di intellettuali – che caratterizza ancora oggi la vita politica e civica in Francia – resterà “il simbolo della lotta contro la ragione di Stato e della vittoria della Giustizia”, per dirla con Max Gallo. Alfred Dreyfus diventa quindi un eroe e come tale viene fuori dalla mostra del museo d’Arte e Storia del Giudaismo di Parigi (fino al 1/o ottobre) che vuole rompere con l’immagine di vittima indifferente al proprio destino che di lui avevano dato Clemenceau o Blum. E che poi è quella dei più, perchè se tanto si sa e si è detto dell’affare, quasi mai ci si è fermati sull’uomo. Questo vuoto si sta via via riempiendo. Potrebbe definitivamente colmarsi con l’ingresso del capitano al Pantheon accanto ai grandi di Francia? La richiesta che ha visto in prima fila l’ex ministro della cultura Jack Lang, è ufficiale da maggio.
La mostra “Alfred Dreyfus: la lotta per la giustizia”, e la prima biografia di Vincent Duclert “Alfred Dreyfus: l’honneur d’un patriote” (Robert Laffont), sembrano spingere in questo senso. Al Museo del Giudaismo lettere, fotografie, pagine di giornali, caricature e un numero incredibile di documenti sono lì a mostrare che Alfred Dreyfus era un uomo colto e un militare brillante, tenace e degno, anche se riservato e silenzioso, di un eroismo senza ostentazione. E ricorda che, una volta reintegrato nell’esercito, Dreyfus è stato in tutte le lotte repubblicane e tutte le guerre, e che fece Verdun a quasi 60 anni. In ogni caso non c’è rischio di mancare una sola delle tappe del caso di antisemitismo più emblematico di Francia. Questo centenario è innaffiato di pubblicazioni, una quindicina tra dizionari, diari, biografie, saggi, che usciranno o riusciranno in libreria. Per non parlare degli articoli e dei dossier dei giornali che affluiscono già da mesi. Il 12 luglio 1906 la Corte di cassazione ammise pubblicamente l’errore commesso deportando il capitano all’isola del Diavolo, in Guyana, più di dieci anni prima.
Domani questa decisione storica sarà ricordata dalla stessa Corte con una conferenza che ripercorrerà le tappe dell’affare giudiziario alla presenza di storici e studiosi. Per non dimenticare che Alfred Dreyfus non fu solo vittima di un errore, ma di un complotto di stato. Per rivalutare il ruolo positivo della giustizia. Un tema che suona così drammaticamente attuale in una Francia che non riesce ancora a guardarsi in faccia dopo il grosso pasticcio giudiziario dell’affare di pedofilia di Outreau.
Avanti, 21/06/2006