Alisa Luzzatto – Tempio di via Eupili
La sidrà di Lech-lechà è ricca di spunti e avvenimenti, io ho scelto di indagare il Testo nei versetti che descrivono i complicati rapporti familiari nella famiglia di Avraham, in particolare il rapporto tra Sarai, moglie di Avram e Hagar, la sua schiava egiziana. Evidentemente non stiamo parlando solo delle normali vicende di una famiglia qualsiasi, una saga che descrive normali sentimenti umani che tutti conosciamo come la gelosia. C’è anche questo, ma soprattutto si parla di archetipi, della formazione di un popolo e dei suoi rapporti con gli altri popoli, delle scelte e del percorso di una famiglia che inizia una storia collettiva più ampia, che ci riguarda.
È interessante iniziare dai nomi dei protagonisti, che sono nomi simbolici: ci forniscono informazioni, non tanto sul carattere dei personaggi, quanto sul ruolo da loro giocato. Avram come sappiamo contiene nel suo nome l’idea di paternità, “av” e di grandezza; Sarai quella di nobiltà e di persona che governa; Hagar significa migrazione, è qualcuno che viene da un altro luogo, quindi alieno; però il nome comune che la definisce, shifchà, la schiava, ha la radice della parola mishpachà, famiglia, quindi qualcuno che è stato aggregato alla famiglia e le cui mansioni probabilmente si svolgono nell’ambito familiare.
Queste figure si muovono in un contesto che è definito subito nei primi versetti della Sidrà, cioè il progetto divino che viene enunciato e a cui Avram e Sarai aderiscono, per realizzare il quale iniziano il loro cammino. Secondo rav Steinsaltz nel suo libro sulle donne nella Torà, Avram e Sarai formano una squadra e agiscono sempre come squadra, così prendono le decisioni e così definiscono i loro reciproci ruoli, che sono su un livello di parità.
La sterilità di Sarai è un ostacolo alla piena realizzazione del progetto, che come sappiamo include la promessa della discendenza. Per questo, dopo molti anni di attesa, Sarai chiede ad Avram di unirsi alla sua schiava Hagar sperando di poter così mantenere il suo ruolo di partner in questo percorso comune. Al versetto 16:3 si legge tra l’altro “… Sarai moglie di Avram prese Hagar l’egiziana, sua schiava, e la diede a suo marito Avram come moglie”, quindi non una concubina, ma proprio una moglie, secondo il Nachmanide forse nel tentativo di acquisire meriti ed essere lei stessa degna di partorire, sempre secondo lui forse questo ci fa capire l’alto livello morale di Sarai e il rispetto che portava ad Avram.
Ma Hagar è subito gravida e cambia il suo atteggiamento verso Sarai, alla quale ora attribuisce meno importanza. Sarai riversa il suo sdegno su Avram, che forse, secondo Rashì, accusa di aver desiderato figli solo per sé e non averla inclusa nelle preghiere per la discendenza, forse a causa del silenzio e della passività di Avram teme di perdere quel ruolo di partner nella realizzazione del progetto divino.
Al versetto 16:6 Avram dice a sua moglie “La tua schiava è nelle tue mani, fa’ con lei ciò che è bene ai tuoi occhi”, cioè, nel senso piano del Testo, fa’ di lei quello che credi. Ma a me sembra che questa parola “Tov”, bene, abbia un peso, e ci faccia intendere che ci si augurava che non le fosse fatto del male. Anche perché, in base a quello che leggeremo più avanti, il rapporto tra Avraham e Hagar, e ancor di più poi con suo figlio Yishmael, sarà duraturo e profondo.
Sarai però affliggerà (ta’ané) Hagar, i commentatori discutono su cosa siano state queste afflizioni, ma questo verbo, la’anot, richiama alla memoria le afflizioni degli ebrei in Egitto e per questo Sarai viene giudicata severamente da alcuni commentatori, come Ramban e Radak.
Hagar fugge nel deserto, dove incontrerà un angelo che le prometterà una discendenza numerosa e importante e le ingiungerà di tornare ed essere sottomessa a Sarai.
Poi, tredici anni dopo, il Signore rivolgerà di nuovo la parola ad Avram, rinnovando la promessa della Terra e della discendenza, ordinerà la mizvà della milà, cambierà i nomi di Avraham e Sarah, aggiungendo la lettera che ricorda la presenza divina nel loro cammino, e prometterà discendenza a Sarah.
Avraham riderà sentendo la notizia, e Rashì, basandosi sul Targum di Onkelos, spiega che si tratta di un riso di gioia; contemporaneamente si preoccuperà del destino del suo primogenito e dirà “Magari Yishmael potesse continuare a vivere davanti a Te”. Ecco ancora le tracce di un legame profondo.
Il Signore risponde: “Quanto a Yishmael, ti ho ascoltato. Lo ho benedetto e lo renderò prolifico e numeroso in modo straordinario”. Anche il verbo ascoltare, qui, ci rimanda ad altri punti nel testo in cui è inteso come ascoltare la sofferenza, come anche in Deuteronomio 26:7, nel rievocare la storia del popolo ebraico, a proposito della schiavitù in Egitto: “Ha ascoltato la nostra voce e ha visto la nostra sofferenza”.
Questo legame viene riconosciuto quindi, ma poi il versetto continua (Bereshit 17:21) con le parole che secondo me sono forse il centro di questa Sidrà: “Ma il Mio patto lo stabilirò con Yitzchak, che Sarah ti partorirà il prossimo anno in questo periodo”.
La famiglia di Avraham vive in mezzo ai popoli, intessendo rapporti duraturi, conoscendo momenti bui e altri più positivi, pur continuando sempre nel suo percorso iniziato con l’enunciazione Divina del progetto a cui Avram e Sarai hanno aderito iniziando a trasformare una famiglia in qualcosa di più grande e composito.